La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Le donne dei clan: comandano come gli uomini, spietate come gli uomini

12-11-2009

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Quando si parla di donne di camorra solitamente il pensiero va a femmine vendute o comprate per sancire un’alleanza a mezzo di un matrimonio, alle donne vestite perennemente a lutto che lanciano urla di dolore durante i funerali dei morti ammazzati, che strillano durante gli arresti o che baciano i congiunti attraverso le sbarre durante i processi. Un dipinto che rappresenta solo a metà la realtà.
All’interno dei clan il ruolo femminile si è molto sviluppato abbattendo i preconcetti che volevano la donna sempre sottoposta agli uomini, figura che traeva la propria forza solo riflettendo l’immagine di un marito, padre o fratello. Le donne di camorra, con il tempo, hanno assunto sempre più ruoli rilevanti.
Parimenti con la possibilità per una donna di far carriera nella società camorrista si è sviluppato un modo di concepire la “femmina che rifiuta di partecipare all’onorata società” come una figura molto pericolosa, da punire e svilire oltre ogni misura. Il rifiuto delle donne alla camorra, in un mondo fondamentalmente matriarcale come è la realtà campana, può far crollare le basi su cui gli equilibri del clan si poggiano.
Ne è un esempio la vicenda che coinvolse Angela Barra, una donna spietata, egemone incontrastata della pianura di Terra di Lavoro. La Barra nel ’93 si innamorò di una ragazza di Teverola ricevendo in risposta un rifiuto. Per vendetta la giovane fu sequestrata e violentata dalla stessa  Barra e da due suoi uomini per quasi un mese mentre il suo fidanzato venne ucciso per l’affronto.
Una figura significativa di donna manager nella gestione del clan, è rappresentato da Anna Mazza. Anna Mazza è la prima donna a essere stata condannata per reati d’associazione mafiosa in Italia, è a capo del clan Moccia di Afragola fin dagli anni Settanta e fa del racket una delle sue prime fonti di guadagno. La Mazza si è dimostrata in grado di ramificare il suo potere ovunque ce ne fosse bisogno, nel suo comune di origine,  Afragola, dove per la sua influenza si dovette arrivare anche a commissariare il comune; come a Treviso, dove negli anni Novanta prese contatti con la mafia del Brenta.
Alcune indagini della DDA di Napoli hanno rivelato che l’artefice della rinascita economica delle ditte del clan Moccia nell’ambito dell’edilizia e della movimentazione della terra è stata opera di un altra donna, amica intima di Anna Mazza, Immacolata Capone. La Capone era un’imprenditrice legata da rapporti d’affari anche con i clan degli Zagaria e i casalesi. Immacolata era solita andare in giro scortata da due ragazze come guardaspalle a bordo di una Smart gialla, una vettura quasi eletta a status-symbol per le donne di camorra. Questo però non ha impedito che venisse uccisa nel 2004 con modalità chiaramente camorriste.
Giuseppina Nappa, moglie del boss Francesco Schiavone, ha rivestito lungamente un ruolo centrale nella gestione degli affari della famiglia. Nei suoi confronti, a gennaio, i magistrati della DDA partenopea hanno emesso un’ordinanza di custodia cautelare contestandole il reato 416 bis   “associazione di stampo mafioso”.
Erminia Giuliano, detta Celeste, la lady camorra del clan di Forcella venne arrestata dopo dieci mesi di latitanza vissuti, a detta degli investigatori, da vero uomo d’onore. Una donna dura capace di pugnalare un’avversaria con un coltello imbevuto nel peperoncino per aumentare la sensazione di bruciore e di lanciare l’auto nella vetrina di un commerciante restio a pagare il pizzo.
