Creare le condizioni perché l’Italia torni a crescere, si “sblocchi” dall’empasse politico-istituzionale ed economico che sta vivendo è il principale obiettivo cui l’intero corpo politico e sociale deve tendere per riaccendere una luce di speranza per il prossimo futuro, e non solo di quello delle nuove generazioni..
L’Italia, attraversata da una pesantissima crisi, continua a perdere terreno in termini di indicatori di crescita e sviluppo anche nei confronti degli altri Paesi europei. Né pare che questa tendenza sia destinata ad invertirsi a breve, visto il generale andamento dell’economia continentale e le pressanti necessità di riforme istituzionali e processi di riconversione produttiva che dovrebbero interessare il nostro Paese per poter invertire la tendenza in atto, e che invece tardano a vedere la luce in Parlamento.
Il gap che scontiamo nei confronti degli altri paesi, infatti, non si misura soltanto attraverso gli indicatori economici della crescita, ma anche in termini di risparmio sulla spesa pubblica per favorire politiche di investimento su capitale umano e processi produttivi che consentano di seguire la domanda mondiale verso più elevati livelli di qualità ed efficienza, e riescano a farci competere con gli altri paesi in termini di erogazione di servizi, esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto di tecnologia e know-how, efficienza del sistema burocratico e produttivo.
Per ridurlo è però necessario che il paese venga a sua volta investito da processi di riforma chiari, che nella razionalità di norme anche innovative rispetto al più o meno recente passato riescano a riequilibrare il deficit economico non solamente attraverso politiche di contenimento della spesa, ma anche di rilancio della produttività. E’ possibile (e auspicabile) infatti che le risorse necessarie a rispondere a questi fabbisogni non siano recuperate, come accaduto finora, unicamente attraverso l’incremento della pressione fiscale, ma anche attraverso l’aumento di produzione di ricchezza a scala nazionale ed il rilancio di politiche per investimenti.
In questo quadro, la riforma del Patto di Stabilità così com’è attualmente configurato, assume un ruolo centrale. Non solo perché si tratta di uno strumento scarsamente adatto alla situazione di crisi attuale, ma anche perché sta penalizzando le possibilità di investimento degli enti locali – indipendentemente dalla loro reale situazione economico-finanziaria – riducendo sindaci ed amministratori ad un ruolo di amministratori di condominio anziché di promotori dello sviluppo a livello locale. Oltre ai tagli imposti dalla finanziaria, infatti, le difficoltà di spesa indotte dal Patto di Stabilità frenano le diverse forme di investimento pubblico (servizi, lavori pubblici etc.) che possono favorire un minimo di rilancio dello sviluppo quantomeno a livello di mercato interno, cosa di cui oggi abbiamo bisogno per recuperare sul fronte occupazionale e della produzione di reddito.
Per fare un esempio concreto, oggi Comuni e Province soprattutto si trovano a non poter spendere i quattrini che hanno materialmente in cassa per il pagamento di nuovi investimenti o di debiti contratti (fatto strano vero?), perché non hanno previsioni di incassi futuri (da oneri di urbanizzazione, tasse etc.) pari alle risorse necessarie per coprire i costi degli investimenti o dei servizi che dovranno erogare l’anno prossimo. Questo significa paralizzarne l’attività. Non è forse il caso di dare oggi maggiore snellezza e respiro alla capacità di intervento degli Enti Locali?
Daniele Ferretti, è Presidente della Società di Ingegneria di Parma, associato a Titolare Trends Studio Associato. Insegna tecnica delle costruzioni all'Università di Parma.