Nel nord della Lombardia civile furbizie di una certa Sicilia: minacce che sono avvertimenti. “Rivedremo il Concordato” e nelle trame dei vecchi copioni subito la smentita ma il messaggio è arrivato. O con noi a tutti i costi o contro di noi, e allora si vedrà. Oramai l’intolleranza della Lega ha superato la legge terrena e sta cozzando contro la legge divina. Da norma discriminatrice, negatrice di un diritto cosmopolita alla vita e alla dignità personale, la legge sulla sicurezza ha aperto le maglie del razzismo, del cinismo, della violenza, dell’indifferenza e in certi casi anche della persecuzione. Ha sancito la morte del prossimo e dunque la morte di Dio. Perché non c’è Dio senza il prossimo e non c’è il prossimo senza Dio: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo. (Mc 12. 29-31).
L’ultima tragedia del Mediterraneo molto di più di un dramma del naufragio di miserabili in cerca di pane, in cerca di vita. la sfida suprema al comandamento divino che si posa sul volto del prossimo e afferma l’esistenza di Dio. Voltarsi dall’altra parte, rinnegare il comandamento dell’amore, evadere dalla responsabilità di riconoscere nel prossimo il volto di Dio, vuol dire molto più di bestemmiare, vuol dire irridere la legge divina, oscurare il cielo e perderlo per sempre.
Ecco perché il conflitto con la Chiesa istituzionale sta tracimando e spaccando l’argine diplomatico sempre così ferreo e rigidamente composto. Non è un caso che monsignor Vegli, presidente del Consiglio pontificio per i migranti, abbia incalzato il ministro Calderoli con parole di fuoco dicendo di sentirsi offeso dalle affermazioni del politico leghista e sottolineando di parlare non a nome personale ma a nome della Santa Sede: “Come capo dicastero ho il grande onore di fare dichiarazioni a nome della Santa Sede”.
E non è un caso che l’Avvenire abbia fatto ricorso all’orrore della Shoa per denunciare la morte dei migranti del Mediterraneo. Nell’editoriale Marina Corradi ha scritto: Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il totalitarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche una infastidita avversione. L’Occidente a occhi chiusi”. La Padania minaccia: “Pronti a rivedere il concordato”. Famiglia Cristiana risponde: “Mare Monstrum”.
Perché la Lega è diventata l’interprete più scandaloso della morte del prossimo che si affaccia in Occidente come esito conclusivo della modernità. Lo psicanalista Luigi Zoja ha da poco scritto un libro sull’implosione religiosa del nostro tempo (La morte del prossimo, Einaudi). Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo la scomparsa della seconda relazione fondamentale dell’uomo. Scrive Luigi Zoja: “L’uomo cade in una fondamentale solitudine. E’ un orfano senza precedenti nella storia. Lo é in senso verticale – morto il suo Genitore Celeste – ma anche in senso orizzontale: morto chi gli stava vicino, orfano dovunque volti lo sguardo. Circolarmente, questa è la conseguenza ma é anche la causa del rifiutare gli occhi degli altri: in ogni società, guardare i morti causa turbamento.”
Lo scontro fra la Lega e il Vaticano potrebbe avere effetti devastanti per il governo. La preoccupazione è palese tanto da impegnare il ministro La Russa in un tentativo di mediazione debolissimo e rischiosissimo. La Chiesa, ha detto il ministro cercando di mediare sul diverbio Calderoli-Vegli, ha il dovere di predicare la carità, l’accoglienza, la compassione. La politica ha il dovere di fare le leggi per il bene della collettività. Come dire: l’etica non può avere implicazioni con la politica. Ma sul versante dell’amore per prossimo il comandamento divino non è un esposto metafisico, ma politico, è un comandamento che lega il cristiano ad una scelta concreta di schieramento contro la legge che vorrebbe rifiutare, emarginare, negare il volto altrui. E in questa ottica si apre una domanda drammatica per la coscienza del cattolico militante leghista: aver fede nel partito mettendo tra parentesi il fulcro del cristianesimo, oppure credere nell’Evangelo e scontrarsi con il cuore nevralgico della politica leghista?
