Bologna – «Di cosa avete bisogno per resistere con il vostro presidio in piazza? Visibilità sulla stampa? Sostegno dei politici?»
«Abbiamo bisogno di materassi, cibo e tende per il sole… Abbiamo il sostegno di tanti cittadini, vengono per informarsi, sono dalla nostra parte. La stampa invece si occupa di altro: ieri un ubriaco in mutande si è arrampicato sulla statua del Nettuno, a dieci metri dal nostro accampamento. Oggi la stampa parlava di lui, e non di noi. E i politici? Beh non si sono ancora fatti vedere, ma se dovessero venire li faremmo sedere in piazza con noi, come tutti gli altri: alle nostre assemblee si parla quando arriva il proprio turno».
Daniele, 30 anni, trevigiano laureato in Filosofia a Bologna, un impiego part time e la passione per organizzare spettacoli di piazza e Enrico, ventunenne napoletano, studente al Dams di Bologna: insieme ad altri giovani stanno “presidiando” Piazzale Nettuno a Bologna da ormai 6 giorni.
«È nato tutto dalle iniziative degli “indignados” di Madrid di 10 giorni fa, seguite in Italia dagli studenti spagnoli che si sentivano vicini ai loro connazionali».
Poi, dall’unione con gruppi di giovani italiani, si è creata questa forma di protesta, ispirata da quella iberica, ma che ha trovato radicati motivi di indignazione anche nelle nostre piazze. Così tanti ragazzi sono scesi in piazza contro il precariato, contro i tagli alla ricerca, contro le lobby economico-politiche, contro le forme odierne di rappresentanza che tutto hanno fuorché ispirazione democratica.
Proprio la forma partecipativa della “democrazia diretta” è il modus operandi delle assemblee di piazza di questi giorni: «Tutte le sere c’è assemblea alle otto: si discute l’ordine del giorno, deciso tutti insieme nella riunione di mezzogiorno, si mettono ai voti le varie proposte, si organizzano i gruppi di lavoro per il giorno successivo».
Su dei grandi cartelloni i ragazzi scrivono, per punti, i resoconti delle assemblee e poi, durante il giorno e la notte, si votano le singole istanze emerse. «Vorremmo dare concretezza all’indignazione di un’intera generazione che non vede il proprio futuro, scrivendo nero su bianco i nostri problemi e le proposte che costruiamo per risolverli. Poi questi cartelloni, appesi in piazza, devono aprire gli occhi alla cittadinanza, generare interesse e partecipazione di tutti».
Il colpo d’occhio della piazza è importante, il “palcoscenico” dove i giovani mettono in atto la protesta è variegato e vivo: materassi, ombrelloni, una zona “culturale” con libri e giornali a disposizione dei passanti, riserve di cibo, coperte, striscioni con le rivendicazioni, cartelli organizzativi con i nomi di tutti e le varie mansioni.
«Ci sono gruppi diversi, ognuno con dei referenti: chi si occupa del cibo, chi coordina le assemblee, chi tiene i contatti con le altre città, chi continua ad aggiornare i cartelloni» racconta Darja, ragazza slovacca: ha studiato a Bologna, ma ora è disoccupata e cerca lavoro per non veder tramontare il sogno di restare a vivere qui. «Bisogna organizzarsi bene, per restare in piazza il più a lungo possibile, per far vedere che non siamo qui per divertirci, ma perché sappiamo che c’è in gioco il nostro futuro».
L’assemblea della sera è davvero un momento importante e sentito. Sotto la fontana di Nettuno, attorno alla quale ruota l’intera giornata dei ragazzi, si radunano un centinaio di persone. Tutti seduti in cerchio: un impianto audio, attaccato a un gruppo elettrogeno messo a disposizione da qualche cittadino, diffonde la voce di un ragazzo spagnolo: è in collegamento da Plaça Catalunya, Barcellona.
Racconta le novità dalla Spagna, incita gli italiani a non abbandonare le piazze, a far continuare questo movimento di corpi che dal Nord Africa ha attraversato lo stretto di Gibilterra, ha letteralmente invaso la Spagna e, sfruttando la forza comunicativa dei social network, ha collegato Madrid a Parigi, Marsiglia a Milano, Bologna a Napoli.
L’assemblea comincia a diventare quasi un’attrattiva per chi passeggia per la città. Saranno trecento giovani ormai: c’è chi per curiosità si ferma, c’è chi chiede spiegazioni e legge gli striscioni per informarsi, c’è chi scrive il resoconto dei vari interventi, c’è chi continua a sistemare i cartelloni, e soprattutto c’è un microfono che amplifica la voce di chiunque voglia farsi sentire, di chiunque abbia una proposta da mettere ai voti. «Uso questa parola con cautela, ma la uso: rivoluzione. Viene dal basso, sempre, viene dalla strada, dalla piazza, dai più deboli, dai disoccupati, dai più giovani. Quello che è successo in Nord Africa non ne è una prova?! Questo movimento non viene dai partiti: anche quelli solidali con noi lo fanno principalmente per un loro ritorno mediatico. Non ci sono rappresentanti di partiti qui seduti per terra con noi».
Sembra proprio che questa realtà, inizialmente spontanea e che, con il passare dei giorni e delle notti, diventa sempre più organizzata, sia qualcosa di trasversale e orizzontale: non c’è la retorica di partito, non c’è l’ideologia, non c’è rappresentanza. C’è la democrazia che viene dal basso, dalla comunità civile.
«Con chi tenete i collegamenti? Movimenti, sindacati, comitati? Il Movimento di Grillo?», la risposta è immediata e chiara: «No, non è questo il punto: “Democrazia Reale Ora!” significa che i collegamenti sono con gli altri giovani, con le altre piazze, con chi sta seduto per terra».
Enrico Pellucco è uno studente del Corso di Giornalismo dell'Università di Parma.