Un urlo di dolore proviene da quella generazione che dovrebbe essere la linfa vitale del paese, che pare perdersi nei meandri di una società malata, in molti vi è la voglia di reagire a questa situazione ma, ci sentiamo bloccati dall’attuale struttura della società, in cui vi pare avanzare solo chi ha una spinta, ci si trova ad essere scoraggiati a vent’anni a non potersi permettere la pianificazione di progetti di vita, se non nei sogni.
Nella società odierna. In cui sembrano contare solo soldi e profitti (ottenibili attraverso sotterfugi) la cultura è percepita come un disvalore, l’unico fine apparentemente perseguito dai governi è la tensione sociale per spaccare il tessuto delle relazioni civili per ottenere una delega in bianco dalla popolazione per assicurare il benessere e lo sviluppo del paese, programmare a loro piacimento il futuro delle nuove generazioni, rispondere un bisogno di sicurezza creato ad hoc, il tutto per reprimere le masse pur sbandierando una fasulla “sovranità popolare”.
Tra le istituzioni più colpite da questa destabilizzazione del paese vi è infatti il mondo della Scuola, dell’Università e della Ricerca, certo, lo studio accademico non è “per tutti”, ma per chi è in grado di sostenerne il peso in termini di impegno, deve essere incoraggiato, supportato da uno Stato civile degno di questo nome, non essere ridotto ad una mera questione di costi economici e pertanto ai più precluso attraverso sotterfugi di vario genere.
Forse perché la conoscenza fa paura?
Negli anni, l’opinione pubblica ha, prevalente attraverso i media, dipinto l’università come un covo di neocomunisti in vacanza non intenzionati ad affrontare il mondo del lavoro subito dopo la scuola secondaria, oppure, di un passaggio obbligato per mettersi “alla pari” con gli altri che come noi l’hanno fatta o la stanno facendo, sperando poi di ricevere la giusta “spinta” al momento opportuno.
Si parla di un abbassamento dell’offerta formativa in maniera ridondante, a volte mi viene il sospetto che questo serva ad alimentare un business legato alle università.
Con sempre meno fondi a disposizione, puntano a raccogliere quante più iscrizioni possibili ai corsi di laurea di primo livello (le “triennali”), che nel mondo del lavoro sembrano considerate meno di un corso di formazione professionale per poi costringere buona parte delle persone all’iscrizione a redditizi e poco efficaci master o a lauree magistrali (che a volte non sono economicamente in grado di sostenere) che in molti corsi di laurea consistono nella ripetizione di argomenti trattati alla triennale o il completamento di quelle materie con i capitoli di libro non trattati nel precedente corso di laurea, questo crea dei laureati di serie A e di serie B, le cui competenze, a livello di formazione per l’occupazione di ruoli prettamente tecnici nel mondo del lavoro sono minime.
Le specializzazioni sono necessarie per taluni campi (la medicina, la fisica, certi campi dell’ingegneria applicata, l’architettura, la giurisprudenza..) ma, per molte professioni, specie legate alle scienze sociali (considerando che la maggior parte delle persone che sceglie questi corsi di laurea punta all’inserimento nel mondo del lavoro) diventano un “surplus” poco spendibile a livello pratico nel mondo del lavoro e più adatto a chi intenda dedicarsi all’attività di ricerca.
Certo, conferiscono lo status di “dottore magistrale”, mi si potrà muovere la critica di sparare ad alzo zero contro le lauree specialistiche per i più disparati motivi, mi si dirà che le materie presenti alla laurea specialistica sono molto interessanti ed utili, ne siamo così convinti?
Come mai, in molti campi, il laureato magistrale viene equiparato al vecchio laureato a ciclo unico nella stessa materia?
Nei vecchi corsi di laurea a ciclo unico, si sostenevano meno esami rispetto alle lauree triennali o alle magistrali, ma le maniere venivano spiegate e studiate in maniera più approfondita, non si “tagliavano” capitoli di libro e argomenti per mancanza di tempo o per l’esiguità dei cfu assegnati alla materia, ma la si studiava e la si approfondiva in tutti i suoi aspetti, cosa che non avviene al giorno d’oggi.
A volte credo che le lauree specialistiche servano a difendere gli interessi lobbistici di alcuni ordini professionali, molto forti nel nostro paese, che, negano l’iscrizione ai propri albi o conferiscono capacità d’azione limitata ai laureati di primo livello.
