Sono in mille all’Auditorium di Renzo Piano, incollati alle poltrone da tre ore, un gelido dopocena di gennaio, nella nebbiosa Parma. Sono qui per “Dalla Culla alla Culla”, un nuovo modo di guardare al futuro, costruendo senza provocar danno ne rifiuti. Sul palco Michael Baumgart, chimico tedesco e, via skype, dalla Virginia, William Mc Donnough, architetto visionario. In coppia stanno rivoluzionando il mondo, al punto da essere identificati dal Time come eroi del pianeta. È l’ultima provocazione dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma, che dal 2006 lotta contro il progetto di un inceneritore di rifiuti, che per vent’anni brucerà risorse preziose, inquinando l’ambiente. Quindi oltre ai no, molti sì sulla via che ha dettato l’Europa, riduzione, riuso, riciclo, recupero. I rifiuti come risorsa, i rifiuti come cibo.
Sull’altra curva invece ti raccontano di una macchina meravigliosa, che invece fa sparire i rifiuti, senza inquinare, anzi, migliorando l’aria circostante, che uscirà dal camino “più pura” di come entra. La raccontano ancora oggi, come una litania che alla lunga ti entra in testa e ti convince. Ah, la tecnologia, che passi da gigante che ha fatto!
La favola circola tra gli uffici della Provincia di Parma, l’ente che ha condotto per mano Iren, la società per azioni che sta costruendo il mostruoso inceneritore di Ugozzolo, 4 km dal centro città, come vicini di casa Barilla, Greci, la sterminata food valley, come capacità il doppio dei rifiuti urbani residui prodotti dall’intera provincia. È la stessa Iren che ha come dipendente la figlia del presidente della Provincia, Bernazzoli, sconcertanti coincidenze. Anche se oggi dentro la multi utility non credono più ai miracoli: gli stessi dipendenti, dietro le quinte, ti raccontano le loro perplessità e il loro rammarico di dover sostenere un’opera così inutile e dannosa.
Così come i colletti bianchi della Provincia, che escono dai loro uffici scrollando la testa. Molti abitano dove sorgerà il forno. La stessa Barilla, timorosa di una battaglia frontale che teme di perdere, lavora ai fianchi, dicendo in politichese che “è preoccupata per la percezione dei consumatori”, e si concentra nel green washing, organizzando convegni sull’importanza della salubrità dei cibi, cercando di distrarsi dal cantiere che cresce, preparandosi agli scenari del “dopo accensione”.
Lo stesso sindaco di Parma Vignali oggi dice che se dovesse decidere ora non lo farebbe, l’inceneritore, ma non ha modo di fermare il cantiere, sotto minaccia di pesanti penali. Eppure continua a recitare lo slogan futurista di Parma, “una città più sana e vivibile”, come ci riuscirà con le pesanti emissioni dell’inceneritore? Il cerino gira, lo stoppino sempre più corto, la Provincia è in silenzio stampa da 2 mesi, e quando intravede gli attivisti che vogliono parlare fugge a gambe levata, come in occasione del premio Sant’Ilario, il presidente della Provincia si imbuca dalla porta laterale, non una gran figura.
La ribellione a tutto questo, come ormai succede nel nostro Paese, nasce dal basso. Pochi cittadini testardi e convinti dell’errore, che cominciano a scartabellare e diventano sempre più informati e critici. È il 2010 l’anno dell’esplosione del comitato Gestione Corretta Rifiuti. Entrano nuove forze, ci si organizza con l’aiuto della tecnologia, che davvero in certi campi fa miracoli. Un anno vissuto intensamente, una girandola di iniziative che hanno messo in luce tutti i punti oscuri della vicenda, ma anche presentato l’alternativa possibile, convincente, economica, realizzabile da subito, elaborata da ingegneri e chimici dei rispettivi ordini professionali, nomi e cognomi, mica balzane.
