La mattina del 27 ottobre scorso il ministro Stefania Prestigiacomo dichiara che la nave individuata al largo delle coste calabresi non è l’imbarcazione Cunsky, denunciata dal pentito Fonti come una delle navi contenenti rifiuti tossici e fatta colare a picco per mano della ‘ndrangheta. Lo stesso pomeriggio il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso aggiunge dettagli affermando che la nave individuata sarebbe in realtà il relitto di un imbarcazione chiamata Cagliari.
Il ROV perlustrativo della Mare Oceano in missione per conto del ministero dell’ambiente però si immerge solo a posteriori rispetto a queste dichiarazioni, compie la sua perlustrazione esattamente la sera del 27 alle ore 22.30.
In seguito viene dichiarato che il relitto in questione è il cargo Catania, non la Cunsky dunque ma nemmeno la fantomatica Cagliari citata dal procuratore Grasso. Sempre Piero Grasso il 29 ottobre dichiara chiuso il caso.
Forse i cittadini calabresi potranno pure considerare il “caso Cunsky” chiuso, stessa sorte però non può toccare assolutamente al “caso Cetraro” o meglio al “caso navi dei veleni”, argomento di ben più ampio respiro.
Esistono numerosi riscontri in cui si afferma che nel mare calabrese si trovano numerose navi affondate, le dichiarazioni del 2006 dell’allora procura di Paola Francesco Greco vanno in questo senso. In quell’occasione la commissione parlamentare d’inchiesta aperta ad hoc fece come proprie le valutazioni del pm nel merito della questione. Nella relazione conclusiva del 24 gennaio 2006 si trova scritto testualmente “i dubbi permangono accresciuti anche dalle recentissime notizie dell’avvistamento a circa 400 metri al largo di Cetraro di una nave con un vasto squarcio nel centro dello scafo, un altra sagoma lunga 126 metri è stata avvistata a 500 mt di profondità al largo di Belvedere. Viene riferito un corpo estraneo della lunghezza di 126mt a 680mt di profondità, altro ritrovamento di una nave lunga tra gli 88 e i 109mt e larga da 15 a 20mt a 380 mt di profondità, nonché una nave a 15 miglia verso Scalea della lunghezza di 20mt”.
La consuetudine della ‘ndrangheta di affondare navi che trasportano rifiuti pericolosi frutto del racket dello smaltimento illegale ha radici più lontane rispetto a questo singolo episodio, le prime sicure tracce risalgono almeno a 23 anni fa quando, il 31 ottobre 1986, la nave Mikigan affonda nel mare calabrese venti miglia a sud-ovest di Capo Vaticano con un carico tanto sconosciuto quanto sospetto e l’unica certezza che fosse protetto da granulato di marmo, un materiale solitamente utilizzato per schermare la radioattività. Le dinamiche del naufragio fanno subito pensare che la nave sia stata affondata intenzionalmente dall’equipaggio, il relitto non viene più trovato.
Il 21 settembre 1987 la motonave Rigel fece naufragio 20 miglia al largo di Capo Spartivento. Nonostante l’equipaggio non lanciò nessun SOS i naufraghi vennero immediatamente soccorsi dalla nave “Karpen” che decise di trasportarli lontano, in un porto tunisino dove non vennero più rintracciati dalle autorità italiane. A seguito della vicenda venne aperto un procedimento giudiziario per truffa ai danni della compagnia assicurativa, nel dibattimento si accertò che la nave venne affondata volontariamente. L’ispezione del carico nel porto di partenza di Marina di Carrara non fu mai effettuato grazie alla corruzione del funzionario doganale incaricato, la natura della merce trasportata non è dunque mai stata accertata e il relitto non è stato mai ritrovato. Convogliano in questa inchiesta numerose segnalazioni di traffici di rifiuti radioattivi e nocivi che dal nord Europa vengono trasferiti in Calabria a mezzo di navi e in seguito trasportati con alcuni tir in zone dell’Aspromonte dove vengono interrati. Tre anni fa due ricercatori individuarono con lo scan sonar alcuni relitti sottomarini che destarono sospetto, uno di questi si troverebbe a venti miglia da Capo Spartivento, si parla di una nave moderna, in ferro e a ponte scoperto, una descrizione che corrisponde alla nave Rigel ma ad oggi ancora nessuna certezza è stata fatta.
