Musulmani, cristiani, gruppi etnici provano a riconciliarsi nel Ciad del petrolio. Speranza da allargare al Niger dei massacri e dell’uranio, ricchezze che sono il lievito del disordine. Ma gli affari dei paesi civili ne hanno bisogno
Moissala (Ciad) – La prima parola che si impara in Mbay, lingua che si parla a Moissala, è “lapia”: vuol dire “Pace”. Qui c’è n’è un gran bisogno dopo una storia di guerre civili, conflitti continui, colpi di Stato. Oggi si respira un’aria abbastanza serena non fosse per gli allevatori Mbororo: scendono a sud con il bestiame e devastano i campi dei contadini, cioè tutto quello che hanno. Vecchie storie di ingiustizia che si trascinano.
Ma la voglia è di ripartire e di provare a costruire insieme, tutti i gruppi etnici e tra musulmani e cristiani, l’avvenire di un paese che comincia a rialzarsi.
La povertà è diffusissima, le scuole comunitarie nei villaggi sono un disastro, mancano infrastrutture, ma tutti dicono che è in corso una piccola trasformazione che da tempo non si vedeva. Qualche strada asfaltata, impensabile fino a due anni fa; qualche costruzione di scuole e ospedali in cemento sono i piccoli risultati dei proventi del petrolio che il governo, il quale deve averne ben intascato la maggior parte insieme alle potenze occidentali, cerca ora di dedicare alle emergenze sociali.
Ma il punto più importante è la condizione perché lo sviluppo avvenga: la riconciliazione tra gruppi etnici così diversi anche per le lingue che sono tantissime e difficili da imparare. Per anni si sono affrontati con le armi. I vescovi del Ciad nel messaggio di Natale hanno rilanciato l’esigenza di ricostruire l’avvenire del paese sulle basi della giustizia e del perdono, ricordando la profetica testimonianza di Nelson Mandela per il Sudafrica e per tutto il continente africano. L’11 febbraio abbiamo celebrato i 20 anni della liberazione del primo presidente nero del Sudafrica, dopo 27 anni di carcere per aver lottato contro l’apartheid.
Non si sentono più per il momento attacchi di ribelli o situazioni gravi di disordini; sembra davvero il tempo di rialzarsi. E così facendo il paese può dare testimonianza di pace al vicino Niger che, in piena crisi, vittima da pochi giorni di un colpo di Stato. Non so quanto ne abbiano parlato in Europa, visto che dell’Africa ci si ricorda quando c’è da sfruttare (Il Niger è il terzo produttore mondiale di uranio) o quando c’è da fare elemosine tipo G8. Qui c’è bisogno di giustizia e basta.
È vero che gli africani attraverso i loro leaders hanno gravi responsabilità nei processi di impoverimento, ma è altrettanto vero che i potenti del mondo sono sempre là per spartirsi la torta: tutti dicono che senza la Francia in Ciad non si va da nessuna parte. E noi, qui, nel 2010 dovremmo celebrare, i 50 d’indipendenza? Da chi? Quella Francia che “permise” un’indipendenza di facciata è la stessa che oggi con altri paesi, Usa e Cina, decidono le sorti del petrolio e delle elezioni.
A sud ci stiamo preparando alla Pasqua, al tempo più importante per la vita di un cristiano che cammina alla costruzione del Regno di Dio, cioè un mondo di giustizia, pace e riconciliazione. La Chiesa in Africa si prepara a lavorare per questo, a servizio del Regno di Dio. È quanto hanno affermato i vescovi africani riuniti a Roma in ottobre per il secondo Sinodo sull’Africa. Se nel 1994 al primo Sinodo, quando è scoppiata la terribile guerra in Ruanda (dove i cristiani si sono massacrati tra loro), l’immagine dell’Africa era quella dell’uomo caduto nelle mani dei banditi sulla strada per Gerico (Lc 10,25-37); oggi l’immagine è di un paralitico invitato da Gesù di Nazareth a prendere il proprio destino in mano e a rialzarsi! (Mc 2,1-12).
Nel cammino della Quaresima respiriamo già la resurrezione della Pasqua, anche se la marcia è lunga. Abbiamo comunità di base (CEBs) nei villaggi (più di 90!), comunità decadute e morte: stanno ricominciando a ritrovarsi, persone che avevano lasciato e ritornano, CEBs che nel tempo di raccolta donano il miglio (alimento principale per cucinare la “boule”, la polenta di ogni giorno) per il funzionamento di tutta la comunità cristiana. Insomma, c’è fermento e vitalità dentro alle contraddizioni e sfide che sono immense come l’AIDS, alcool e la prostituzione (rafforzati dalla presenza del petrolio), la corruzione a tutti i livelli, la difficoltà di accedere ai medicinali.
Ma la Pasqua si vive dentro la passione e la morte. Senza passaggio non c’è resurrezione.
Dentro questa realtà che ci sorpassa, più profonda e complicata di quanto io possa capire o riesca a scrivere, cerchiamo di restare, come missionari comboniani, fedeli al popolo che soffre, per rialzarci insieme. O almeno cercare di farlo, visto che la fiamma e la voglia di pace sono ancora molto fragili e basta un niente per spegnerle. La speranza va anche costruita giorno per giorno nelle piccole vicende quotidiane a cominciare dai rapporti con la gente, che ascolta e condivide per ore e ore sotto gli alberi, al riparo dal sole che brucia davvero, prima di arrivare ad una decisione comune.
È dentro questa realtà che mi sento chiamato a “stare” e condividere un tratto di strada insieme. È dentro questa realtà che mi sento al mio posto, la dove Dio oggi mi vuole. Anche e soprattutto fragile, balbettando qualcosa della lingua locale, senza poter fare grandi cose o progetti. Ma più che tante cose forse oggi la Missione ci chiede di rialzarci assieme all’Africa. Forse quando Comboni (ndr – fondatore dell’ordine religioso) sognava di “liberare l’Africa con l’Africa” voleva proprio questo. È un forse, non ho certezze, se non quella di sentirmi amato e inviato dal Padre a restare qui, a rialzare e a lasciarmi rialzare per camminare insieme. Rialziamoci insieme. Buon cammino di Pasqua.
Filippo Ivardi Canapini è un giovane missionario comboniano nella Missione Cattolica di Moissala, Ciad meridionale
MISSIONAIRES COMBONIENS
MISSION CATHOLIQUE MOISSALA
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Filippo Ivardi Ganapini è un giovane missionario comboniano. Opera nella missione cattolica di Moissala, Ciad meridionale.