Attraverso una puntuale rilettura dei documenti, facendo le giuste domande, aprendosi anche al di fuori della cinta cittadina, formando un movimento che fa sentire il suo fiato rovente su tutti, amministrazioni locali, partiti, aziende, la stessa multi utility, il Gcr ora è temuto, e rispettato. E diventa impertinente, disturba le premiazioni con le bandiere corsare No Ince, irrompe in convegni seriosi e piene di poltrone vuote, non da tregua, punge.
È l’anno della piazza, una manifestazione nazionale in aprile, una festa a rifiuti zero a luglio, la fiaccolata fin sotto la casa del sindaco a dicembre, difeso nel suo privato perfino dall’opposizione, ed è l’anno dei convegni, due serate esaurite all’auditorium Paganini, mille posti andati a ruba in giorni feriali, cose mai viste a Parma, abituata a sonnecchiare a casa, nelle serate nebbiose. Un tempo cadenzato di iniziative, raccolte di firme, creazione di reti per la difesa del territorio, diffusione di informazione, creazione di siti internet e di intensa presenza sulla stampa, in trasmissioni dei media locali, dentro le scuole per ragionare sulla corretta gestione dei rifiuti.
Facendosi coraggio con la disciplina e la scienza, quella dei medici per l’ambiente di Isde, che a Parma hanno come valido rappresentante Manrico Guerra, uno dei primissimi del comitato, e in Italia Patrizia Gentilini, Ernesto Burgio, alfieri della difesa dell’ambiente, quella franca e a tutto campo, senza sconti. È l’Italia dei vinti che rialza la testa, scopre dentro se stessa quei valori ormai desueti tra la classe politica, le aziende e le associazioni di categoria, impegnate solo a difendere i propri miseri orticelli di vantaggi, incuranti dell’enorme danno alla collettività che verrà prodotto.
Così si consuma l’ultima speranza di avere dall’altra parte della barricata qualcuno o qualcosa che rappresenti la base, i cittadini attenti, che sia per loro guida, ascolto, risposta. Tutto da fare, tutto da rifare, tutto da riprogettare, a cominciare dal modello di rappresentanza. La storia dell’inceneritore di Parma si perde nel 2005, ormai lontanissimo anno dove il territorio progetta un piano di gestione dei rifiuti che individua un impianto complesso per trattare la frazione residua. Di scenari alternativi nemmeno un rigo. Tra i progettisti un graduato di Legambiente, che davvero non riesce a comprendere come possano far male i fumi degli inceneritori.
Cinque anni che sembrano un secolo fa, tanto erano embrionali le tecnologie in campo per il trattamento meccanico a freddo dei rifiuti e la sensibilità ambientale e la coscienza della materia che sta finendo, che rimane ultima preziosa merce, da recuperare fino all’ultimo pezzo di plastica sporca. Allora tutti d’accordo a costruire un impianto di incenerimento di ultima generazione, che purtroppo non fa rima con salute e sicurezza, ma solo con costi altissimi, per la collettività, e una verifica di gestione impossibile. In giro per il Belpaese la sequela di impianti sequestrati, territori inquinati, malattie provocate, Brescia, Pietrasanta, Montale, Colleferro, Arezzo. Studi italiani ma anche internazionali destano sconcerto e preoccupazione, spingono l’ordine dei medici dell’Emilia Romagna a chiedere una moratoria, inascoltata e bacchettata dall’allora ministro Bersani.
Gli studi ci preparano al peggio, vivere vicino agli impianti porta alla malattia, della peggiore. Ma le potenti lobby legate al business degli inceneritori hanno pronte carte di università blasonate, da loro copiosamente sostenute. Perché bruciare rifiuti conviene, a chi li brucia. Il carburante viene dato gratuitamente, anzi, si è pagati per raccoglierlo. Lo stato italiano sostiene questa pratica pur andando in infrazione in Europa, il calore prodotto viene venduto come teleriscaldamento, così come l’energia elettrica, pagata 3 volte la tariffa normale. È il grande gioco che frutta milioni di euro, che mette d’accordo sinistra e destra nella spartizione dei territori, che è insensibile ai danni provocati, tanto l’inquinamento è ovunque e gli impianti vengono sempre costruiti in aree già degradate, vicino alle autostrade, in aree industriali già compromesse.
