Le donne sono scese in piazza per manifestare contro le discriminazioni e le violenze subite dal loro sesso. Io sono contrario a tali piazzate retoriche. Non è questo il momento di promuovere divisioni tra chi subisce ingiustizie e violenze che non devono essere inflitte a nessuno, né alle donne, né ai bambini, e se vogliamo, in primis non a loro, ma comunque nemmeno agli uomini, bianchi o neri che siano, europei o arabi o iracheni, cristiani o indù o mussulmani. Quindi no alla violenza senz’altro. A quella fisica, a quella psicologica, a quella della povertà, e a quella dell’ignoranza. Che cosa ha da spartire la donna che prende 900 euro al mese facendo le pulizie, con la gran signora che va ingioiellata alle prime teatrali o con le escort di Berlusconi? Le donne non costituiscono una razza a parte. Non sono tutte uguali, come non siamo tutti uguali noi uomini.
Questa manifestazione mi ricorda un cartellone pubblicitario spacciato come manifesto anti droga. Mostrava un tossico con una siringa in mano con la scritta: “non impiegate siringhe usate, ne va della vita!”. Come se impiegare siringhe nuove per iniettarsi il veleno, fosse salutare o molto meno nocivo. Così gridare “basta con i soprusi contro le donne!” può suggerire che l’oppressione inflitta ad altre creature è meno grave, o è addirittura un legittimo atto vendicativo, se inflitta ai maschi prevaricatori.
“Se non le donne chi?” È il nuovo slogan che si aggiunge alla domanda retorica: “Se non ora quando?” Con risposta corale “Adesso!” Io, da fuori del coro, rispondo :”Basta con gli slogan, altrimenti tutto diventa pubblicità. Questa fa presto a recuperare ogni protesta e piegarla al consumo “. Non è il momento di suscitare divisioni, le guerre tra i poveri, utili e vantaggiose per chi i poveri opprime.
La ministra che era una madonna dolorosa iuxta crucem lacrimosa1 , pochi giorni fa, quando annunciava i sacrifici, ne ha approfittato subito per rasserenarsi: da Lucia Nunziata, in Tv ha detto letteralmente : “i maschi adulti sono protetti”. Lo vada a chiedere a quanti hanno una famiglia da mantenere, con moglie che appunto non lavora, e stanno perdendo il posto anche loro i “maschi adulti protetti”, grazie ai tagli della manovra ministeriale che castra i poveri. Non so se la ministra ci faccia o ci sia. So che dalla Nunziata non si è fatta vedere triste e afflitta come la Madonna davanti alla croce di Cristo. Anzi, appariva sicura di sé, quasi spavalda. Qualche politico astuto l’ha avvertita che le lacrine non pagano, e che poteva strumentalizzare la manifestazione in corso. In fondo è una donna anche lei.
Tutte le violenze vanno denunciate e aborrite. Anche quelle inflitte dalle donne. Potrei ricordare le madri che uccidono i figli per punire i padri. Non c’è bisogno di rammentare Medea, la madre furente, la cui storia è arcinota grazie alla cara tragedia di Euripide.
Riesumo piuttosto la vicenda di Procne la quale, vedendo il figliolo Itys venirle incontro, gli dice, fissandolo con occhi crudeli:”ah quanto assomigli a tuo padre! (“oculisque tuens inmitibus “Ah! quam/es similis patri!”). Subito dopo, quest’altra madre furente prova un moto di tenerezza per il bambino che la bacia, ma poi guarda la sorella Filomela, barbaramente stuprata3 dal padre del piccolo, e recupera tutta l’ira identificando di nuovo il figlio con il proprio marito:”Scelus est pietas in coniuge Tereo” (VI, 635), è un delitto essere pietoso con un marito come Tereo!
Allora trascina Itys, divenuta feroce come una tigre del Gange che trae per tenebrose foreste un cerbiatto lattante. Quindi, mentre il bimbo la invoca tendendo le mani e chiamandola mamma, questa gli caccia una spada tra il petto e il fianco; intanto la zia Filomela col ferro gli taglia la gola:”vivaque adhuc animaeque aliquid retinentia membra/dilaniant” (VI, 644-645). Infine le due furibonde vendicatrici sbranano le membra che erano ancora vive e trattenevano un filo di fiato. In un’altra tragedia di Euripide, Agave e le sue sorelle, trasfigurate in baccanti, fanno a pezzi Penteo, il figlio e nipote, già adulto e re di Tebe.
