All’inizio furono gli Usa. Volevano essere certi che il Pci non prendesse il sopravvento in Italia neanche per vie elettorali. Sin dall’immediato dopoguerra furono stabiliti rapporti di sostegno a bande di mafiosi e reduci della Rsi, decine di assassini e la strage di Portella della Ginestra, le portaerei schierate nel Mediterraneo durante le elezioni del ’48, gli smisurati finanziamenti americani alle organizzazioni cattoliche, l’assenza di neutralità di una burocrazia ex fascista massicciamente inquinata, un controllo capillare nella formazione della classe dirigente della nuova democrazia. Un mix di condizioni determinarono la emarginazione progressiva della parte del paese che aveva contribuito in misura determinante alla liberazione dal fascismo.
Intanto, attraverso la copertura di apposite agenzie internazionali con base in Portogallo, le bande neofasciste furono addestrate ed allenate in operazioni di provocazione nelle zone calde del mondo. E quando in Italia il Pci rischiò di crescere sull’onda delle rivendicazioni sindacali, furono impiegate sotto la diretta direzione di ufficiali americani delle basi Nato di Verona e Napoli.
La tutela di strutture segrete delle forze armate e dei carabinieri e l’applicazione delle tecniche della guerra non ortodossa crearono le premesse per una serie di provocazioni rivolte a suscitare la reazione dei comunisti e giustificare una conseguente repressione da parte delle forze armate, con la messa al bando del Pci.
Le condizioni politiche favorevoli si crearono tra il 1969 ed il 1974 con l’accoppiata Nixon-Kissinger che si era imposta dopo la eliminazione fisica, nel 1969, di Robert Kennedy e Martin Luther King. A più riprese furono attuati centinaia di attentati per creare le condizioni favorevoli ad un golpe militare, mentre la P2 era impegnata a tessere nel paese, a vari livelli, le relazioni e le condizioni favorevoli per la formazione di un governo reazionario.
Questo il quadro che è stato ricostruito dinanzi alla Corte di Assise di Brescia. Un quadro che, a prescindere da quelli che potranno essere i definitivi esiti giudiziari, si impone comunque alla analisi storica, perché basato su migliaia di testimonianze e documenti degli archivi segreti italiani e Usa. Senza partire da questo punto fermo non è possibile ricostruire neanche l’altra parte della storia di questo paese, che si è sviluppata dal 1977 al 1993, e poi ancora il resto.
Ed è stato accertato anche che i servizi segreti ebbero perfetta contezza di quanto avveniva, ma essendo succubi degli americani e nelle mani di dirigenti appartenenti alla P2 le relative segnalazioni non vennero coltivate ed elaborate. Limitati settori politici erano direttamente coinvolti nelle nomine strategiche anche di settori delle forze armate dei carabinieri in grado di assicurare la copertura al piano eversivo. L’incriminazione e gli elementi raccolti dai PP.MM. bresciani nei confronti del generale dei carabinieri Francesco Delfino rappresentano solo il punto di emersione di questo coinvolgimento. Molti altri personaggi coinvolti sono deceduti nelle more dell’accertamento.
Nulla di nuovo, si era sempre detto, ipotesi, illazioni, ma mai il quadro era stato ricostruito in maniera così analitica e documentata. Precedentemente una parte della magistratura aveva in varie occasioni tentato di fare chiarezza, erano stati evidenziati frammenti di questo enorme puzzle, ma la magistratura romana cui competeva la visione generale, in quegli anni aveva optato per una lettura frammentata e riduttiva.
Dagli anni ’80 in poi la magistratura è impegnata nel suo doveroso compito di rendere credibile agli occhi dei cittadini, anche in questo settore, il principio di legalità. Decine di processi progressivamente hanno ricostruito pezzi di storia del terrorismo, che per la sua invasività è anche storia della democrazia. Ma nonostante ciò c’è un processo di revisionismo all’incontrario. Francesco Cossiga e Giulio Andreotti hanno presidiato politicamente questo periodo. Il primo si è portato nella tomba i suoi segreti, il secondo. si appresta a fare altrettanto. Licio Gelli continua il depistaggio della memoria nel quale si era già massicciamente impegnato Cossiga. Andreotti con irrangiugibile furbizia ha bypassato tutti i momenti delicati offrendo soluzioni che impedissero di fare chiarezza sino in fondo, persino quando nel 1974 denunziò il golpe Borghese e nel 1990 pubblicò i nominativi di Gladio. Per nascondere quanto c’era di sordido dietro.
Nonostante il ravvedimento di molti neofascisti che furono parte di questo disegno, sono ancora in molti a seminare confusione. Il 2 novembre scorso uno speciale del Tg1 della Rai continuava a sostenere la tesi che è ancora misteriosa la matrice di piazza Fontana. Un luogo comune passivamente ripreso anche da qualche superficiale esponente della sinistra, nonostante la sentenza della Cassazione 3.5.2005 abbia affermato come accertato sul piano storico la responsabilità dei neofascisti Freda e Ventura, ed abbia preso atto della confessione di Carlo Digilio. Nei confronti del generale dei carabinieri Francesco Delfino, raggiunto da una serie incredibile di prove, pendeva l’accusa di concorso nella strage di Brescia. Nel corso di vari processi è stato accertato che persone gravitanti intorno al gruppo ordinovista veneto – legato a strutture segrete delle forze armate italiane e americane – sono state responsabili di tutte le stragi politiche commesse in questo paese, da piazza Fontana alla stazione di Bologna.
A tutti coloro – magistrati, avvocati, cancellieri, investigatori, testimoni – che hanno contribuito al faticoso rito del giudizio di primo grado, questo paese – quale che sia l’esito del processo – dovrebbe manifestare vivo apprezzamento per l’impegno, la lealtà e la serietà con cui hanno lavorato.
Il risultato di questo lavoro offre numerosi dati di accrescimento alla ricerca storica, sui quali sembra essere però calato il disinteresse generale e l’oblio. In questi anni ed in questi giorni si tenta di fare un revisionismo all’incontrario, i cui effetti perversi sono dirompenti anche per il solo fatto di non prendere atto e di sottrarre alla valutazione quanto di nuovo viene acquisito.
Su questa linea anche il disinteresse giornalistico che ha accompagnato la celebrazione di questo processo bresciano, disinteresse che si è aggiunto ad alcune recenti iniziative editoriali che, per la mancanza di supporti documentali, finiscono per creare oggettivamente disinformazione. A queste si è da ultimo aggiunto anche Piero Sansonetti, oggi direttore del quotidiano “Calabria Oggi”, che ha tentato di stravolgere il senso di ciò che rappresentarono i fatti di Reggio Calabria, che già nel 1969, prima ancora della strage di piazza Fontana, avevano dato il la alla strategia della tensione.
Claudio Nunziata - Magistrato in pensione. In qualità di sostituto presso la Procura di Bologna, ha svolto le prime indagini nei tre processi per le stragi che, tra il 1974 ed il 1984, hanno interessato la città di Bologna (treno Italicus, stazione di Bologna, rapido 904). Ha scritto numerosi saggi ed analisi in materia di criminalità economica e storia dell'eversione.