Ma non mancano gli scivoloni, tra le file dei sostenitori dell’impianto parmigiano, pressati dalla protesta, cadono spesso nel ridicolo. Castellani, assessore ambiente targato Pd, afferma che la combustione non produce diossina e la sua omologa Sassi, in comune per il centrodestra, paragona il fumo di una grigliata a quello dell’inceneritore, sostenendo la maggiore pericolosità del primo. L’ex presidente di Enia (Iren) invece consiglia di acquistare casa vicino al camino, e si sta ancora aspettando dove ha scelto la sua: nel frattempo il comune lo ha silurato nel nuovo Cda. L’attuale Ad, Viero, condannato dalla Corte dei Conti a pagare mezzo milione di euro per danno all’erario, dovrebbe lasciare la poltrona, secondo una chiara delibera a larga maggioranza di Reggio Emilia. Ma tutto tace, la nebbia è regina.
E si fanno gli scongiuri affinché arrivi il giorno dell’accensione e tutto si plachi. Al cantiere non mancano i problemi tecnici: la zona è friabile, a rischio esondazione, a livello della falda. La terra si sbriciola intorno ai pali e la costruzione va a rilento, i costi aumentano. La stessa Iren, pur obbligata da una delibera del consiglio comunale di Parma a fornire ampia documentazione sul progetto, nega ai cittadini, ma addirittura allo stesso sindaco, il piano economico finanziario. Dentro si cela il costo enorme dell’impianto, che da 180 milioni passa a oltre 300, avendo l’intenzione di raddoppiare le linee, come fecero a Brescia, per raddoppiare i guadagni, e pesare sulle tasche dei cittadini attraverso il teleriscaldamento, un servizio in monopolio i cui costi sono talmente alti da far indignare le associazioni dei consumatori e mandare denunce all’Antitrust.
Anno intenso, che ha fatto crescere le fila della protesta. Una mailing list con diecimila indirizzi, una raccolta di firme in corso con l’appoggio di alcune tabaccherie, la coscienza comune ormai protesa verso il no all’impianto. Quasi un partito, che guarda al 2012, anno di voto per la città, intravedendo una sorta di traguardo. Chi sarà contro, chi a favore? Nei partiti è grigio uniforme, tranne alcune schegge, i grillini, rifondazione, forse la lega, forse l’Idv. Ma l’impressione è che nessuno prenda in mano con cognizione di causa la questione, nessuno che si ponga di traverso al progetto, che alzi la barricata come nel ’22, quando nel secolo ventesimo Parma non fece passare Balbo e i suoi bruti.
Oggi solo i cittadini a difesa del territorio, per aiutare tutti a capire, comprendere, decidere, scegliere. Strada in salita, curve, buche, interruzioni, ma unica via per uscire dal baratro. Quando sono i cittadini a riprendersi la delega, si crea fermento, il lievito torna tra le persone, che spengono le tv e riaccendono i cervelli. Si ri-scopre di non essere soli, di essere in tanti a vedere altro oltre la desolante realtà. E si comunica l’entusiasmo, ci si sente di nuovo padroni di se stessi, protagonisti del proprio cammino. La strada della libertà passa attraverso tante prove. Se i cittadini sapranno fare rete, i giochi saranno presto fatti, i corpuscoli uniti diventeranno massa.
E saranno loro a decidere il proprio futuro. Senza deleghe. È l’Italia migliore, l’Italia ribelle.
Aldo Caffagnini, montanaro di Bardi, giornalista pubblicista, è presidente del gruppo di acquisto solidale di Parma "La Spiga". Con l'Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse è in lotta per bloccare la costruzione del nuovo inceneritore di Parma.