Pechino – In Europa si è discusso recentemente di come l’industria cinematografica nazionale in Cina stia crescendo sempre più, con produzioni costose e uno star-system che stanno progressivamente mettendo a rischio l’egemonia culturale internazionale dei film hollywoodiani.
In effetti film sempre più simili a blockbuster made in USA escono semestralmente dai teatri di posa di Pechino, finanziati molto spesso dallo stato (come nel caso di una produzione monumentale per celebrare i sessant’anni della repubblica popolare, e di un film biografico su Confucio, in grado di battere Avatar al botteghino), mentre giornali, tv e siti internet impazzano con gossip sulle celebrità nazionali.
Oggi in Cina soltanto 20 film occidentali sono ammessi ogni anno nel mercato nazionale, dopo attento esame culturale. Il risultato è di limitare l’impatto (decisivo nel ridefinire in Europa la sub-cultura popolare nel dopoguerra) che il cinema hollywoodiano potrebbe avere in un paese da un miliardo di potenziali spettatori. Spesso film sono scartati per minuscoli dettagli che i registi americani si rifiutano di cambiare, sfidando l’ira inspiegabile dei custodi dei dogma culturali. Batman – The Dark Knight è stato escluso dalla quota per aver osato mostrare il supereroe di Gotham City volare a Shanghai e mettere le ali su un gangster asiatico. Più sfortunato invece Martin Scorsese con il suo The Departed , bandito per avere umiliato il prestigio dell’Esercito Popolare di Liberazione, accennando nella sceneggiatura ad una compravendita di armi tra gangster americani e membri del governo di Pechino e toccando un tasto nazionalista che la nuova Cina non è disposta a mettere in discussione.
Tuttavia, quelle centinaia di film che, pur esclusi dalle quote nazionali non vengono banditi, cadono in un limbo che ne rende possibile la distribuzione per l’home-video su dvd, che nella stragrande maggioranza dei casi è pirata. I film occidentali vengono venduti in qualità spesso eccellente a meno di 10 kuay (1 euro), destinati a un mercato fatto in prevalenza di studenti universitari, ammirevoli appassionati, e alcuni colletti bianchi insoddisfatti. Difficile immaginare tuttavia che nelle campagne e centri lontano dalle grandi aree urbane si possa trovare lo stesso vasto assortimento di titoli occidentali che si possono recuperare a Pechino o Shanghai…
Le produzioni taiwanesi (politicamente penalizzate, ma ben presenti nel mercato nazionale), giapponesi, cantonesi, vietnamite o koreane sono presenti in forza nonostante il frequente basso livello qualitativo, e vendute negli stessi scaffali a fianco di film di Zhang Yimou o Michelangelo Antonioni (il regista italiano più presente sul mercato). Film-maker indipendenti come Spike Lee, Jim Jarmush o Abel Ferrara vengono spesso esclusi per non aver garantito sostanziosi ritorni commerciali, mentre giovani talenti italiani come Paolo Sorrentino o Matteo Garrone sono quasi impossibili da trovare.
Dal canto loro, i giovani alla disperata ricerca di storie sentimentali a lieto fine o intrattenimento adrenalinico preferiscono quasi sempre commedie romantiche o film d’azione,. Purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi film drammatici di riflessioni sociale sono considerati noiosi, se non addirittura tristi o inutili (il che non sorprende, visto che la discussione di problematiche sociali in Cina è spesso un argomento delicato e dai contorni politici). I giovani conoscono molto poco il cinema europeo, a cui non sono esposti prevalentemente a causa dei limiti distributivi e della ridotta ricchezza delle industrie cinematografiche, non in grado di soddisfare un’audience viziata dagli effetti speciali hollywoodiani.
Nella gelida Harbin fondata dai russi si possono trovare vecchissimi film di propaganda staliniana ma nessun film di Tarkovskij. Mostro ai miei studenti Ladri di Biciclette, film apprezzato enormemente dai registi cinesi della Quinta generazione ed ispiratore del controverso Beijing Bicycle, suscitando un generale interessamento per il dramma umano dei due personaggi, legato ad una così semplice vicenda. In un paio di negozi trovo film di Rossellini e Pasolini. Viene allora da chiedersi perchè film neorealisti di casa loro non vengano egualmente apprezzati, forse a confermare che la Cina del ventunesimo secolo sta coltivando un orgoglio nazionalista che si spinge ben oltre ai limiti di un salutare patriottismo.
