In attesa che la politica torni ad essere una cosa seria, il “dibattito” si concentra da mesi sulle auspicate ed auspicabili dimissioni di Berlusconi. Al quale, nel frattempo, è stato però lasciato tutto il tempo per raccontare – a reti unificate ed unificanti – che è in atto un tentativo di un ennesimo “ribaltone”. È una bugia, naturalmente. Ma non sarebbe la prima volta che le bugie del Caimano mostrano gambe molto più lunghe delle sue.
Fortunatamente tra gli opinionisti che hanno spazio sui grandi giornali non esistono solo i Battista e gli Ostellino. Su La Stampa del 26 novembre Michele Ainis, docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università Roma Tre, ha proposto alle forze politiche un “lodo” alquanto provocatorio, ma non privo di fondamenti: «Berlusconi continui a governare, il Parlamento modifichi la legge elettorale. Servirà una maggioranza diversa da quella che sostiene l’esecutivo in carica? Non è un delitto, è la normalità costituzionale. Il delitto è quello che altrimenti ci verrà servito in tavola alle prossime elezioni».
La proposta di Ainis, rivolta a «questi carissimi nemici» (linguaggio dell’odio, si dirà; ma forse è semplicemente chiarezza di linguaggio), deriva da due constatazioni:
- «l’urgenza di sbarazzarci di questa legge elettorale, prima che la legge si sbarazzi della nostra democrazia»;
- la sperimentata ed irrimediabile inaffidabilità degli interlocutori politici per una seria riforma: «la politica, di nuovo, fa il gioco dell’oca. Il Pd è d’accordo sull’urgenza, e infatti chiede un governo tecnico per cambiare sistema elettorale; così offrendo al Pdl una buona ragione per opporsi al cambiamento, perchè il governo tecnico rovescerebbe il risultato delle urne. Ma dopotutto è sempre la stessa tiritera: i nostri mandarini non stanno litigando sulle regole, bisticciano sui posti di governo, su una sistemazione per le loro auguste chiappe.».
In altre parole: siamo sicuri che personaggi come Di Pietro, per esempio, siano davvero intenzionati a modificare la porcata? Ovviamente è una domanda retorica: se Di Pietro venisse privato del suo controllo militare sull’Italia dei Valori, si scatenerebbe una guerra tra cacicchi, non meno virulenta di quella che caratterizzò la candidatura di De Luca in Campania, alle ultime regionali. E l’IdV non riuscirebbe a capitalizzare elettoralmente il consenso raccolto in questi mesi. Quando ci si abitua ad obbedire a un capo, è difficile riabituarsi alla… democrazia…
Purtroppo ci sono alte probabilità, quasi la certezza che in primavera si andrà a votare nuovamente con la porcata. Se sarà così, l’astensione crescerà. E la Costituzione sarà definitivamente devastata. A quel punto chi si assumerà la colpa? Gli attuali leader hanno più volte dimostrato una tale faccia tosta che non ci si dovrebbe stupire se, di fronte ad un disastro elettorale di proporzioni bibliche, scaricassero la colpa sul popolo degli astensionisti. Accusandoli di “qualunquismo” e di “antipolitica”, come da copione. Poi, però, dovrebbero (finalmente) andare a nascondersi: qualcuno probabilmente li inseguirebbe per strada con intenzioni poco “riformiste” e molto “radicali”… A prescindere dalla legge elettorale, in vista delle prossime elezioni politiche forse sarebbe meglio, ammesso che ce ne siano il tempo e la volontà, impegnarsi per sottoporre alle cittadine ed ai cittadini italiani una proposta politica seria, sostenibile e con-vincente. Purtroppo è risaputo che nella mente di alcuni noti strateghi de noantri covi un governo Tremonti. In altre parole c’è chi (D’Alema? Maroni? Fini?) vorrebbe dare la fiducia a un governo “di responsabilità” guidato dal più berlusconiano dei ministri: quel genio, per intenderci, che sta ipotecando il futuro dell’Italia perchè, a suo giudizio, “la cultuva non si mangia”.
In attesa che la base degli attuali partiti d’opposizione si ribelli a questo scenario inquietante (per esempio dicendo forte e chiaro ai rispettivi leader: “se sostenete un governo Tremonti noi stracciamo la tessera”), vale forse la pena incalzare i suddetti partiti a dichiarare esplicitamente quale tipo di riforma elettorale hanno in mente. Così, tanto per mostrare che si fa sul serio. Ai tempi dell’ultimo governo Prodi ci si incartò per mesi su una sterile discussione tra modello tedesco, modello francese e modello spagnolo. Con i risultati che conosciamo. Tutti coloro che, fin dal 2006, percepirono la gravità della porcata (senza virgolette) di Calderoli, incalzarono le forze politiche – apparentemente lente di riflessi – ad opporsi con tutti i mezzi a quella “riforma”.
Nessun segretario di partito, come al solito, risponderà al professor Ainis. Peraltro da più di una anno stiamo aspettando che qualche leader politico esprima un’opinione sul decalogo “per ricominciare da zero” proposto da Ainis nel suo libro “La cura” (Chiarelettere, 2009):
- disarmare le lobby;
- rompere l’oligarchia di partiti e sindacati;
- dare voce alle minoranze;
- annullare i privilegi della nascita;
- rifondare l’università sul merito;
- garantire l’equità dei concorsi;
- neutralizzare i conflitti d’interesse;
- favorire il ricambio della classe dirigente;
- impedire il governo degli inetti;
- promuovere il controllo democratico.
In sintesi: rendere l’Italia un Paese normale, decente, democratico. Naturalmente nel libro viene anche spiegato come, più nel dettaglio. Ai politici di professione, si sa, i professori non piacciono. Perciò ignoreranno anche quest’ultimo consiglio. Al massimo Berlusconi e Bossi diranno che, dopo Tele Kabul, oggi gli tocca fare i conti persino con “Alma Kabul”: l’università dei baroni rossi e romani che ce l’hanno con la Gelmini ed il Nord. Forse ci scapperà pure l’ennesima barzelletta. Ma il popolo ha smesso di ridere.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)