Claudio oggi ha 43 anni e da dieci fa l’investigatore privato. Anzi, da 10 anni e 4 mesi, dato che l’autorizzazione del prefetto di Genova, città in cui ha sempre vissuto e lavorato, reca la data del 23 marzo 2001. Nel suo passato c’è prima il servizio militare nell’Arma dei carabinieri e poi la firma di ferma. Ma se il lavoro di sbirro gli è sempre piaciuto, Claudio ha sempre fatto molta fatica a far amicizia con la disciplina militare.
Così alla fine degli anni Novanta inizia a prendere in considerazione l’idea del congedo, cullata per un po’ di tempo, e di mettersi in proprio. Ci mette qualche mese a decidere perché occorre essere ben sicuri per abbandonare il cosiddetto posto fisso, stipendio sicuro per quanto non troppo allettante, e avventurarsi nella giungla della libera professione. Poi, però, Claudio salta fuori dalla divisa e decide: farò l’investigatore privato.
Nella primavera del 2001, dopo un po’ di tempo trascorso a far pratica in un’agenzia privata, prende in affitto un ufficetto in un vicolo non lontano dal porto antico, appone una targa fuori dalla porta e inizia a far fotografie a coniugi infedeli o qualcosa del genere. Fino a quando, a inizio giugno di quell’anno, il telefono squilla e dall’altro capo c’è un piccolo imprenditore del capoluogo ligure.
“Mia figlia è scomparsa. Mi può aiutare a ritrovarla?”
“Ma se è scomparsa, perché non si rivolge alle forze dell’ordine?”
“Perché non è proprio scomparsa. Cioè, sì, sono due settimane che non si presenta a casa e che non chiama neanche sua madre. Se n’è andata con un ragazzo che a noi non è mai piaciuto e…”
“Vorreste riportarla a casa?”
“No… A dire il vero, eventualmente sì. Ma voglio verificare che non finisca nei guai. Lei dovrebbe raccogliermi informazioni, tenermi aggiornato”.
“Ma la ragazza è minorenne?”
“No, ha 20 anni”.
“Bene, questo semplifica la questione”.
Sempre indagini private, insomma. Stanare una giovane che il padre, nel successivo incontro (stavolta fisico, per la formalizzazione dell’incarico), non ha esitato a definire una “sbandata”, una che frequenta “giri tutt’altro che raccomandabili”. Tradotto in termini meno brutali e più realistici, la ragazza – riesce a ricostruire l’investigatore ligure – s’è stancata di quel giro di arricchiti della Genova bene e vorrebbe concentrarsi su qualcosa di più costruttivo che le compagnie dandy dei coetanei pari status.
Claudio la segue per settimane. Si accorge che vive in un appartamento in affitto che divide con il suo ragazzo, un operatore sociale che lavora al carcere di Marassi. Lei, la sua quota per la casa e le bollette, la paga facendo la baby sitter nel week end e la commessa in un erboristeria il mattino. Il tempo che avanza, viene messo scrupolosamente da parte per pagare le tasse universitarie e in quello che rimane Giulia, la ventenne in questione, lo usa con il suo ragazzo per fare volontariato in un’organizzazione governativa che si occupa di infanzia.
“Altro che sbandata”, pensa Claudio mentre mette insieme il dossier che il padre della ragazza gli ha commissionato. “La sbandata avrebbe da insegnarne all’apprensivo e borghesissimo genitore”.
Continua però il suo lavoro, Claudio, astenendosi come deontologia impone da qualsiasi commento sull’osservata e, soprattutto, sul committente, colui che gli paga le fatture che ha iniziato a emettere. E viene a sapere che anche Giulia, il suo ragazzo e gli altri operatori locali della Ong ci saranno nei cortei che sfileranno per il capoluogo per protestare contro il G8, fissato dal 19 a 22 luglio di quell’anno. Cartelli e striscioni sono pronti. Richieste di una finanza più equa, condanna delle speculazioni, interventi per combattere la povertà i messaggi più “eversivi” che quel materiale da corteo contiene.
Quando poi le manifestazioni iniziano, Claudio si “infiltra”. Di certo non è lì per fare casino, deve solo seguire Giulia e per farlo infila un paio di jeans, una maglietta di Emercengy e una macchina fotografica al collo. Ne approfitta così per scattare anche i cortei, l’atmosfera frizzante e vivace di quel primo giorno di protesta.
“Sta’ a vedere che tutto quell’allarme sbandierato per mesi non ha alcun motivo di essere”, pensa tra sé mentre sfila con gli altri il 19 luglio 2001. Ma nei giorni successivi sarà costretto a rivedere quella prima (e positiva) impressione. A un certo punto Claudio smette senza rendersene conto di essere un investigatore privato dietro al suo obiettivo e inizia a trasformarsi in una specie di guardia del corpo a distanza di Giulia. E quando i due, pur a distanza, passeranno dalle parti di via Tolemaide, ecco che ci sarà il primo e unico contatto tra Claudio e la ragazza. La situazione qui è ormai esplosiva e occorre defilarsi. Così, prima di trovarsi intrappolati troppo vicini agli scontri, l’investigatore si accorge che Giulia è rimasta isolata dal suo gruppo e non sa più come muoversi.
“Vieni, per di qua”, le dice. “Mi sentivo un po’ Dylan Dog con la ragazza in difficoltà da salvare”. Claudio scherza ricordando il tumulto di quel giorno. E un po’ gli si gonfia il petto quando aggiunge che Giulia è riuscita a farla sgattaiolare per le vie laterali. La rivedrà (sempre a senso unico, perché lei di nuovo non si accorgerà più della sua presenza e lui terminerà il suo lavoro) qualche giorno dopo, dopo le dimissioni. Perché l’investigatore privato imbottigliato c’è rimasto lui. E le manganellate non le ha schivate. “Alla fine a me è andata bene, quattro giorni di prognosi per qualche contusione. In quei giorni c’è chi è andata molto peggio”.
Giaime Garzia, politologo di formazione, è un giornalista e un critico letterario. Ha collaborato con varie testate nazionali.