Quasi 15 anni di indagini e due anni di dibattimento strozzati da una discussione durata poco più di un mese con soli cinque giorni concessi alla pubblica accusa per svolgere la propria requisitoria. Poco più che per un normale processo di Corte di Assise, a fronte di oltre un milione di pagine di atti.
Una motivazione di poco più di 400 pagine, redatta in 90 gg., senza la manifestazione del bisogno di una più che legittima proroga. Confusa ed infarcita di valutazioni sommarie, rimpolpate dalla riproduzione di parti di atti messi insieme col “copia ed incolla”. Sembra che dopo un dibattimento analitico e puntiglioso vi sia stato un improvvido input alla accelerazione, nei fatti destinato a stroncare quanto si era costruito in precedenza.
Nessuna quadro di insieme desumibile dalla mole di acquisizioni dai processi per fatti eversivi relativi agli anni ’70, nessuna ricostruzione storica del contesto in cui la strage avvenne e dei vari gruppi ed aggregazioni terroristiche che operavano in quel periodo in Italia. Nessun accenno ai progetti eversivi ed depistaggi posti in essere dalla P2, alle deviazioni dei servizi segreti ed a quella particolare struttura segreta, che il col. Amos Spiazzi indicava con la denominazione di Legioni o Nuclei Difesa dello Stato, nella quale erano inseriti il Fronte Nazionale, la Rosa dei Venti, il Mar di Fumagalli, gli ordinovisti veneti. Nessun accenno alle conclusioni delle Commissioni Parlamentari sulla P2 e sullo stragismo. Sconcertante !
Se in passato alcune sentenze degli anni ‘70, ‘80 ed inizi anni ’90 possono aver trovato qualche giustificazione ad una pari impostazione riduttiva, in considerazione della limitatezza dei dati di conoscenza e dell’aria che si respirava in certi uffici giudiziari romani, non a caso definiti “il porto delle nebbie”, altrettanto non era materialmente possibile in un processo così ricco di informazioni. Siamo molto al di là della legittima esigenza di assicurare tutte le garanzie difensive. Garantire gli imputati non significa sorvolare su una parte dei dati di fatto che possono supportare una argomentazione.
E se la Corte avesse realmente ritenuto inutilizzabili o fuori dell’ambito del tema decidendum tanto materiale, perché non assumere subito una tale valutazione e tirare, al contrario, per le lunghe il processo?
Nulla si dice nella sentenza sulle centinaia e centinaia di testimoni che, sentiti al dibattimento, hanno confermato le originarie dichiarazioni di Martino Siciliano, di Carlo Digilio e di Maurizio Tramonte e fornito un quadro abbastanza completo della vocazione stragista del gruppo mestrino di O.N. e dei suoi collegamenti con organismi segreti militari.
Siciliano e Tramonte hanno ritrattato, ma per il primo si dà atto essere stata raggiunta la prova del versamento di 150.000 dollari affinché ritrattasse, mentre il secondo ha giustificato la propria ritrattazione – peraltro solo parziale – con il trattamento pregiudizievole ricevuto con il trasferimento dal carcere di Cremona ove aveva motivi di sentirsi più sicuro.
Nulla si dice sulla coerenza di queste dichiarazioni e si obliterano quasi tutte le altre testimonianze che sulla base delle loro originarie dichiarazioni avevano consentito di approfondire il tema processuale. Si fanno discendere le assoluzioni unicamente dal fatto di avere i tre ex pentiti centellinato nel corso del tempo le proprie rivelazioni e per alcune marginali imprecisioni ed apparenti incoerenze temporali, compatibili con la distanza di trent’anni dai fatti.
Nulla si dice della esistenza agli atti del Sid ed acquisizione di decine e decine di informative, certamente provenienti dal Tramonte, che preannunziavano la strage di Brescia e quella dell’Italicus che seguì dopo due mesi. Si sorvola sul fatto che esponenti del Sid e dei CC di Padova – iscritti alla P2 e a qualche ordine equestre – furono informati preventivamente di questi progetti di attentati e conoscevano già tutta la struttura ordinovista con la quale il Tramonte era in contatto, affrettandosi poi ad interrompere ogni rapporto a stragi avvenute, distruggendo i protocolli che documentavano tali rapporti ed omettendo di informare a suo tempo la magistratura che indagava.
