Obiettivo costante dello stragismo è stato quello di attribuire ai “comunisti” il disordine generato dagli attentati per poi provocare reazioni popolari violente da parte della sinistra tali da giustificare un intervento militare e favorire uno sbocco autoritario. Oltre alla sollecitazione alla violenza nei confronti degli elementi più disponibili e sprovveduti della sinistra estrema, gli anarchici ed i marxisti leninisti, vi furono iniziative, più pesanti ed insidiose, rivolte a lasciare false tracce a carico di esponenti di qualsiasi gruppo o partito di sinistra in attentati posti in atto dagli stessi manipolatori, talvolta anche favorite o organizzate direttamente da servitori dello Stato di scarsa lealtà democratica.
Le stragi non sarebbero state neanche necessarie, se fosse stato disponibile un altro mezzo per mettere in cattiva luce “i comunisti” e tutti coloro che con essi intendevano attuare i principi solidaristici affermati nella Costituzione. E, difatti, quando è stata accertata la matrice delle stragi, nuovi strateghi dell’attacco alla costituzione hanno poi rivolto la propria attenzione al controllo diretto dell’opinione pubblica attraverso il pieno dominio sui media, senza più la necessità di ricorrere al linguaggio mediato dello strumento terroristico.
Ovviamente le strategie più insidiose nei confronti della sinistra furono poste in atto quando ci si rese conto della impraticabilità, per l’atteggiamento legalitario assunto dal PCI, di una azione più risolutiva tendente a spingere direttamente questo partito alla ribellione contro lo Stato, operazione che fu tentata nel 1948 con l’attentato a Togliatti e rinnovata in forme più articolate e complesse sino alla prima metà degli anni ’70, per poi giustificare un intervento repressivo delle forze armate e la messa al bando del PCI.
Gli obiettivi perseguiti dalla destra eversiva costituirono l’attuazione di una strategia elaborata a livello Nato rivolta ad impedire che il PCI diventasse in Italia forza politica prossima all’area di governo, strategia realizzata attraverso la utilizzazione di quelle organizzazioni paramilitari clandestine di civili che avrebbero dovuto avere lo scopo esclusivo di affiancare le FF.AA. nel caso di aggressione da parte di paesi del blocco sovietico e furono invece utilizzate a fini interni.
Lo chiarisce la richiesta di archiviazione della Procura di Roma del 31.1.1994 al Tribunale dei Ministri relativa alla autodenunzia del sen. Francesco Cossiga: «L’indicazione di una finalità di contrasto della sovversione interna [è presente] in più documenti sequestrati presso gli archivi del SISMI e risalenti a periodi diversi, nei quali si fa espresso riferimento a operazioni di “controinsorgenza”, da inquadrarsi in ottica di interventi preventivi… nelle cui finalità è espressamente indicata quella di “controllo e neutralizzazione delle attività comuniste in tempo di pace”…Le caratteristiche di queste attività sono palesate, tra l’ altro, in un addestramento di tipo militare, nella base di Capo Marrargiu……Risulta il collegamento tra la rete Gladio e altre strutture, costituite nell’ ambito del Servizio, su impulso NATO, con funzione di contrasto di sovvertimenti interni….Il personale impiegato nella fase “tempo di pace” con funzione di controllo e neutralizzazione è quindi personale specificamente addestrato al sabotaggio… per operazioni illegali prevedenti l’ uso della violenza e operazioni di disinformazione…».
Questa era la strategia, indicata come seconda linea o doppia organizzazione o organizzazione parallela, cui aveva fatto già parola Giovanni Ventura nell’interrogatorio reso il 17.3.1973. Di questa strategia si trova anche traccia documentale anche in una lettera di Guido Giannettini al generale Gian Adelio Maletti: «Freda mi diceva di servirsi dì un gruppo di giovani collaboratori, alcuni dei quali erano stati da lui indotti ad avvicinarsi all’ambienti filo-cinesi allora in via di organizzazione… invitavo Freda a portare avanti al massimo grado la penetrazione di elementi nei movimenti filocinesi…».
Amos Spiazzi, indicato come uno dei capi dei Nuclei Difesa dello Stato, precisa nel suo libro intervista: «la guerra non ortodossa… non si fa combattendo con i carri armati, i cannoni e i soldati in divisa, ma con azioni segrete, di infiltrazione, atti di provocazione, anche attentati».
Anche nel documento “La nostra azione rivoluzionaria”, rintracciato nel 1974 nella sede dell’Aginter Press di Lisbona, ove lavorò Stefano Delle Chiaie, si prospettava esplicitamente la provocazione nei confronti dell’ultrasinistra: “A nostro avviso la prima azione che dobbiamo lanciare è la distruzione delle strutture dello stato sotto la copertura dell’azione dei comunisti o dei filocinesi. Noi, d’altronde, abbiamo già elementi infiltrati in tutti questi gruppi, su di loro evidentemente dovremo adattare la nostra azione…”.
La tecnica della provocazione fu considerata per anni un segreto di stato da difendere a qualsiasi costo e, finché questo non fu (almeno parzialmente) rimosso nel 1990 da Giulio Andreotti, essa continuò ad essere operativa, anche se l’appoggio USA e la copertura NATO dopo il 1974 si fecero più sfumate, poiché non si poté contare né sull’appoggio da parte del Presidente americano Carter, né su quella dei servizi segreti italiani oramai sotto accusa nel processo di Piazza Fontana e non più strutturati per operare nella loro interezza al servizio di quella strategia. Al loro posto assunsero poi rilevanza le relazioni personali che si erano create in precedenza confortate dall’intermediazione piduista e dall’apporto militare della mafia, ancora interessata a portare avanti la medesima strategia, sia pure con modalità operative meno strutturate ma rese altrettanto efficaci con il supporto che sul piano nazionale la delinquenza organizzata, prima a Milano e poi a Roma, fu in grado di fornire rispettivamente con Francis Turatello e la banda della Magliana.
Tutto ciò fa oramai parte del patrimonio storico di questo paese, dopo la acquisizione di numerosi atti dei servizi segreti e dell’archivio dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, a suo tempo diretto da Federico Umberto D’Amato. Attualmente tali atti sono oggetto di esame da parte della Corte di Assise di Brescia che sta celebrando un ennesimo processo, estremamente impegnativo e ricco di nuovi spunti probatori, per la strage di Piazza della Loggia a carico del gen. Delfino, dell’on. Rauti e di altri capi di Ordine Nuovo.
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Claudio Nunziata - Magistrato in pensione. In qualità di sostituto presso la Procura di Bologna, ha svolto le prime indagini nei tre processi per le stragi che, tra il 1974 ed il 1984, hanno interessato la città di Bologna (treno Italicus, stazione di Bologna, rapido 904). Ha scritto numerosi saggi ed analisi in materia di criminalità economica e storia dell'eversione.