Guardare alla politica del Regno (una volta) Unito (adesso, effettivamente “devoluto” con Assemblee rappresentative forti e funzionanti in Scozia, Galles, Irlanda del Nord) è un’operazione assolutamente sconfortante, soprattutto per gli italiani, ancora di più per i maldestri suggeritori e imitatori di democrazie immediate, mandati popolari, sistemi elettorali uninominali . Non sanno di che cosa parlano; non capiscono che nulla di tutto quanto è il prodotto di una storia lunga e di uno stile condiviso è in nessuno modo importabile, che è un “pacchetto” non soltanto di istituzioni e regole, ma anche di cultura politica. l britannici riescono con la massima semplicità e con il minimo conflitto ad effettuare grandi trasformazioni. In particolare, nella sfera politica producono innovazioni sempre significative. L’ultima in ordine di tempo è consistita nel prendere atto con flemma e con rigore della necessità di passare dal tradizionale governo di un partito da solo ad un governo di coalizione. E’ stata sufficiente una decina di giorni di discussioni franche, non in un camper, dopodiché è stato stilato un patto di legislatura chiaro e condiviso, e il governo Conservatori-Liberaldemocratici procede sostenuto dai parlamentari di entrambi i partiti facendo i conti con l’opposizione parlamentare e politica laburista.
Non si sono stracciate le vesti i laburisti. Hanno perso, sapevano di meritarselo, e hanno rapidamente proceduto a cambiare la loro leadership. Tredici anni di governo ininterrotto è stata comunque una ottima prestazione, macchiata, purtroppo dalla guerra in Iraq, che è costata la carica all’impenitente Tony Blair. In quei tredici anni, però, da un lato, i laburisti hanno costretto i conservatori a rivedere tutte le loro ricette esageratamente liberiste e individualiste; dall’altro, hanno, attraverso cooptazioni mirate basate sul merito, selezionato, addestrato e ringiovanito la loro classe dirigente. Il leader conservatore David Cameron e il leader liberaldemocratico Nick Clegg saranno anche stati premiati perché giovani, eleganti, lucidi e “nuovi, ma anche i laburisti hanno saputo rapidamente procedere al loro ricambio generazionale. Al non ancora sessantenne Gordon Brown, che non si è abbarbicato al suo potere (s’è visto mai un Premier sconfitto che ritorna? Sì, una sola volta nel passato, ma si trattava nientepopodimenoche di Winston Churchill!), e che non creerà una sua corrente. Anzi, i suoi sostenitori non hanno mai sognato di fare una sua “corrente” e di congelarsi. In una competizione a cinque (non una “primaria”, ma una vera e propria elezione democratica del capo del partito ad opera di qualche centinaia di migliaia di iscritti al Labour e dei suoi parlamentari) ha vinto il poco più che quarantenne Ed Miliband, già Ministro dell’Ambiente.
Adesso, non è del tutto proficuo chiedersi dove andrà il New Labour poiché il potere affidato a Ed Miliband è grande. Verrà rispettato. Sarà lui a decidere dove guidare il partito, sicuramente, nonostante sia stato appoggiato dai non più troppo potenti sindacati, non verso l’Old Labour, anche se esiste lo spazio per uno spostamento a sinistra per conquistare elettori liberaldemocratici eventualmente insoddisfatti dei compromessi del loro partito al governo. In quello che sembrava quasi un’investitura Gordon Brown ha tenuto a sottolineare platealmente con una punta di polemica che di Labour ce n’è uno solo e che a quell’unico Labour va e sempre andrà il suo sostegno. Sarà Miliband, da adesso Primo Ministro ombra, a definire i tratti della sua opposizione e a scegliersi i ministri ombra. Ha almeno quattro anni di tempo che non farà passare trastullandosi con giochi di palazzo, con un inesistente, nel Regno Unito, teatrino della politica, con trame e dossier per intralciare il governo e farlo cadere. Sì, Ed Miliband si trova in un ambiente nel quale la politica è una attività seria, per professionisti che quando perdono si ritirano e che per vincere studiano, si attrezzano, vanno sul territorio. Benvenuto, Ed Miliband, alla politica del fare.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).