Lavoro: tu intanto produci, poi vediamo se ti paghiamo. Ormai non è più una libertà da difendere e l’Europa deve intervenire
10-06-2010
di
Luigi de Magistris
Anche al Parlamento europeo discutiamo di diritto al lavoro e di lotta alla disoccupazione. I fondi europei per la coesione – quelli che in parte sono depredati dai ladroni della spesa pubblica – servono proprio a realizzare politiche di piena occupazione. Lavoro vuol dire anche lotta alla crisi economico-finanziaria e realizzazione di politiche industriali innovative. Lavoro significa optare – nel terzo millennio – per uno sviluppo economico compatibile con l’ambiente. La green economy è un grande progetto economico e politico che punta anche a garantire livelli ottimali di qualità della vita. La mobilità della forza lavoro può essere anche accettabile se condotta nell’interesse non solo dell’impresa ma anche del lavoratore. È inutile, difatti, preservare realtà industriali ormai decotte e fallimentari, dai costi economici, sociali e umani intollerabili.
La riqualificazione può essere un valore aggiunto. Il lavoro precario, invece, non è mai un valore. Il diritto al lavoro stabile deve essere irrinunciabile. La precarizzazione selvaggia è anche immorale perché mantiene in una situazione di ricatto il lavoratore, lo umilia nella lotta per i suoi diritti perché condiziona, di volta in volta, il rinnovo del contratto ad un atteggiamento servile rispetto al capitale. Rompe l’unità sindacale in quanto favorisce trattative sottobanco con il datore di lavoro. Mantenere l’art. 18 dello statuto dei lavoratori – una delle principali conquiste democratiche della lotta sociale – significa preservare il lavoro come diritto e non come concessione. La politica castale e la parte dominante delle forze capitaliste intende il lavoro come privilegio che viene accordato in cambio del consolidamento di vincoli di appartenenza. Offrire un posto di lavoro – pubblico e/o privato e revocabile – in cambio di denaro o voti.
Spezzare, quindi, il legame tra lavoro come raccomandazione e rafforzare il lavoro come diritto significa mettere in moto economia e sviluppo, nonché garantire diritti ripristinando anche la legalità formale. Il lavoro è uno dei principali antidoti alla corruzione ed alle mafie. Il lavoro come diritto e non come privilegio.
La dignità del lavoro passa anche attraverso la garanzia di una equa retribuzione. In Italia – contrariamente a quello che accade nel resto d’Europa – si procede spediti, invece, verso lo smantellamento dello stato sociale di diritto in maniera tale che il lavoro sia sempre meno un diritto e sempre più un favore. I sistemi corrotti e le mafie godono di parte significativa del loro consenso attraverso la concessione del lavoro che viene elargito grazie al rapporto illecito tra politica ed impresa e grazie alle mafie che condizionano, con il loro controllo, territorio, istituzioni ed economia. Il lavoro come diritto significa anche ritorno alla meritocrazia e, quindi, anche il dovere di lavorare con serietà e correttezza. Il diritto al lavoro vuol dire anche realizzare una rivoluzione culturale che porti alla difesa dell’art. 1 della Costituzione: l’Italia è una repubblica democratica che si fonda sul lavoro. In realtà stiamo perdendo la democrazia ed anche il lavoro.
Luigi de Magistris, oggi europarlamentare IdV, nasce a Napoli nel 1967. Si laurea in giurisprudenza a 26 anni ed entra in magistratura. Lavora per 15 anni come pm presso i Tribunali di Napoli e Catanzaro, occupandosi di indagini delicatissime come Toghe Lucane, Why Not e Poseidone, incentrate sul legame tra politica, massoneria e criminalità organizzata in merito ai finanziamenti pubblici. Trasferito quando le inchieste arrivano a coinvolgere nomi di spicco del mondo politico italiano, lascia la magistratura per dedicarsi alla politica. Nel giugno del 2009, con quasi 500 mila preferenze, entra al Parlamento Europeo come indipendente dell'Italia dei Valori e viene eletto presidente della Commissione Europea per il controllo sui bilanci.