Faccio un paragone a mio avviso illuminante, la distinzione fra “dottori commercialisti” ed “esperti contabili” che dal 2007 divide il proprio albo nelle due predette sezioni, attribuendo agli iscritti nella sezione B (possessori di laurea di primo livello), funzioni di gran lunga limitate rispetto agli iscritti nella sezione A(ragionieri, laureati vecchio ordinamento, laureati di primo livello, laureati magistrali), il tutto ponendo come discriminante la data di superamento dell’esame di stato, mentre, il vero discriminante, dovrebbe semplicemente essere (a mio avviso) il superamento dell’esame di stato, considerando che la prova è uguale per tutti i candidati, qualunque sia poi l’albo in cui verranno iscritti e che, alcune materie oggetto d’esame(es. diritto fallimentare), non vengono trattate nemmeno in corsi di laurea specialistica e, pertanto, non si nota quale differenza di preparazione possa esservi tra i differenti laureati.
Quest’esempio per dire che, nel nostro paese, le uniche cose che paiono affermarsi oggi, sono gli interessi degli ordini professionali, della politica affaristica con le sue cricche deviate, non l’amore per le materie studiate, la passione, relegando l’università ad un passaggio obbligato della propria vita per trovarsi un lavoro che ci consenta di vivere dignitosamente che ci consente di fregiarci di un titolo da contrapporre agli altri come uno scudo.
Lo studio accademico dovrebbe essere ben altro.
E’ sicuramente importante la formazione di lavoratori qualificati che possano rispondere alle esigenze di domanda di lavoro qualificato da parte delle imprese, ma, non possono essere ridotte solamente in questi termini le motivazioni ad intraprendere un percorso accademico.
Lo studio deve riflettere anche un interesse personale nei confronti di determinati argomenti per consentirci di svolgere un lavoro che possa anche risultare piacevole perchè coerente con i nostri interessi. Cosa che di rado accade.
La società d’oggi ci mostra una distorta visione del mondo in cui è importante perseguire il successo e il potere, desideri di per se legittimi, ma che per essere perseguiti richiedono una totale dedizione, trasformando le persone in animali sociali aggressivi (anche troppo alle volte), le persone non sono tutte uguali, ognuno vive questo periodo della propria vita, in cui si gettano le basi per il proprio futuro, relazionandosi con gli adulti e col mondo del lavoro si forma anche il carattere vero e proprio.
Essendo ognuno diverso dall’altro, non tutti i giovani sono a proprio agio in questo contesto aggressivo in cui, loro malgrado, si trovano calati, vi è chi sa esattamente cosa vuole ottenere, chi avrebbe bisogno di riflettere con una certa calma sui propri obiettivi, ma non può e fa scelte dettate dalla competizione, chi si scoraggia, credendo che il mondo accademico non faccia per lui e cercando un lavoro poco stimolante per se, in cui cerca di rifugiarsi, scoprendo poi dopo anni che quella strada non era la migliore, chi trova felicità e appagamento in un lavoro che gli permette di dar sfogo alla propria manualità, chi sacrifica i propri interessi per gettarsi in studi che risulteranno redditizi in un futuro professionale, alcuni, soffrendo troppo questa situazione e non trovando nessuno in grado di ascoltarli e consigliarli, si rifugiano nell’alcool e nelle droghe pesanti per sfuggire ad una realtà che non riescono ad affrontare.
Si fa poi del moralismo molto semplice dicendo che essi devono andare a lavorare per capire il verso senso della vita, a parte che, in Italia, lavoro per noi giovani non ce n’è.
Anche molti giovani lavoratori sono dipendenti da droghe e alcool, il disagio giovanile è dovuto al mancato recepimento delle problematiche giovanili da parte del mondo degli adulti che già hanno superato questi problemi, manca la comunicazione fra generazioni, la capacità di ascoltare.
Il problema fondante è che la futura classe dirigente del paese sta lanciando una sorda e disperata richiesta d’aiuto, che nessuno vuole recepire.
Giovanninatale Schiavon è nato a Padova il 12 Agosto 1986. Studente del corso di Laurea in "Economia Territoriale e Reti d'Impresa" presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Padova, gioca a rugby ed è appassionato di politica ed economia, si interessa particolarmente di tematiche legate al mondo del lavoro, evasione fiscale e, in particolare, alle risposte che il mondo dei giovani cerca da politica e
società.