Terribili dunque sono queste donne offese dagli uomini. Non si tratta solo di una stravaganza letteraria; anzi sappiamo dalla cronaca che non sono rari i casi dei figli massacrati dalle madre.
Senza contare le figlie che ammazzano le madri. Innumerevoli del resto sono le violenze perpetrate da maschi bestiali e pure da uomini di potere, laico ed ecclesiastico, su donne di tutte le età, nella storia, nella cronaca, nella letteratura, nella teologia, nella filosofia. Un’altra volta magari ne faremo una rassegna sintetica ricordando con abominio i crimini dei maschi contro le femmine umane.
Se facciamo bene i conti, dunque, la violenza è dappertutto. Come se non bastasse quella reale, c’è chi se la inventa. Pochi giorni fa una ragazza ha simulato di avere subito uno stupro da un gruppo di zingari frenetici che poi hanno patito violenza reale da un’orda di farabutti razzisti. Secondo me anche la contrapposizione sessista è una forma di razzismo, ed è funzionale al potere.
Meno male che gli uomini non sono stati esclusi da quest’ultima manifestazione di donne, come succedeva una volta, anzi pare che siano stati invitati e graditi, com’è giusto e naturale. Un maschio imbecille del resto, intervistato, ha detto che se la nostra società non penalizzasse le donne, sua madre avrebbe fatto carriera. Invece si è fermata al basso livello di professoressa. Si potrebbe obiettare che ci sono donne politiche portate avanti da Berlusconi in seguito alle cene di Arcore che hanno fatto una carriera “luminosa”: altro che modestissime professoresse!
Gli imbecilli e i mascalzoni sono da schivare, in quanto sgradevoli e pericolosi, uomini e donne, bianchi e neri, cattolici e mussulmani. Alcune donne si lamentano della loro scarsa rappresentanza nel governo. Ma questo fa loro soltanto onore, visti i governi che ci ritroviamo.
Il potere è un nucleo di male ed è cosa onorevole non aspirare a raggiungerlo. Come era un onore e un privilegio per le donne non fare la guerra. Ma ora le peggiori vogliono imitare i maschi peggiori. Io mi trovo dalla parte di Otane, che durante il dibattito costituzionale svoltosi tra nobili persiani, nel VI secolo a. C., sostenne la democrazia contro l’oligarchia caldeggiata da Megabizo e la monarchia propugnata da Dario; poi, quando quest’ultima proposta prevalse, e si trattò di competere per il trono, Otane che era il più nobile di tutti, disse agli altri: “io non entrerò in gara con voi, siccome non voglio comandare né essere comandato”. Alla fine prevalse Dario, con un trucco ignobile, e diventò il grande re dei Persiani.
E perse la guerra con gli Sciti, poi quella con i Greci. Io non voglio gareggiare con le donne e nemmeno con gli uomini, se non in agoni sportivi ciclistici o podistici; voglio invece oppormi con tutte le forze delle parole, ossia senza violenza fisica, a un potere che inganna e danneggia donne e uomini deboli, a una televisione che dà più spazio agli imbecilli, agli ignoranti e ai disonesti che alle persone intelligenti e morali. Le leggi di questi ultimi governi sono come le ragnatele che trattengono solo vite piccole e deboli per dissanguarle. Gli animali grossi le rompono senza nemmeno sentirle.
Giovanni Ghiselli ha insegnato a lungo materie classiche nei licei e ha tenuto corsi di didattica della letteratura greca presso la SSIS dell'Università di Bologna. Attivo anche nell'ambito dell'aggiornamento per docenti, ha curato e commentato diverse edizioni di classici, tra i quali l'Edipo Re (Napoli 1997) e l'Antigone (Napoli 2001) di Sofocle, Storiografi greci (Napoli 1999), La vita felice di Seneca (Siena 2005).