Maria Licciardi, detta ‘a Piccerella , è tra i più temibili tra i boss, non solo fra le donne. E’ boss di Secondigliano e con Francesco Mallardo ed Eduardo Contini rappresenta uno dei capi massimi della cosiddetta  alleanza di Secondigliano. Secondo le accuse del boss pentito Giuseppe Misso, Maria Licciardi sarebbe una sanguinaria senza pietà in grado di macchiarsi di più di cento omicidi.
Le sorelle Rita, Maria e Anna Aieta sono tutte mogli di boss, Francesco Mallardo Edoardo Contini e Patrizio Bosti, facenti parte dell’alleanza di Secondigliano ed è grazie a loro che l’alleanza tra i tre clan si è potuta cementificare e diventare granitica.
Secondo le testimonianze di alcuni pentiti fu Concetta Tecchio, moglie del boss dei quartieri spagnoli Ciro Mariano, a svolgere un ruolo determinante nell’organizzazione della strage del venerdì Santo del 1991. C’è anche Annamaria Giarra, recentemente condannata per estorsione e associazione camorristica; Marianna Giuliano, uno dei boss di Forcella specializzata nello spaccio di droga; Teresa De Luca,  ritenuta elemento di spicco di un clan di Ponticelli.
Andando indietro nel tempo troviamo Paolina Gravano storica ristoratrice della camorra d’oltremanica; Rosetta Cutolo, sorella maggiore di Raffaele Cutolo che si dice fu colei che tenne in pugno le redini della Nuova Camorra Organizzata dal 1979 al 1983; Teresa Deviato che negli anni Novanta organizzò il più lucroso racket delle estorsioni; Patrizia Ferriero in grado di tenere a libro paga numerosi poliziotti; fino ad arrivare a quella che forse fu la capostipite di tutte le donne di camorra, Pupetta Maresca. Assunta Maresca, nota come Pupetta, sposò nel 1955 un boss di camorra che fu assassinato ottanta giorni dopo il loro matrimonio. Incinta di sei mesi vendicò il marito uccidendo di suo pugno il mandante dell’omicidio, Antonio Esposito.
Tra le donne di camorra il fenomeno del pentitismo è estremamente raro. “Nella camorra è come nella vita” disse il capo della squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani. “Bisogna sempre che facciano meglio degli uomini per essere trattate come gli uomini”. Le donne sono infatti i soggetti che più difficilmente ripudiano il mondo camorrista. Anna Vollaro, nipote del boss Luigi Vollaro,  difese strenuamente i beni di famiglia arrivando nell’ottobre ’93, a soli 29 anni, a darsi fuoco per protestare contro il sequestro della sua pizzeria ad opera della polizia. La Vollaro si fece ardere viva per protestare contro il sequestro di un bene conquistato con soldi provenienti dalla camorra che lei considerava frutto di un’attività imprenditoriale come un’altra.
Giuseppina Schiavone figlia del pentito Carmine Schiavone, subito dopo il pentimento del padre ebbe a scrivere parole tremende sul padre, lo definì “un grande falso, bugiardo, cattivo ed ipocrita che ha venduto i suoi fallimenti, una bestia. Non è mai stato mio padre. Io non so neanche cosa sia la camorra”.
Come ci sono donne egemoni nel mondo della camorra bisogna riconoscere un ruolo di rispetto anche nell’anticamorra.
Silvana Fucito è stata inserita dal “Time” nell’elenco degli eroi europei del 2005 per la sua lotta contro la camorra, è sicuramente un simbolo dell’antiracket: si è ribellata al pizzo e agli estorsori e con le sue denunce ha mandato in galera numerosi camorristi.
Rosaria Capacchione è una giornalista minacciata di morte dalla camorra che dal marzo 2008 vive sotto la protezione della polizia, non rinuncia per questo al suo lavoro di denuncia della malavita.
Ersilia Salvato, politica italiana impegnata nella lotta alla camorra.
Senza dimenticare le numerose donne impegnate tra le forze dell’ordine e la magistratura, gli studenti contro la camorra ma sopratutto le centinaia di mamme coraggio che nell’anonimato quotidiano continuano la battaglia contro la camorra che vorrebbe rubare il futuro ai loro figli.

Susanna AmbiveroSusanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.
 

