Quasi nessuno lo sa, ma l’Italia è piena di piccoli-grandi cittadini che, da nord a sud, stanno provando a salvare l’Italia. In un susseguirsi di tragedie e di notizie sconfortanti, la speranza nel dopo crisi non viene né dalla politica, né dai cosiddetti intellettuali. La conoscenza, la creatività e l’etica – caratteristiche indispensabili per uscire dal tunnel di una crisi (non solo economica) senza precedenti – sono un patrimonio collettivo privo di rappresentanza. Fatto di singole persone che, al di là delle belle parole, stanno faticosamente cercando di mettere in pratica i principi della cosiddetta ‘green economy’. Se tutti questi cittadini trovassero il modo di cooperare, mettendosi in rete, forse sarebbe finalmente possibile riconvertire l’economia italiana, creando lavoro e, con esso, nuovi “posti di lavoro”. Senza distruggere l’ambiente. Le loro storie personali sono il modo migliore per scoprire un’altra Italia. Piccola, quasi invisibile ma molto concreta e certamente feconda.
A Monte San Pietro, frazione ai piedi dei colli bolognesi, c’è una piccola impresa di meccanica conto terzi. Come in tante altre piccole imprese, la crisi è arrivata come un ciclone. Una crisi che colpisce duramente operai, insegnanti, ‘cococo’. In queste settimane al centro dell’attenzione ci sono i casi drammatici di Termini Imerese, dell’Alcoa, della Omsa, ecc. Fuori dai teleschermi esiste però anche un’altra “categoria” di cittadini che ci sta rimettendo le penne: piccoli imprenditori – spesso più coraggiosi ed innovativi dei capitani di Confindustria – che, tra il silenzio dei media e l’impotenza della politica, rischiano di scomparire sotto le macerie del capitalismo di rapina.
Una marea che Alessandro Masi – classe 1963, sposato – conosce molto bene. È uno dei soci fondatori di una piccola realtà meccanica e, benché non lavorasse “sotto padrone”, ha comunque perso il suo posto di lavoro perché l’attività è stata ceduta ad altri per via della crisi. Ora è costretto a lavorare part-time. Per resistere e non lasciarsi scoraggiare, si è impegnato in una nuova “impresa”. Non si arrende: vuole continuare a conciliare testardamente le proprie idee e la necessità (il diritto) di un nuovo lavoro.
Spesso la fortuna di un imprenditore nasce con un brevetto. Basti pensare, per esempio, a Meliconi, quello che ha inventato (e brevettato) il “guscio salva-telecomando”: chi l’avrebbe mai detto che un “coso” del genere, di gomma, potesse rendere milioni di euro al suo inventore? Oggi Meliconi è una SpA con sede a Granarolo dell’Emilia, altro paesino alle porte di Bologna. Ecco. Alessandro, che crede in una economia ecosostenibile, ha pensato a qualcosa di diverso. Per spiegare a chiunque cosa significa “green economy” non importa scomodare analisti ed editorialisti: meglio usare esempi concreti. Uno lo si trova su questo sito: www.acquapiovana.eu. “Il futuro del nostro pianeta, passa da come saremo in grado di gestire le risorse che abbiamo a disposizione. L’acqua è una di queste risorse fondamentali”. Così si legge nella home page. Una bella idea che Alessandro ha trascinato dal cielo dei massimi sistemi sulla Terra, trasformandola appunto in un brevetto: “un contenitore modulare per la raccolta dell’acqua piovana con antintrusione zanzare e antievaporazione”… Va mo’ là!
Cosa significa per lei “fare impresa” nel nuovo millennio?
Fondamentalmente conciliare e far coesistere tre cose. Primo: fare impresa con profitto. Secondo: essere responsabili del destino dei propri collaboratori. Terzo: rispettare l’ambiente che ci circonda, a 360 gradi.
Da quanto tempo lavora in proprio? Ci racconta qual era il suo mestiere prima che la crisi le portasse via il lavoro?
Lavoro in proprio da sempre, perché ho cominciato con mio padre, nel 1986. In quel periodo studiavo all’università e lavoravo in quella piccola realtà famigliare. Negli anni ho ricoperto diversi ruoli all’interno dell’azienda, fino a comprenderne il funzionamento in ogni ambito gestionale (amministrazione, acquisti, vendite, edp, produzione, ecc.). Ventitre anni spazzati via in un lampo con questa crisi.
E oggi come se la cava?
Ho come tanti, messo su la partita Iva e lavoro part time, 4 ore al giorno, per una piccola realtà produttiva che ha bisogno di esser riorganizzata in alcune cose, ma questo da pochi giorni, dopo mesi di disoccupazione ed inutile ricerca. Anche perché paradossalmente mi è stato detto che se uno lavora solo in una realtà per 23 anni non è ben visto, per mancanza di esperienza in altre aziende. Non è assurdo? Secondo me sì. Diciamo che in questo momento galleggio, perché, al contrario di quel che si può pensare, non sono diventato ricco in quei 23 anni complice il fatto che la concorrenza nelle lavorazioni conto terzi era, ed è enorme e la poca riserva rimasta a bilancio è servita per salvare il salvabile. Ora poi con la Cina, la situazione è ancor peggiore e sarà molto dura per molti. La globalizzazione è un danno enorme, inutile che raccontino che Cristo è morto dal freddo… Non l’hanno governata a dovere ed ora paghiamo dazio.
Che consiglio si sente di dare a chi sta vivendo situazioni simili alla sua?
Non perdetevi d’animo e soprattutto se serve, la piazza è, e resterà per sempre, la sede più importante per farsi sentire. Chiedere che la politica governi la globalizzazione e non il contrario, com’è avvenuto fino ad ora, senza nascondersi dietro a dei ridicoli “ormai non è possibile fare nulla…” o cazzate simili, è il minimo che possono fare. Siamo ancora in tempo, se vogliono, prima che ne nasca un caos sociale.
Con l’esplosione della crisi finanziaria persino i governi più liberisti hanno “messo le mani nelle tasche dei cittadini” per salvare il sistema bancario. Si è discusso se rinnovare o meno gli incentivi alla Fiat. Per voi piccoli imprenditori cosa è stato fatto?
La politica nazionale, letteralmente un cazzo. Quella locale, per quel che può, sta aiutando in qualche maniera. Le banche sappiamo perfettamente di chi sono figlie (nn) e non mi meraviglia che abbiano fatto carte false per aiutarle: gli intrecci sono enormi, inutile elencarli, loro che sono i responsabili principali di questo sconquasso sociale. Per la Fiat, non sarebbe un problema aiutarla se la produzione rimanesse in Italia, il problema è che non sarà così.
Come immagina il futuro dell’Italia? Ottimista, pessimista o… fatalista?
La differenza tra un ottimista ed un pessimista è che quest’ultimo… è più informato.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)