Si oscurano tutte le prove, provenienti da numerosi testimoni, che dimostrano le relazioni esistenti tra gli ordinovisti mestrini ed il gruppo – identificato – che rivendicò la paternità della strage di Piazza della Loggia con un ciclostilato pacificamente stampato nella libreria Ezzelino, già gestita da Franco Freda (a sua volta ritenuto nella sentenza della Cassazione 3.5.2005 storicamente responsabile, insieme a Giovanni Ventura, della strage di piazza Fontana). Si demolisce, sulla base di smentite rese in successivi interrogatori, il contenuto di una intercettazione ambientale nel corso della quale due ordinovisti mestrini confermano il coinvolgimento del loro gruppo. E nei confronti del suo capo vengono eluse le normali regole sul concorso morale, utilizzate a piene mani nei processi contro le BR.
Ed è sconcertante che per evitare i problemi di incoerenza motivazionale, nei quali già era incorsa la sentenza di Piazza Fontana (che, pur assolvendo, aveva applicato la prescrizione nei confronti dell’imputato reo confesso, Carlo Digilio), la Corte di Assise di Brescia abbia ritenuto Tramonte, invece, estraneo alla strage, nonostante egli avesse ammesso di avere partecipato ad alcune fasi della sua organizzazione.
Non si è sentito il bisogno di giustificare adeguatamente una decisione così rilevante, il bisogno di confrontarsi con tutti i dati a disposizione. Si potrebbe qualificare come una sentenza suicida, quel tipo di sentenze cui si inducono talvolta alcuni giudici incaricati della stesura della motivazione, quando non condividono il verdetto, in modo da renderla facilmente riformabile in appello. Ma non sembra questo il caso. Sembra piuttosto – è una pura impressione – abbia prevalso l’orientamento che “certi argomenti non si toccano”, in particolare tutto ciò che riguarda deviazioni istituzionali che in qualche modo invadono il campo della politica.
Sembra quasi che implicitamente in quella motivazione sia sottinteso il messaggio che il giudice non si debba interessare di verificare se vi sia stata una relazione tra la sequenza di attentati e stragi politiche messe a segno in quegli anni e la oramai accertata esistenza di strutture clandestine, formate da civili, ed in particolare da neofascisti – addestrate e supportate da organismi segreti delle FF.AA. italiane americane – rivolte a creare le premesse per un rivolgimento politico violento. Una relazione che aveva dato per scontata il gen. Maletti nella sua lunga deposizione resa in videoconferenza dal Sud Africa nell’aprile dello scorso anno, la danno per scontata altri ufficiali sentiti nel corso delle indagini. Lo ha ammesso nelle sue memorie anche Edgardo Sogno affermando “Violante aveva ragione”, con riferimento al giudice che lo aveva inquisito per cospirazione politica. Se ne trova qualche riscontro anche nei documenti degli archivi americani oramai di pubblico dominio.
Il materiale documentale di questo processo, trasferito su supporto informatico, rappresenta oggi il più grosso archivio sulla storia della nostra democrazia esistente in Italia. Centinaia di studiosi nei prossimi anni rivolgeranno il loro interesse ad analizzarlo e studiarlo. Mi chiedo come ci si possa nascondere dietro un dito e pensare che questo distacco dalla realtà possa restare nel corso del tempo immune da valutazioni e critiche.
Per ora aspettiamo fiduciosi che i giudici di appello demoliscano questo castello di carta. “E’ più facile demolire che costruire”, ma questa volta, ci auguriamo, la massima d’esperienza funzionerà a favore di una decisione di appello più meditata.
Claudio Nunziata - Magistrato in pensione. In qualità di sostituto presso la Procura di Bologna, ha svolto le prime indagini nei tre processi per le stragi che, tra il 1974 ed il 1984, hanno interessato la città di Bologna (treno Italicus, stazione di Bologna, rapido 904). Ha scritto numerosi saggi ed analisi in materia di criminalità economica e storia dell'eversione.