Nuova strage di pacifici manifestanti palestinesi per mano del solito esercito israeliano dall’ammazzamento facile. Dopo la ventina di omicidi, con contorno di centinaia di feriti, di pochi giorni fa in occasione delle manifestazioni per la Naqba, cioè per “Il Disastro” della cacciata a mano armata di 700 mila palestinesi dalle loro terre seguita alla proclamazione dello Stato di Israele, ecco la ventina di omicidi delle ultime ore in occasione della Naksa: in occasione cioè della ricorrenza della sconfitta nella Guerra dei Sei Giorni del ’67 dei farraginosi eserciti di Egitto, Siria e Giordania per mano di quello di Israele. Che si prepara alla nuova mattanza di “pacifinti”, come gli ipocristi chiamano i pacifisti non antipalestinesi, della prossima Flotilla diretta a Gaza dopo la strage di 9 pacifisti turchi a bordo di una nave della Flotilla precedente. A parte le chiacchiere, le bugie e il sempre più cinico e intollerabile farsi scudo della Shoà, che non è una tragedia privata degli israeliani, non appartiene solo a loro, ma è una tragedia del mondo e al mondo intero appartiene, le cifre mettono a nudo la realtà della repressione militare israeliana e i suoi obiettivi. Dal 200o al 2010 a fronte di 1.083 vittime civili della “insorgenza” palestinese ci sonon 6.371 vittime civili palestinesi. Non siamo ancora al famoso rapporto “1 a 10″, di orribile memoria, ma ci siamo vicini, anche perché nel 2011 le altre vittime palestinesi non sonio certo poche: una vergogna per Israele. Che ai palestinesi ha anche rubato terra per piazzarci ben 430 mila colonim in spregio a tutte le leggi internazionali e alle stesse risoluzioni e richieste dell’Onu. I rifugiati palestinesi che campano con l’elemosina dell’Unrwa, l’apposita agenzia dell’Onu, sono ormai arrivati alla astronomica cifra di 4,8 milioni. Le case demolite e gli alberi da frutta palestinesi, olivi e arance soprattutto, distrutti per rappresaglia dagli israeliani assommano ormai a decine di migliaia le prime e a centinaia di migliaia i secondi. Ho perso il conto dei pozzi e delle fonti d’acqua palestinesi requisiti, cioè rubati, ai palestinesi. Ci sono situazioni scandalose che francamente gridano vendetta, dall’impossiiblità per certi villaggi, piani di bambini, a poter disporre di acqua ed elettricità alla moria di donne incinta impossibilitate a ricoverarsi in ospedale per partorire a causa dei chek point chiusi e del menefreghismo dei soldati addetti al loro funzionamento. La situazione di Gaza non ha bisogno di essere illustrata.Di ormai insopportabile ipocrisia l’appello Usa “alla calma” dopo la mattanza di manifestanti della Naqsa, insopportabile specie dopo che Obama ha dovuto rimangiarsi di fronte alla platea dell’AIPAC, la più potente delle lobby sioniste pro Israele degli Usa, quello che pochi giorni prima aveva fatto infuriare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in visita alla Casa Bianca. L’AIPAC fa ballare in particolare la signora Hilary Clinton, cioè il segretario di Stato Usa all’origine del viscido appello “alla calma”: oltre ad essere stata eletta con l’appoggio dell’AIPAC, la signora Clinton ha la figlia Chelsea andata sposa in pompa magna un anno fa a Marc Mezvinsky, rampollo di una straricca famiglia di finanzieri sionisti tenaci sostenitori di Israele sempre e comunque.
Obama ha dovuto dichiarare pubblicamente all’AIPAC il contrario di quello che poche ore prima aveva sbattuto in faccia a Netanyahu. Se a questi aveva annunciato che lo Stato palestinese è ormai inevitabile che finalmente nasca, tanto ormai dopo 60 anni di angherie, furti di terra e vessazioni varie sarà grande al massimo come un francobollo gruviera, alla platea dell’AIPAC ha docuto garantire che gli Usa non ne appoggeranno la nascita se non alle condizioni di Israele. In particolare, lo Staterello palestinese “dovrà essere smilitarizzato”, cioè sempre sottoponibile a invasione da parte di Israele usa a violare i confini altrui e dotata anche di centinaia di testate nucleari. Non c’è bisogno di commenti.
Vale la pena invece di occuparci del discorso di Netanyahu al senato Usa fatto dopo la gelida visita alla Casa Bianca. E’ ora infatti di prendere di petto tutta una serie di miti e chiamarli coni il loro nome: miti, appunto. O, più prosaicamente, panzane alle quali un popolo è libero di credere – ogni popolo, compreso quello italiano, ha le sue “panzane” mito, e sono sacre – ma non può certo pretendere, per giunta con le armi, che ci debbano credere anche gli altri popoli. Specie se si usano i propri miti come comoda scusa per mettersi sotto il tallone altri popoli.
