Un nero dal cuore bianco contro Obama: le Leghe d’Italia cominciano a pregare
10-10-2011
di
Esther Kazan
Forse domani il mondo cambia colore e la cultura degli Stati Uniti rirovescia la vita di ogni comunità, ma per il momento i conservatori feroci spingono un nero conservatore alla Casa Bianca. Se i sondaggi non imbrogliano, i repubblicani dal cuore KKK si organizzano nell’oltranzismo religioso dei Tea Party per appoggiare una speranza nera dal cervello bianco, nuovo Caino (repubblicano) noleggiato per “liquidare” Obama. Non solo rabbia delle maggioranze parlanti modello Alabama. Lo sdegno KKK trema nell’inconscio delle anime perbene sconvolte dalla marea dai colori diversi. Insopportabili. Finché scaricano patate ai mercati, pazienza, ma un nero sulla poltrona di Linconl è come un mullah che dice messa. I masi chiusi attorno a Bolzano non hanno mai accettato il suo potere. Continuano a dubitarne le folle montagnarde di leghe scandalizzate dalla profanazione. Purtroppo la democrazia ha queste scomodità. Adesso rinasce la speranza: il prossimo signore della Casa Bianca è nella mani di milioni di migranti latini, non proprio bianchi ma non proprio neri. Non vanno presi sul serio, ma il loro voto di borghesi in carriera aiuta il ko a Obama. Anni di transizione. Bisogna portare pazienza aspettando il ritorno di un nuovo Bush. I voti di chi arriva da Messico, Colombia, Guatemala saranno decvisivi. Segni invisibili a poco a poco visibili appena il tempo addolcirà l’umiliazione ariana. Eppure c’è chi non vuole rovesciare le favole per il rispetto dovuto alla grande potenza. Qualcuno lo ha già fatto. Caridad Toca era buia come il carbone. I signori Calvino le avevano affidato il figlio: Italo, appena due anni, quando Cuba apparteneva al regno americano. Ieri come oggi gli uomini neri impaurivano l’infanzia con la crudeltà di chi rubava i bambini nel sacco. Ma nei racconti della tata nera l’uomo nero si trasforma nell’angelo della luce. Salva chi affoga nel fiume, scaccia lupi randagi. Incanti dei quali il bambino diventato scrittore non si è mai liberato. Il tempo ci ha abituati all’anomalia della storia che si chiama Obama. Da quattro anni padri e madri indovinano chi viene a cena per sposare la figlia con un sospiro meno rassegnato: «Speriamo non sia nero», esercizi di consolazione preventiva. Negli Usa ormai funziona senza problemi, ma la buona borghesia del Nord Est ancora non ce la fa. E sospetta, brontola con le lacrime agli occhi. Cosa sarà della mia bambina che si è laureata a Padova? Ecco l’angoscia: nipotini caffelatte che rischiano il ghetto delle classi differenziate. Neanche turandosi il naso, i partiti italiani della razza e la signora Gelmini sopportano le quote nere. Nelle segrete abbandonate dai black power, i white power mantengono l’indignazione e appena Obama sbaglia l’indignazione travolge i giornali e le Tv. Non solo americane: consiglio di sfogliare Padania, Libero, Giornale. “Un presidente nero, l’avevano detto…”. Eduardo Galeano racconta in un libro (“Specchi”, Sperling & Kupfer) delle incisioni nelle grotte dei deserti africani: colline verdi, frutti che piegano i rami. Quel paradiso terrestre dove Adamo ed Eva si sono incontrati. Ed erano neri. Meglio non farlo sapere ai Borghezio e ai Maroni nei giorni del lutto bianco.
Esther Kazan è stata giornalista della Abc e vive nel New Jersey. Scrive libri e collabora a vari giornali.