Ministro della Difesa e dei segreti, scappa per non rispondere alle domande dei familiari delle vittime, a magistrati, politici e giornalisti che da 30 anni cercano la verità nascosta negli archivi di stato. Nel ’94 gli assassini avevano anticipato la realtà dei nostri giorni: "Noi in galera, loro al governo". E i silenzi della P2 continuano.
Riccardo LENZI – 30° strage Bologna “Perché La Russa, ministro post-fascista, dovrebbe dimettersi”
02-08-2010Un governo in fuga – dal consenso e dalla realtà – ha deciso di umiliare la città di Bologna: per la prima volta nessun rappresentante del governo parteciperà alla commemorazione della strage fascista del 2 agosto 1980. Niente di stupefacente: sono anni che questi governanti umiliano e soffocano la democrazia italiana. Uomini senza qualità che, in queste ore, avanzano giustificazioni che sono la classica pezza peggiore del buco. Sulla poltrona di ministro che trent’anni fa era occupata dal socialista Lelio Lagorio, oggi siede il post-fascista Ignazio La Russa.
L’ex camerata milanese ha dichiarato che la motivazione di questa assenza sarebbero quei fischi che, senza eccezioni, hanno accolto l’intervento dei vari ministri saliti sul palco del 2 agosto dal 1993 ad oggi. Peccato che, proprio in occasione del trentesimo anniversario della strage, il commissario Anna Maria Cancellieri – provvisoriamente alla guida del Comune di Bologna, dopo le dimissioni del sindaco prodiano Flavio Delbono – aveva saggiamente deciso di modificare il protocollo della manifestazione, lasciando che dal palco del 2 agosto parlassero solo i familiari delle vittime.
Prudenza inutile. Forse quei fischi, tutto sommato, facevano comodo: fino all’anno scorso i giornali del 3 agosto parlavano soprattutto delle contestazioni al ministro di turno, mettendo in secondo piano le parole di Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari. Fischi funzionali a un vero e proprio depistaggio dell’opinione pubblica che, dal 1994 a oggi, vorrebbe mettere in discussione le non poche certezze sulla matrice e sulle responsabilità di quell’orrenda e imperdonabile strage.
Prima ancora di chiederci “come si permette?”, sarebbe bene sapere chi è Ignazio La Russa. Il comico Fiorello ha una non piccola responsabilità: averlo reso “simpatico”. La voce rauca del ministro è stata oggetto di numerose imitazioni radiofoniche da parte del duo Ballantini-Fiorello e ha perfino doppiato un personaggio del cartone animato “I Simpson”. Secondo il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra – condannato per la strage di Peteano (1972) -, le apparenze (e le apparizioni televisive) del ministro ingannano. Chi da anni crede alle parole di Mambro e Fioravanti dovrebbe quanto meno prendere in considerazione anche le opinioni di Vinciguerra. Eppure i giornali, chissà perché, non le hanno riportate. Eccole qui:
«Non servono prove giudiziarie per sapere che Ignazio La Russa è stato fra i protagonisti, come dirigente del MSI di Milano, degli anni di sangue vissuti dal capoluogo lombardo. Quello che un delinquente da strapazzo, Mauro Addis, chiamava confidenzialmente “Ignazio”, ha conosciuto tutti e tutto, ma ovviamente non ha mai detto nulla perchè non può denunciare altri senza autodenunciare se stesso. L’ex direttore onorario del carcere di Opera, Renato Vallanzasca, in un libro scritto per lui da un giornalista, parlò di un dirigente missino di Milano che pagava la malavita per fare mettere bombe e, senza farne il nome, specificò che in quel momento ricopriva un’alta carica istituzionale: Ignazio La Russa, quando venne pubblicato il libro di Vallanzasca, era vicepresidente della Camera dei deputati. Serve ricordare le parole dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che di La Russa ebbe a dire che nuotava nel brodo dell’eversione nera o, meglio, che era ad essa attiguo.
Quando, quattro cialtroni missini lanciarono bombe a mano su uno sbarramento di polizia, il 12 aprile 1973, uccidendo l’agente di Ps Antonio Marino, La Russa c’era, ma secondo lui e i magistrati milanesi, dormiva come il suo compare Franco Maria Servello. Era sveglio, viceversa, il La Russa quando si è recato a rendere omaggio alla salma di Nico Azzi il mancato autore della strage sul treno Torino-Roma del 7 aprile 1973. Un gesto significativo, perchè Nico Azzi ed i suoi colleghi erano parte integrante di quell’ “eversione di Stato” che doveva rafforzare il Msi dei La Russa e dei Servello per farne un partito di governo. (…)
Con un ministro della Difesa come La Russa e un presidente della Camera come Gianfranco Fini, è inutile attendersi che in questo Paese si affermi la verità sul ruolo che il MSI ha ricoperto nella strategia del terrore e del disordine.»
Come è potuto succedere? Cosa ha reso possibile che un personaggio del genere possa essere diventato ministro della Repubblica? La risposta è semplice: i cattivi esempi.
Siamo un Paese che ha avuto la disgrazia di avere al vertice delle proprie istituzioni personaggi la cui autorevolezza è inversamente proporzionale al prestigio degli incarichi che hanno ricoperto. Uno su tutti l’ex presidente Francesco Cossiga. Nel 1977, dopo l’approvazione della gattopardesca riforma dei servizi segreti, il ministro degli interni Cossiga dichiarò solennemente: “Da questo momento, quando questa legge sarà approvata, non solo i ministri della difesa e dell’interno non saranno più in grado di non poter sapere, ma vi sarà anche il presidente del Consiglio che non potrà non sapere”. Chi era presidente del Consiglio nel 1980? Francesco Cossiga. Che infatti sapeva: due giorni dopo la strage, disse in Parlamento che la strage di Bologna era una “strage fascista”. Salvo poi cambiare idea nel corso degli anni, come spesso gli è capitato.
Cosa hanno accertato undici gradi di giudizio? Condannati all’ergastolo, in quanto esecutori materiali, Valerio “Giusva” Fioravanti e Francesca Mambro. Condannato a trent’anni Luigi Ciavardini. Tutti e tre appartenevano ai NAR, la stessa formazione neofascista che poche settimane prima aveva ucciso il giudice Mario Amato. A dieci anni di carcere, per depistaggio, furono invece condannati Licio Gelli, capo della loggia P2, Francesco Pazienza, piduista legato ai servizi segreti italiani e alla Cia, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, generale e tenente colonnello del Sismi. Il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi, anch’egli imputato, morirà di cirrosi epatica, evitando così la condanna.
Nel 2007, intervistato da Riccardo Bocca, Cossiga dichiarò: “credo molto più ai terroristi rossi che ai magistrati. Tra la loro serietà e quella dei magistrati, lo scriva, c’è un abisso”. Dichiarazioni di un uomo che, come scrisse l’ex senatore Sergio Flamigni, non è mai riuscito né mai riuscirà a sbarazzarsi dei fantasmi del passato. Evidentemente l’ex presidente crede molto anche ai terroristi neri. Ma non è questo il punto. Sapere che, nonostante le oggettive responsabilità politiche nell’omicidio di Aldo Moro e nei depistaggi delle indagini sulla strage di Bologna, un personaggio del genere è stato Presidente della Repubblica (1985-1992), è la dimostrazione che non c’era bisogno di Berlusconi, Bossi e La Russa per vergognarsi di essere italiani. E che non sarebbe mai troppo tardi per smettere di essere sudditi e divenire cittadini, riscoprendo una parola caduta in disgrazia: dignità.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)