Nel suo applauditissimo discorso al parlamento Usa, il capo del governo israeliano – che punta chiaramente a evitare che Obama venga rieletto, e quindi punta anche a che l’AIPAC non stanzi fondi per la sua campagna elettorale – ha infatti ripetuto la solita ferrea, monolitica e tranchant affermazione, il classico cavallo di battaglia e tabù del sionismo: “Israele è la terra dei nostri avi e quindi abbiamo tutto il diritto di tornarci e di restarci”. La prima obiezione che viene spontanea è perché mai lo stesso diritto non lo debbano avere le centinaia di popoli delle Americhe, del nord, del centro e del sud, costretti a vivere in riserve o a essere cittadini di serie B, quando non di serie C, o i vari popoli africani, come i boscimani o i bantù, e gli aborigeni australiani. I mapuche dell’Argentina hanno anzi perso la causa in tribunale con la quale chiedevano di poter tornare nelle terre degli avi in Patagonia, terre oggi occupate dagli italiani Benetton – sì, quelli della United Colors of Benetton – per far pascolare le mandrie di pecore dalle quali ricavano la lana per i loro tessuti. In Australia gli aborigeni si sono rivolti alla magistratura per chiedere di riavere almeno la città di Perth, che è oltretutto aborigena anche nel nome. Nella foresta amazonica sono ancora oggi varie le etnie spazzate via per far posto alle miniere e alla deforestazione per mano delle grandi compagnie minerarie o dei grandi latifonsisti, che fino a pochi decenni fa davano un premio a chiunque portasse loro un orecchio o un’altra prova di avere ucciso un “selvaggio”, cioè un indio da sfrattare armi alla mano mandandolo all’altro mondo.
Anche a voler evitare di polemizzare con tali paragoni, che dimostrano come anche nel campo dei diritti umani valga il criterio dei due pesi e due misure, basato sul principio che il più forte ha ragione mentre i più deboli se la prendono in quel posto, resta una obiezione fondamentale all’affermazioni di Netanyahu e del sionismo in genere. Rizzoli ha da poco pubblicato la traduzione del libro di un docente di Storia israeliano all’Università di Tel Aviv – ed ebreo, se questo particolare interessa a qualcuno che ha bisogno di timbri a garanzia – che si aggiunge a vari altri che spazzano via la definizione di “popolo ebraico” dimostrando che un tale popolo non esiste, né più e né meno come non esiste il popolo cristiano o cattolico, ma esistono vari popoli cristiani o cattolici, spesso perfino in guerra tra di loro come mostra impietosamente e in modo supremo anche e soprattutto la seconda guerra mondiale. Il docente in questione è Shlomo Sand, nato in Austria da genitori polacchi internati dai nazisti e scampati alla Shoà, emigrato con il figlio in Israele dopo avere rifiutato qualunque indennizzo dalla Germania. Sand nelle oltre 500 pagine del suo documentatissimo libro dimostra – anzi, ricorda, perché si tratta spesso di cose scritte già nella bibbia, anche se taciute – che alla religione nata in Giudea, oggi nota come ebraismo, si sono man mano convertiti re, regine e interi popoli, dal Marocco alla Mesopotamia, dal Sahara all’Europa, che con la Giudea non avevano nulla a che spartire. mi viene da ridere all’idea che Paolo Mieli o Momi Ovadia siano diversi da me perché sono ritenuti “semiti”, quando invece i semiti sono semmai gli arabi e i palestinesi, ma certo non gli ebrei europei o africani, come i falascià. Se la memoria non mi inganna, già Koestler fece notare che Hitler e i nazisti, e quindi anche Mussolini e i fascisti, erano ignoranti come bestie in fatto di “semiti” e non, visto che i tanto esecrati ebrei europei di semita non hanno mai avuto nulla.
Il professor Sand ricorda anche che la famosa diaspora ebraica è nata spontaneamente e molto tempo prima che i romani riconquistassero Gerusalemme distruggendo anche il Tempio, e che se si parla di “popolo ebraico errante” è solo perchè nell’800 il sionismo ha fatto proprio il mito cristiano dell’”ebreo errante”, eternamente errante in quanto “popolo deicida” perché aveva “ucciso Gesù”. A dire il vero Sand ricorda anche un’altra cosa, piuttosto imbarazzante: il sionismo è nato nella setssa epoca e nella stessa zona dell’Europa orientale che ha visto nascere altri nazionalismi basati su falsificazioni mitologiche della Storia e sul mito della “purezza del sangue e delle origini”, come il nazionalismo tedesco diventato poi nazionalsocialismo o nazismo che dir si voglia e lo slavismo. Sand fa notare altre due cose. La prima è che le democrazie e gli Stati dell’Europa occidentale, dall’Inghilterra all’Italia, dalla Francia alla Spagna, hanno un concetto della cittadinanza e dello stesso nazionalimo che è un concetto “inclusivista”, vale a dire che include chiunque viva, e meglio se paga le passe, su uno stesso territorio nazionale a prescindere dalla religione e dall’oridine familiare e degli avi della proprio nazionalismo. La seconda è che gli Stati e i nazionalismi dell’Europa orientale hanno invece avuto una concezione della cittadinanza tipicamente “esclusivista”: vale a dire, che esclude chi non appartenga alla stessa “razza”, allo stesso ceppo “del sangue” o non discenda dalle “tribù fondatrici” dei rispettivi popoli. Tra i nazionalismi “esclusivisti”, oltre al nazionalismo tedesco sfociato nel nazismo della “pura razza ariana”, c’è il nazionalismo ebraico noto come sionismo. Che, come si vede, e lo dimostra Sand, non lo dice cioè un “antisemita”, non ha un bel blasone, un gran bel pedigree.
