Ci si può arrampicare sul muro, ma è una sconfitta. Malgrado scandali e mignotte Bossi ha stravinto, Berlusconi non ha perso, Bersani è allenatore da mezza classifica, segretario di tempi di pace più che di tempi di guerra
Il sonno degli intellettuali produce gli incubi leghisti
30-03-2010
di
Paolo Collo
Perdere non è mai bello. Ma più importante, dopo la partita, è capire perché si è perso. Mi auguro che da oggi i responsabili dei partiti di centrosinistra, ammettano la sconfitta e prendano i dovuti provvedimenti. E che soprattutto non accampino le solite scuse che non servono a nulla se non a riperdere alla prossima occasione. Ci si può arrampicare sui muri quanto si vuole – è costume condiviso da tutto l’arco costituzionale – ma è di sconfitta che si deve parlare. Il “girone di andata” – quello del 2005, per intenderci, era finito 11 a 2 per il centrosinistra. Quello di ritorno – giocato ieri – 7 a 6 (sembra di tornare alle partite a baseball di Charlie Brown). E questo nonostante scandali e controscandali, processi e mignotte (pardòn: escort), illegalità diffusa, amicizie mafiose, concussioni, spazzatura nascosta, finte ricostruzioni post-terremoto e via malversando e, soprattutto, illudendo…
La Lega ha stravinto (alla faccia della supponenza con la quale viene quasi sempre giudicata), Berlusconi non ha perso (nonostante tutto quanto è stato detto contro di lui in questi anni e i suoi stessi clamorosi scivoloni, le promesse mai mantenute, ecc.), il Partito Democratico le ha prese. Questa l’analisi “da bar”, terra terra, che si potrebbe fare.
E sicuramente ci sarebbe da meditare, tornando alla metafora calcistica, “sull’allenatore”. Bersani (persona sicuramente degna di tutto rispetto) pare però più un coach da mezza classifica che da Coppa dei Campioni, un segretario più da tempi di pace che da tempi di guerra (quali quelli che stiamo patendo). “Sangue, sudore e lacrime” prometteva Churchill per vincere la guerra, ricordiamolo.
E poi ci sono le altre realtà da valutare: il ruolo di Di Pietro, quello di Casini, la variabile impazzita del comico Grillo…
E gli intellettuali? Che fine hanno fatto? (cosa che si chiedeva non più tardi di venerdì scorso Antonio Tabucchi sulle pagine de “Il Fatto”) I successi del vecchio e tetragono Partito Comunista sono stati vigorosamente accompagnati – e anche “spinti” – da una massiccia presenza di maître à penser nazionali. Giornalisti, editori, scrittori, artisti, docenti e via elencando che decisero di “metterci la faccia”.
E adesso? Chi li ha più visti?
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.