La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Ferragosto – Ucraina: viaggio tra gli effetti della crisi economica e le conseguenze di Chernobyl

12-08-2010

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La crisi economica ha picchiato duro in Ucraina, tanto che se lo scorso autunno il Fondo monetario internazionale non avesse messo a disposizione 14 miliardi di dollari sotto forma di prestito straordinario, Kiev e la sua nazione sarebbero scivolati verso la bancarotta. E poi c’è sempre la spada di Damocle del gas. Un braccio di ferro con Mosca che si trascina tra debiti restituiti fortunosamente, accordi presto rotti e squadre dei servizi segreti ucraini che sequestrano i contratti stipulati con la Russia.

Benvenuti in una nazione dalle sperequazioni sociali esasperate. Una nazione in cui negli ultimi anni – dal 1999, per precisione, con un incremento medio del prodotto interno lordo di 7,4 punti ogni dodici mesi, fino al 2007 – la classe media è stata spazzata via e, a fronte di una percentuale minima della popolazione dalle ricchezze inimmaginabili, la maggior parte della gente vive di briciole. Quando ci sono. Negli anni appena trascorsi, infatti, i segni di ripresa in Ucraina erano affidati a una piccola imprenditoria che aveva saputo dare prova di qualità professionale e abilità commerciale nell’acquisire commesse dall’Europa occidentale, soprattutto dalla Germania. Così aveva avuto modo di emergere un tessuto manifatturiero e un terziario attivo soprattutto nel settore informatico che lasciava ben sperare per il futuro. Avrebbe potuto venire da qui la risposta all’emigrazione forzata dalla mancanza di prospettive occupazionali e da stipendi che a fatica garantivano la sussistenza. Ma poi sono arrivati la crisi dei mercati valutari, gli investimenti bancari (anche italiani) rivelatisi del tutto fittizi e i fallimenti collegati che hanno messo in ginocchio l’intera nazionale.

Il viaggio in Ucraina inizia alla frontiera con l’Ungheria, dopo controlli lenti e la compilazione di moduli in cui si dichiara di chi si è ospite nel Paese. «Così, se accade qualcosa mentre voi siete all’interno del nazione e riuscite ad andarvene, verranno a chiederne conto alla mia famiglia», ci dice Natalija, una badante ucraina che torna a casa per un periodo di vacanza e che accetta di farci da guida nel paese. Ad attenderla, appena oltre il confine, Volodimir, un amico che è venuto a prenderla e che sarà l’altra metà del viaggio nell’ex repubblica sovietica.

Questa è la seconda volta che Natalija torna a casa dal 2000. Per anni ha vissuto come clandestina e oggi mostra con orgoglio alla polizia di frontiera il suo permesso di soggiorno in area Schengen, oltre al passaporto. Era partita, Natalija, contraendo un debito di duemila e 700 euro per farsi un viaggio di quasi duemila chilometri nascosta nel controsoffitto di un tir insieme ad altre tredici persone. Sdraiata e zitta fino a Napoli passando per frontiere dove ogni volta c’era il rischio che lei e i suoi compagni di viaggio venissero scoperti. Italiana era l’organizzazione che gestiva i trasporti e per i suoi referenti Natalija ha dovuto darsi da fare, senza conoscere una parola della lingua e senza avere il tempo per impararla, fino a estinguere il debito che l’aveva portata in Italia.

Giunta a quel punto e ormai masticando un po’ di parole che le consentivano di cavarsela, è scappata dal capoluogo campano e ha raggiunto Bologna, dove non le è stato difficile lavoro nel settore dell’assistenza familiare. Venendo finalmente regolarizzata. Intanto erano trascorsi quasi sei anni e in tutto questo tempo Natalija era riuscita a mandare a casa abbastanza denaro per far studiare le due figlie all’università. E oggi, quando scende dall’auto e riabbraccia l’amico ucraino, non vede l’ora di rivedere le nipoti nel frattempo nate. «L’ultima non l’ho ancora conosciuta e la più grande mi chiama la “nonna piccola”». La «nonna grande», invece, è sua madre, poco più che sessantenne, quella che le bambine sono abituate a vedere ogni giorno. «Io sono una specie di zia, per loro, e mia madre non sa che sto arrivando, voglio farle una sorpresa». E intanto si preoccupa del suo abbigliamento: jeans e una maglietta che lascia scoperte le braccia, come tante altre quarantenni in Italia. Ma in Ucraina una donna di quell’età avrebbe già passato il periodo dell’abbigliamento casual, dovrebbe indossare abiti più consoni alla maturità.