Nel ributtare indietro il prossimo senza riconoscergli i diritti fondamentali che sono poi quelli dell’amore, la Chiesa si accorge che viene travolto il comandamento supremo per cui la fede ha un senso, la comunità dei fedeli ha un suo fondamento, il rito domenicale dello spezzare il pane un suo significato simbolico. E’ in questo donare il corpo e in questo distribuire a tutti il sangue della vita che la comunità ecclesiale ha un suo esito terreno. Tutto il resto è ideologia ed esercizio del potere, anche nella Chiesa stessa. Se non si passa dentro questo evento ultimo rappresentato dalla condivisione della vita e della morte di Cristo, ogni racconto teologico diventa un racconto parziale, insufficiente. E allora la condivisione, la convivialità delle differenze, come diceva il vescovo don Tonino Bello, diventa accoglienza, compassione, gratuità. Insomma, l’amore per il prossimo.
Ribaltando questo amore per il prossimo nella morte del prossimo anche in senso ludico con giochini virtuali incentrati sul respingimento e addirittura l’uccisione dell’altro – come se la relazione con il prossimo fosse un sentimento freddo, inerte, totalmente inumano – la Lega scardina la radice evangelica del cristianesimo e offende lo spirito di accoglienza dello straniero presente in tutti i libri sapienziali delle grandi religioni.
Resta da capire, anche nell’ottica laica perlustrata da Zoja, che fine ha fatto quell’imponente pensiero etico che nella seconda metà del Novecento ha posto fortemente il problema dell’Altro come opzione di crescita pacifica e solidale della comunità internazionale. Quella grande massa critica di intellettuali usciti dalla tragedia della seconda guerra mondiale che ha originato un pensiero plurale, aperto al prossimo, tutto incentrato sul dovere morale di accogliere lo straniero dove andata a finire? A 64 anni dall’orrore di Auschwitz dobbiamo amaramente constatare che fra la spinta unitiva di Eros e quella distruttiva di Thanatos, ha sovente la meglio quella di Thanatos. E che l’indifferenza davanti al volto sofferente e morente del prossimo richiama quella becera e orrida esperienza del volto ebreo preso a schiaffi, torturato, maciullato dai nazisti nell’assoluto silenzio e nella complicità generale del popolo tedesco degli anni Trenta. Ma anche allora si pose il problema di Dio, un dubbio chiaramente descritto in quella stupenda pagina de La notte dello scrittore ebreo premio Nobel per la pace Elie Wiesel: “Tre condannati salgono insieme sulle seggiole della forca. I loro colli vengono avvolti contemporaneamente da nodi scorsoi. “Viva la libertà!” gridano i due adulti. Il piccolo tace. “Dov’è il buon Dio? Dov’è?” domanda qualcuno dietro di me. A un cenno del capo del lager le tre seggiole vengono tolte. Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramonta. “Scopritevi!”, urla il capo del lager. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo. “Copritevi!”. Poi comincia la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora… Più di una mezz’ora resta così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare: “Dov’è dunque Dio?”. E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: “Dov’ é? Eccolo: appeso a quella forca”.
Riconoscimento del volto questa la pace, rifiuto del volto, questa la guerra. In fin dei conti il punto di snodo fra il credere e il non credere sta proprio qui. E il cattolico leghista rischia di restarne bloccato per sempre. La Chiesa non può tollerarlo. Credere non enuncia un principio astratto. “Chi crede in Dio ma sceglie la logica della guerra (del rifiuto ndr) é un bestemmiatore, e chi ateo ma sceglie la pace (l’accoglienza ndr) è uno che prega” ( Ernesto Balducci, Il vangelo della pace).
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.