Il 9 Dicembre 1988 viene inabissata in un punto mai accertato dello Ionio meridionale la Four Star I, nave battente bandiera dello Sri Lanka che trasportava un carico ignoto.
14 Dicembre 1990; la Jolly Rosso della Linea Messina si spiaggia in località Formiciche, nel Comune di Amantea (CS) dopo un fallito tentativo di affondamento al largo di Vibo Valentia. Furono ritrovati, oltre alla merce denunciata nel porto di partenza, 9.532 fusti di rifiuti tossici nocivi imbarcati illegalmente in Libano. L’inchiesta si è però conclusa con l’archiviazione. Ultimamente la vicenda sta tornando prepotentemente d’attualità da quando sono spuntate nuove testimonianze che collegano il traffico via mare di scorie tossiche con l’individuazione di un area radioattiva situata a pochi chilometri dal luogo del naufragio della motonave Rosso e dalla registrazione di un significativo numeri di casi di insorgenza di malattie tumorali maligne nella popolazione circostante.
Il 1 Marzo 1994 inizia l’ultimo viaggio dell’imbarcazione Korabi Durres: il carico è ufficialmente composto da 1200 tonnellate di rottami di rame. Il 2 marzo la nave sosta per controlli nel porto di Crotone, il 4 marzo attracca a Palermo dove la Capitaneria di Porto rileva un attività radioattiva superiore ai limiti previsti dalla legge e perciò ne vieta l’attracco. Il 10 marzo la nave viene localizzata al largo di Pentimele nei pressi di Reggio Calabria. A seguito di nuovi controlli non si rilevano più tracce di radioattività. Cosa sia successo al carico pericoloso che trasportava lo si può solo intuire, si viene a sapere in seguito che tra i due controlli delle autorità marittime la nave ha sostato senza apparente motivo per tre giorni a ridosso della fossa di Badolato, profonda oltre 1000 metri.
Sono migliaia i punti sottomarini segnalati dai pescatori calabresi in cui si sospetta si trovino container non meglio identificati, le denunce però non stanno trovando ascolto.
Nel 2007 Enrico Fontana, responsabile dell’osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente, dichiarò “In questi anni, tutte le persone impegnate affinché fosse accertata la verità sugli affondamenti sospetti di navi lungo le coste italiane e i traffici di rifiuti e materiali radioattivi, hanno avvertito e qualche volta subito un clima di ostilità, di ostruzionismo se non di vera e propria minaccia. La convinzione maturata in questi anni è che sull’insieme delle vicende oggetto di indagini giudiziarie, attività d’inchiesta parlamentare, dossier e reportage giornalistici, gravi una sorta di “congiura del silenzio”, tesa ad evitare o depistare gli indispensabili accertamenti.”
Non bastano più le rassicurazioni del ministro Prestigiacomo e del procuratore Grasso che si limitano ad affermare che “il caso è chiuso”, allo stato attuale non sembra che si stia prestando le dovute attenzioni ad un caso di portata nazionale come è l’avvelenamento sistematico delle nostre acque ad opera di traffici illeciti che coinvolge la ‘ndrangheta, i servizi segreti deviati, alcuni imprenditori ed industriali, banche di tutto il mondo e, certamente, alcuni governi collusi.
E’ assolutamente indispensabile che si smetta di investigare sui casi singoli rivolgendo invece l’attenzione alla somma di tutti questi avvenimenti che mette alla luce un traffico che minaccia seriamente non solo il turismo calabrese ma avvelena in modo irreversibile la terra e uccide le persone.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.