In ogni caso, ma Netanyahu&C ignorano volutamente anche questo, cioè che il sionismo non è mai stato un blocco monolitico, per giunta antiarabo o antipalestinese. Non solo c’è stato il sionosmo per esempi di Judha Magnes, che voleva sì la creazione dello Stato israeliano nela Palestina storica, ma voleva che fosse uno Stato e una democrazia “inclusivista”: vale a dire, con pari doveri e diritti per ebrei, musulmani, cristiani, atei, agnostici e quant’altro. E tra i vari partiti sionisti, Mapai, Mapam, ecc., c’erano anche quelli che non distinguevano – sotto il profilo della cittadinanza e della parità di diritti e dover – tra ebrei e non ebrei. Lo scrive molto bene un altro docente di Storia israeliano – ed ebreo, sempre se a qualcuno interessa il sigillo di garanzia – come Ilan Greilsammer, nel suo agile libretto “Il sionismo”, edito da il Mulino. Greilsammer dimostra anche come il sionismo abbia falsificato la storia ebraica inventando una serie di miti utili alla causa del nazionalismo ebraico teso ad avere un suo Stato.
Sia Sand che Greilsammer auspicano, come il sottoscritto e una moltitudine di intellettuali israeliani e di ebrei non israeliani, che – ora che Israele esiste – il sionismo politicamente si aggiorni, rivisiti il suo nazionalismo e i suoi miti, e si renda conto che la legittimità dello Stato di Israele è basata non sulla bibbia et similia, bensì sulla famosa risoluzione dell’Onu del 1948. La stessa che legittima, finora – e forse ormai per sempre – inutilmente, la nascita di uno Stato palestinese.
Intanto però Netanyahu a Washington ha barato, come del resto la maggioranza dei sionisti odierni, e ha potuto farlo, per giunta venendo anche applaudito pare ben 30 volte, solo perché su certi argomenti si preferisce coltivare l’ignoranza, lasciare briglia sciolta e pascolo libero a stereotipi e falsità storica, base per l’appunto dell’ignoranza di massa utile a predicare ciò che da troppo tenpo si predica. E si pratica.
Di fronte alla durezza di Netanyahu, che punta addirittura a far cacciare Obama dalla Casa Bianca facendo leva negli Usa sulla comunità ebraica e su quella cristiana sionista , è bene cominciare a dire ad alta voce che a contribuire al suo dente avvelenato è, oltre alla sete di potere tipica dei politici, il fatto che è il fratello di un soldato, Jonathan Netanyahu, caduto durante l’attacco israeliano all’aeroporto di Entebbe nel 1976. E’ il caso di cominciare a dire ad alta voce anche che l’attuale primo ministro israeliano ha creato negli Usa, nei vari anni in cui ci ha vissuto, il think tank Jonathan Institute, non a caso intitolato al fratello caduto nell’attacco a Entebbe. E’ bene infatti si sappia, se si vuole capire perché Israele rischia il vicolo cieco, con tutte le sue conseguenze, che il Benjamin Institute ha avuto un ruolo non trascurabile nel teorizzare il passaggio dalla guerra fretta Usa-Urss al confronto tra Nord e Sud del mondo. Il confronto, vale a dire, che ha permesso alle industrie di armi di continuare a prosperare e che rischia di trascinarci in una nuova guerra mondiale.
Netanyahu non è un politico onesto, tra i sionisti è forse il politico più pericoloso e meno onesto: confonde infatti i suoi rancori e la sua sete di potere con gli interessi di Israele, per giunta spacciandoli anche lui come interessi di tutti gli ebrei del mondo. Chiunque sia amico del mondo ebraico, e magari anche di Israele, senza per questo essere nemico mortale di altri mondi e altri Stati, deve svegliarsi: aprire gli occhi e fare la sua parte. Prima che sia troppo tardi.
Pino Nicotri, inviato storico dell'Espresso. Fra i suoi libri inchiesta: "Il silenzio di Stato", "Tangenti in confessionale", "Mafioso per caso" (Kaos Editore), "Fiat, fabbrica italiana automobili e tangenti", "Lucciole nere". Anima il blog "Giornalisti senza Bavaglio" . Nicotri fa parte anche del gruppo "Senza Bavaglio" ed è consigliere generale Inpgi e consigliere Lombarda.