La Lettera

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Annalisa STRADA – Il ginepraio della scuola

12-09-2009

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Non sono in molti a saperlo, ma i precari della scuola sono sul piede di guerra: anche se i mezzi di comunicazione li ignorano, stanno mettendo in atto proteste inaudite per la categoria, inerpicandosi sui tetti degli uffici scolastici provinciali, incatenandosi alle cancellate, facendo sit in nelle piazze e in mezzo alla strada. Non manca lo sciopero della fame.
La scuola la conosco e non riesco a non domandarmi: perché tutto ciò accade ora che i giochi sono fatti, le leggi sono passate e l’anno scolastico è – di fatto – cominciato?
Collateralmente mi domando: perché i media che amarono tanto i licenziandi Alitalia ignorano gli insegnanti? Perché tanto clamore sul maestro unico quando la rivoluzione è stata sulla scuola secondaria di primo grado alias le medie?
I numeri dei tagli – migliaio più, migliaio meno – sono noti almeno dal tardo autunno e hanno raggiunto l’evidenza attuale nel cuore dell’inverno. Perché non si è protestato allora con la stessa veemenza?
L’autunno caldo non è di nessuna utilità ai precari, perché (forse) sarebbero stati più utili un inverno rovente o una primavera surriscaldata.
Chi ha indotto la stagionalità della protesta?
I sindacati sono stati tiepidi nella gestione del problema e non hanno sottolineato (o non hanno saputo vedere) l’imminente tragedia di molti precari.
Lo scorso anno, una mia amica siciliana, non abilitata, si è trasferita a Brescia con il marito (neodisoccupato) per inseguire la scuola. Preoccupata dell’aria che tirava ha chiesto lumi al suo sindacato di riferimento. Le hanno detto che non era escluso potesse esserci a breve un concorso per conseguire l’abilitazione. Colleghe più sagge le hanno dato l’unico consiglio utile: datti da fare per cambiare lavoro.
Ecco, i colleghi (di ruolo o precari). Altro interessante capitolo. Si scontrano tra loro per chi deve stare prima in graduatoria e sgomitano tra sissini (abilitati cioè dalle SSIS – scuole superiori per l’insegnamento secondario – postlaurea) e supplenti abilitati da concorso, si accaniscono in guerriglie di parole tra chi fa supplenze nella scuola pubblica e chi accetta incarichi negli istituti paritari, ma nemmeno una mannaia ciclopica viene percepita come nemico comune contro cui far fronte compatto. Chi è di ruolo non si anima troppo per i precari o, diciamo, la solidarietà di classe non è categoria di pensiero unanimemente condivisa.
Questo li rende un docile gregge dal ruggito flebile su cui infierire con facilità, appeso alla labile speranza della manciatina di sale sempre più modesta e sempre più lontana.
I docenti (di ruolo e, ancor di più, precari) hanno ceduto a frammenti la loro dignità lavorativa e il loro potere contrattuale, fino a ridursi a figure socialmente pallide, culturalmente slavate e comunemente vilipese con l’etichetta di statali ultraprotetti e un po’ viziati. Luoghi comuni che poggiano su casi non rari di docenti non proprio brillanti, ma che offendono i non pochi che davvero fanno questo mestiere con dedizione e convinzione.
Già, perché su una cosa la Gelmini ha un’indiscutibile ragione: la scuola ha bisogno di una riforma. Ha bisogno di normare l’accesso alle cattedre e di garantire un personale qualificato, coerente e motivato. Però quello che si ottiene con la legge in essere è che (nelle linee generali) tante persone qualificate da scuole volute dallo stesso ministero, giovani, motivate e determinate, restano fuori dalla porta.
Sono un’insegnante, contenta di esserlo, non seduta (mi pare) sulla sua posizione: amo i miei colleghi svegli, vivi, vivaci e viventi il loro ruolo; mi dispiaccio (anche a gran voce) per chi si sta rassegnando e non sopporto chi avvilisce l’intero corpo docente con la propria pigrizia. Ma nessuno di loro è il bancomat capace di risolvere il deficit statale: la valutazione delle loro competenze (che piaccia o meno al ministro o a loro stessi) dovrebbe passare per altra via.
Giusto per non dimenticare: gli insegnanti che stanno per rimanere sul lastrico sono poco meno di 18.000 (per non contare i poco più di 40.000 pensionamenti che sono diventati posti perduti perché non rimpiazzati), sono disposti a traslocare da un capo all’altro della penisola a spese proprie per percepire uno stipendio di poco superiore ai 1100 euro (e l’affitto se lo pagano di tasca loro). Per alcuni lo stipendio va dal primo settembre al 31 agosto, per altri si interrompe al 30 giugno.
E questa è solo il primo round di un taglio in tre tempi.

Annalisa StradaAnnalisa Strada (1969) si occupa di servizi editoriali e di promozione della lettura. Autrice di libri per bambini e ragazzi. Pubblica con San Paolo, Piemme, Ape Junior, Paoline, Città Aperta e Gabrielli Editori.
 

Commenti

  1. Maria giovanna De Nuzzo

    A queste condizioni sarà veramente improbabile riuscire a motivare chi lavora nella scuola!

  2. barbara frullini

    Siamo da anni una categoria divisa da una guerra tra poveri,inconsapevole dei propri diritti-doveri,incapace di reagire ad una situazione nella quale la scuola sta diventando sempre di piu’un’azienda con il bilancio in rosso e sempre meno l’unica -purtroppo-agenzia formativa di questo paese

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