Commenti

  1. non sapete dare le informazioni che voglio sapere

  2. barbara

    sulle due figure dell’antimafia Capacchione e Fucito la voce delle voci riporta:
    LE DONNE “SIMBOLO”
    Due esponenti partenopee del gentil sesso, intanto, si contendono attualmente la scena (e la scorta) di quella societa’ civile impegnata nel fronte del contrasto alle mafie. La prima, braccio destro di Tano Grasso (al punto da far insediare a Napoli, nel centralissimo corso Umberto, la sede nazionale del Fai), e’ Silvana Fucito. Un nome, un mito. Mentre sale e scende da un aereo all’altro per partecipare in rappresentanza del Fai (di cui e’ vicepresidente) alle conferenze organizzate dal Viminale, Fucito non rinuncia a tenere saldamente le redini del suo piccolo-grande impero aziendale. Unica italiana donna dell’anno di Time, addirittura protagonista di una fiction ispirata alla sua storia (e, naturalmente, sotto scorta fin dal 2002, quando si era ribellata alle estorsioni), oggi la cinquantanovenne imprenditrice di San Giovanni a Teduccio detiene saldamente quote delle srl partenopee “G.A. Ricambi e vernici”, “G.S.P. General Sell Paint” (50 mila euro di capitale sociale), “Coverplast” e “W.X.A. Two”, oltre che della modenese “Dama Color”.
    Qualche anno fa le cronache si erano occupate di un abuso edilizio eseguito dalla paladina della legalita’ in un suo appartamento. Piccole cose. E niente a che vedere, comunque, con le ombre che oggi emergono in forma assolutamente inedita sull’altra wonder woman della legalita’ targata Napoli, la giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, sotto scorta da inizio 2008 in seguito alle velate minacce ricevute dai boss durante il processo Spartacus.
    Le indagini condotte dal pm partenopeo Antonio Clemente, riguardano in realta’ il fratello di Rosaria, il costruttore Salvatore Capacchione. Ma proprio da una costola di quella inchiesta nasce un’altra, velenosa vicenda giudiziaria che investe in pieno la cronista, al punto da portarla oggi sul banco degli imputati a Caserta, sezione staccata della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Il 31 ottobre scorso si e’ infatti tenuta la terza udienza nel processo per calunnia ai danni di un luogotenente della Guardia di Finanza, L. P., braccio destro del pm Clemente per ricostruire quello che viene definito il “sistema Capacchione”. In una delle numerose conversazioni telefoniche tra i due fratelli – l’imprenditore, che era intercettato, e la cronista – si sente quest’ultima dichiarare che se quel finanziere non la smette, «lo andiamo a uccidere col mitra…». O che certi esponenti della Guardia di Finanza «sono peggio di Sandokan (il feroce boss Francesco Schiavone, ndr)». Parole magari pronunciate in un momento di rabbia, tanto per dire (e comunque presenti nei verbali dei faldoni giudiziari).
    L’accusa di calunnia, pero’, trova il suo fondamento nel rapporto del maggiore Vittorio Capriello, ex comandante delle Fiamme gialle a Caserta (ora a Napoli), dal quale Rosaria Capacchione si era recata per dirgli di non prestare ascolto alle ricostruzioni di L.P. sul conto suo e del fratello, in quanto quel militare sarebbe stato “pagato”, per costruire false accuse, dalla famiglia Coppola di Pinetamare (rivale dei Capacchione per l’acquisto di suoli e capannoni nell’ex area Saint Gobain di Caserta). Capriello si mette al computer e redige un rigoroso verbale sull’incontro con la giornalista. Nel prosieguo delle indagini (con accertamenti patrimoniali che investono tutta la famiglia, compresa una zia novantenne) emergera’ che il finanziere L.P. non ha avuto alcun rapporto con i Coppola e si confermera’, anzi, quanto dichiarato dal militare: anni addietro aveva condotto a loro carico un’inchiesta sfociata in un procedimento penale per concorso in bancarotta fraudolenta.
    http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=239

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