Volodimir, che ascolta in silenzio la traduzione che Natalija fa delle nostre conversazioni, di anni ne ha altrettanti e, rispetto alle decrepite auto che circolano, ha una Volkswagen di recente produzione. «È l’unica cosa che non si è presa la banca», racconta a pranzo un po’ in inglese e un po’ con l’aiuto di Natalija». Anche lui faceva parte di quella piccola imprenditoria che lasciava intravedere un futuro migliore per il Paese. Ma la crisi, le richieste di rientro e l’impossibilità di far fronte alle pretese economiche di chi gli aveva dato credito hanno determinato il fallimento della sua azienda. «Posso considerarmi in vacanza, se vogliamo vederla in termini ottimistici», aggiunge. E ci tiene che a far sì che si veda in che condizione versa il paese. Guida sicuro per le strade dell’Ucraina sud-occidentale verso Uzgorod, la prima cittadina che si incontra a una ventina di chilometri oltre la frontiera. Architettura sovietica, quartieri squadrati, mercatini rionali allestiti alla bell’e meglio in periferia. Uzgorod è uno specchio della provincia ucraina: gente alle fermate degli autobus che sale su pullman autogestiti. Chiunque infatti abbia un mezzo, non importa quanto provato da traffico e asfalto, e voglia tirare la giornata con il prezzo del biglietto, può mettersi per strada e iniziare il suo tour tra i sobborghi urbani o tra i paesi del circondario. Una specie di libera impresa in un sistema del tutto deregolamentato.

Parcheggiando di fronte a un bar italiano battezzato con il nome di “Cosa Nostra”, il giro per Uzgorod può portare a imbattersi in uno scambio di denaro per strada. Un’Audi sportiva con targa tedesca si ferma a un incrocio semaforico incurante del traffico e ne scende un giovane con abiti firmati e una mazzetta consistente in mano. Lo raggiunge un uomo più anziano ma altrettanto ben vestito, uscito da un suv nero della Mercedes con vetri oscurati: prende il denaro, lo conta e senza un cenno né una stretta di mano gira le spalle e risale sul suo veicolo. Poi entrambi ripartono. Quello dell’Audi non senza aver dato sfoggio della potenza del motore e della capacità di accelerazione della sua automobile.

Per il resto, la povertà è palpabile. Così come la dignità delle persone, che veloci continuano a darsi da fare. Chi in ristoranti in attesa di turisti (per gli occidentali l’ingresso nel Paese è facilitato rispetto agli stessi ucraini), chi in attività di piccolo commercio e chi nella gestione di castelli medievali. Nelle poche alture della campagna circostante, infatti, capita di imbattersi in vecchi manieri ristrutturati che raccolgono al loro interno testimonianze della cultura rurale della zona. Accade per esempio a Mukachevo, che si barcamena con i flussi turistici verso la fortezza Palanok, antica residenza dei conti Shenborn risalente al XIII secolo e mutata, fino al XVII, fino a perdere per buona parte l’aspetto originario, che richiamava l’architettura transilvana voluta dai suoi fondatori, i principi Rakoczy.

Nelle campagne dell’Ucraina il fermento della gente non si interrompe. Ma cambiano le modalità. Ai mezzi motorizzati si sostituiscono sempre più di frequente calessi e cavalli. E anche quelli che ci sono sembrano artefatti frutto del genio meccanico di qualche locale piuttosto che delle catene di montaggio industriali. Le strade si asfaltano con bitume gettato come se fosse acqua per il lavaggio del manto e seguito da un camion dal cui cassone cade ghiaia che sarà poi schiacciata dalle auto in transito. E anche le etnie si mescolano: la popolazione di origine rom vive con gli autoctoni, seppur in una evidente condizione di maggior precarietà, in villaggi dove l’arte di arrangiarsi vale per tutti. I ragazzini, in piena estate, vengono impiegati nei lavori agricoli mentre i più anziani stanno dietro all’artigianato. L’età di mezzo, quella dei giovani, cavalca motociclette che lancia al sorpasso delle auto degli stranieri.

Intanto, su un quotidiano trovato in bar, viene ripresa la notizia dello smantellamento della centrale nucleare di Chernobyl. Le prime informazioni in proposito risalgono al gennaio scorso quando il presidente ucraino Viktor Yushchenko annunciava un piano per la dismissione progressiva degli impianti e la bonifica del territorio circostante. Nel frattempo i tre reattori che non sono stati diretta causa dell’incidente del 1988 hanno continuato a funzionare. Undicimila i casi i cancro alla tiroide nei bambini a oggi. E dalle righe del quotidiano che Natalija traduce si leggono le parole Anatolij Romanenko, direttore del Centro di ricerca per la medicina delle radiazioni, che avverte ancora una volta che non solo non è finita, ma si è appena all’inizio: occorrerà attendere che chi stava per nascere in quel periodo o chi era molto piccolo inizi a procreare per vedere quanto le ultime generazioni, e non solo il suolo, sono state inquinate dal disastro nucleare.

Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet, cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)
 

Commenti

  1. filippo angileri

    Grazie, Antonella,
    per questo interessante articolo.
    Con fraterna amicizia
    filippo

  2. verita' giuliano

    bellissimo questo articolo di cruda realta’.un vero peccato e’ che alla tv queste cose non circolano .solidarita’ alla gente bisognosa ucraina!!!!

  3. Antonella Beccaria

    Grazie a voi per la lettura e per l’apprezzamento.

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