L'addio dell'Alto Adige a Silvius Magnago, storico leader autonomista della Svp
Credo di essere uno dei pochi ad aver raccontato, in un articolo per il quotidiano in cui lavoravo, l’Adige di Trento (6 febbraio del 2004), il volto nonviolento della complessa vicenda altoatesina degli anni Sessanta. Non c’è nulla nei libri di storia, nulla negli atti pubblici, nulla nei rimandi politici. Me ne parlò un giorno un amico tedesco attivo nell’ambito della soluzione nonviolenta dei conflitti.
Eppure la soluzione politica ad una crisi che per molti anni si è propagata sull’orlo di una vera e propria guerra civile (non dimentichiamoci gli attacchi dinamitardi all’inizio degli anni Sessanta con la notte infuocata del Sacro Cuore quando le frange più estremiste del movimento per la liberazione del Sudtirolo fecero saltare una quarantina tralicci dell’alta tensione che rifornivano la zona industriale di Bolzano), la si deve anche alla strategia e all’efficacia della nonviolenza gandhiana.
Gli esperimenti con la verità risalgono al 1968. E’ un anno cruciale. Il partito di raccolta tedesco, Sūdtiroler Volkspartei (Svp) guidato dal leader Silvius Magnago si trova impantanato nel contenzioso politico con Roma. Se non si riesce a mettere in moto un processo virtuoso con il governo per arrivare alla stesura di un pacchetto per l’autonomia provinciale, si rischia grosso. Dal 1966 una serie di atti dinamitardi avevano causato esplosioni in rifugi, caserme dei carabinieri, crolli di tralicci, con la cosiddetta strage di Cima Vallona, dove morirono il capitano dei carabinieri Francesco Gentile, il sottotenente paracadutista Mario Di Lecce e in seguito, per le ferite riportate morì un altro paracadutista Olivo Dordi. L’Alto Adige era una polveriera accesa. O la politica affrettava i passi diplomatici o l’opzione violenta diventava l’approdo ultimo alle aspettative disattese e alle frenesie di chi avrebbe voluto l’autodeterminazione e il passaggio all’Austria.
E’ a quel punto che si apre lo spiraglio nonviolento. L’Obmann della Svp viene a conoscenza che nella fortezza di Caux in Svizzera è attivo un centro per il Riarmo morale (oggi ancora attivo sotto altro nome “Initiatives of Change”). E’ una sorta di Onu dei popoli, un centro internazionale per la diplomazia popolare. Vi era impegnato il nipote del Mahatma Gandhi, Rajamohan, docente all’università di New Delhi. Ogni anno il centro dedicava delle sessioni a conflitti in corso per trovare delle soluzioni alternative e elaborare strategie di pace e nonviolenza. Prima del ’68 si era occupato della situazione di Zimbabwe, in Tunsia, si era occupato del Vietnam, dell’Angola. Ma in quell’anno aveva deciso che fosse doveroso occuparsi della polveriera sudtirolese. Aveva invitato, sotto il coordinamento di Rajamonah Gandhi, il presidente Magnago, il vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone Joseph Gargitter insieme ad una delegazione di politici e amministratori della Democrazia cristiana, fra cui il sindaco della città di Bolzano.
Le cronache di Caux raccontano di un intervento, fatto in assemblea da Magnago, in cui l’Obmann chiedeva l’aiuto internazionale e concludeva dicendo: «Lo spirito di lavoro costruttivo che ha permesso di confrontarci, noi e gli esponenti del mondo italiano insieme agli amici di tutto il mondo qui convenuti a Caux ci consentono di sperare in una chiusura del contenzioso con Roma e l’apertura di una nuova fase di libertà per il Sudtirolo».
Il vicepresidente del Consiglio regionale, Armando Bertorelle, salutò quelle parole con grande partecipazione lasciandosi andare ad un intervento in tedesco, quasi a sottolineare che da allora sarebbe iniziato il disgelo. Un disgelo che portò, l’anno dopo, all’accoglimento da parte della Svp delle 137 norme che avrebbero formato l’ossatura portante del nuovo statuto di autonomia (1972).
«Ricordo molto bene quelle conferenze a Caux» racconta Giorgio Pasquali che è stato sindaco di Bolzano. «Sul lago vicino a Ginevra c’era questo luogo molto bello, suggestivo, questa fortezza che una volta era un grande albergo. E venivano organizzati questi incontri internazionali, che avevano come finalità quella di arrivare ad un metodo di risoluzione nonviolenta per le controversie fra minoranze. Era un ambiente laico, ma rispettoso delle differenze religiose. Mantenemmo i contatti a lungo. Non dimentichiamo che nel ’68 venivamo dalla lunga stagione dinamitarda e quindi c’era un grande interesse da parte degli osservatori internazionali sullo specifico caso altoatesino».
Il senatore della Svp Mitterdorfer (anche lui presente all’incontro di Caux) mi raccontò della presenza di Rajmohan Gandhi e del suo carisma: «Era interessante come, improvvisamente i preconcetti e i pregiudizi dall’una e dall’altra parte cominciarono ad affievolirsi. Il nipote di Gandhi cominciò col chiedere ai referenti dell’una e dell’altra parte il luogo da cui provenivano e si scopriva che tutti avevano radici al di fuori di Bolzano, eppure vivevano in Sudtirolo come uomini e donne che cercavano una casa, una patria, una Heimat e dunque tutti condividevano una cosa comune. E su questo si iniziò a lavorare per stemperare i rancori, i pregiudizi, i preconcetti culturali, ideologici, politici».
Monsignor Josef Gargitter rimase molto affascinato dagli incontri svizzeri, che erano frequentati anche dal cardinale di Vienna Franz König.
Riuscii a raccogliere alcuni ricordi di Silvius Magnago nei giorni del suo novantesimo compleanno (Magnago è morto il 25 maggio del 2010): «A Caux imparammo a capire che bisognava sviluppare le trattative per arrivare ad una soluzione. Si creò un clima distensivo e questo è un fatto importante, sia psicologicamente che culturalmente, mentre non so sul piano politico. Direi che in Svizzera riuscimmo a rivedere un poco le nostre posizioni per aprirci alla disponibilità nuova a dialogare per venirci incontro».
E questo non è poco.
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.