Girovagando una sera tra minuscole viuzze animate da squallidi ristoranti, alberghi per coppie e message parlors scopro, quasi per caso, un cinema underground che sembra uscito dal West End londinese. Con tre sale dove ancora si può fumare e poltrone ricavate in sedili di automobili, il cinema rappresenta un incredibile opportunità di conoscenza culturale dell’occidente per le migliaia di studenti universitari che abitano in zona, in grado di guardarsi giorno e notte film a scelta per soli 6 kuay (60 centesimi), incuranti della pirateria cinematografica di questa oasi d’altri tempi senza licenza e diritti d’autore.
Il proiezionista, personaggio kafkiano, mi racconta di aver lavorato nel governo e, conoscendo tantissimi film, ha deciso di aprire un cinema. Mi racconta di preferire il cinema europeo di Godard e Bergman alle grandi produzioni americane, pasto preferito degli studenti ventenni che riempiono le poltrone del suo locale. Mi sorprende con parole d’oro per i primi film di Zhang Yimou, tra cui il meraviglioso Huózhe (“Vivere!”), bandito in Cina e costato caro all’autore per il tono critico verso la Rivoluzione Culturale.
Mi prende in simpatia offrendomi una sigaretta (gesto di stima e rispetto in Cina), mentre cerco di capire perchè non voglia proiettare Taxi Driver, a fianco di altri film molto più violenti (Arancia Meccanica o Pulp Fiction), dicendo che non è adatto a studenti. Posso solo fare congetture, e ripensare alla New York decadente e squallida di Scorsese dove Travis Bickle si fa giustiziere dopo aver tentato di uccidere un candidato alla presidenza. Un film che in Cina rischia di suggerire pericolosi modi di reazione individuale a problemi sociali che le autorità vogliono controllare dall’alto. Casi di follia omicida individuale capitano comunque, come è il caso di una micro-epidemia di massacri di bambini in asili pubblici da parte di uomini adulti usciti di senno. Ma fino a che punto può il controllo della penetrazione culturale cinematografica garantire l’assenza di comportamenti devianti, come tossicodipendenza, prostituzione o follia omicida?
Quello del controllo dell’influenza culturale è un problema cruciale nella Cina di oggi, timore principale del regime e causa dei severi controlli alla rete. La penetrazione culturale occidentale si fa però avanti attraverso i film scaricati e messi in commercio in versione pirata, non incontrando il bando del governo e senza rientrare nelle quote di mercato. Un limbo di enormi proporzioni che non è in grado di impedire la circolazione di film come V for Vendetta o Qualcuno volò sul nido del cuculo. Forse le quote alle importazioni cinematografiche occidentali confondono solo le cose, rendendo goffo il tentativo delle autorità di filtrare i film stranieri.
L’occidente farebbe bene a prescindere da puri calcoli commerciali nelle valutazioni sulla portata del mercato cinematografico cinese. In ballo c’è infatti una posta importantissima: il principale canale di conoscenza culturale per milioni di giovani cinesi è rappresentato infatti da film hollywoodiani che trasmettono spesso un’immagine dell’Occidente non più fatta di pace e prosperità come negli anni ’80 e ’90. Il kolossal 2012, uno dei peggiori film usciti nel 2009, ha saputo conquistare le simpatie delle autorità e del pubblico cinese, e lanciarsi così alla conquista del mercato più vasto al mondo, per aver dipinto la Cina come il paese che in uno scenario apocalittico guiderà la salvezza dell’umanità.
Al contempo, l’industria cinematografica nazionale sta crescendo sempre più in termini quantitativi, rendendosi in grado di sfidare a livello domestico le superproduzioni hollywoodiane, spesso boicottate in modo diretto o indiretto dalle autorità (come è stato il caso di Avatar). La strada da percorrere è tuttavia molto lunga, visto che il sessantesimo anniversario della Rivoluzione è stato salutato con ripetute trasmissioni del (modesto) super-kolossal politico The Founding of a Republic, per celebrare la vittoria di Mao e del partito comunista durante la guerra civile.
A rimetterci, con bandi, multe e obbligo di tagli, sono sempre i film migliori, ovvero quelli – pluridecorati da noi in Europa e spesso apprezzati da pochi timidi spettatori come il mio proiezionista – che dicono la verità…
Emanuele Scansani ha studiato scienze politiche internazionali dell'ex-URSS a Bologna e, in Gran Bretagna, a UCL e LSE, specializzandosi sui conflitti nei paesi comunisti e post-comunisti. Emanuele lavora al momento in Cina come Lecturer alla Harbin Normal University, nella Heilongjiang province.