La psicologa Laurie R.Santos, della Yale University, ha guidato uno studio di ricerca sull’onda di un’osservazione inquietante circa la caratteristica della natura umana di valutare le persone in maniera diversa a seconda che le si consideri parte, oppure fuori dal gruppo di appartenenza:
Praticamente ogni conflitto della storia umana ha posto le sue radici sulle diversità alla base dei gruppi di appartenenza, sia che la diversità riguardasse la razza, la religione, la classe sociale e quant’altro passibile di distinzione. La questione interessante e stimolante lo studio è: da dove deriva la regolamentazione del senso di appartenenza dei gruppi?.
I risultati della ricerca, pubblicata di recente sulla rivista di divulgazione scientifica Journal of Personality and Social Psychology, suggeriscono che la distinzione che gli esseri umani fanno tra “noi” e “loro”, quindi che le radici dei pregiudizi umani, si possono fare risalire a 25milioni di anni fa, ai tempi del comune antenato di umani e macachi rhesus.
Secondo Mahzarin Banaji, Dipartimento di Psicologia della Harvard University e coautore dello studio in questione:
da un lato gli psicologi sociali insistono sull’importanza dell’ambiente a condizionare determinati comportamenti, nonché sentimenti ed emozioni, d’altro canto i teorici dell’evoluzione ci hanno reso consapevoli del nostro passato ancestrale e lo tengono in considerazione a spiegazione del comportamento osservabile. In questo nostro lavoro vorremmo tenere in considerazione le due ipotesi a comprendere l’influenza che possono avere sulla espressione della conflittualità umana.
Secondo la dott.ssa Santos la tendenza a non gradire gli appartenenti a gruppi estranei, avendo origini ancestrali, non parrebbe così semplice da intaccare, visto che il processo evolutivo pare non averla minimamente sfiorata, però ciò che si è osservato nelle scimmie, e che ci può in qualche modo confortare, è che loro hanno sviluppato una notevole flessibilità circa i criteri di appartenenza al gruppo. Se “anche” noi umani riuscissimo a trovare il modo di sfruttare questa flessibilità evolutiva, forse potremmo avviarci verso la costruzione di una comunità maggiormente tollerante, capace di affrontare le conflittualità.
Sono stati studiati i macachi rhesus che vivono su di un’isola al largo della costa di Porto Rico e si è visto che, come gli umani, anche le scimmie creano gruppi sociali di appartenenza sulla base della storia famigliare. Al fine di valutare se veniva espressa distinzione tra individui “ingroup” ed individui “outgroup”, i ricercatori hanno fatto riferimento al noto comportamento di starsene alla larga da cose-situazioni considerate negative, dannose, spaventose, in contrapposizione a quello di avvicinarsi invece a situazioni per lo più conosciute e considerate piacevoli.
Sono state presentate alle scimmie immagini di soggetti appartenenti al gruppo sociale di appartenenza ed immagini di soggetti di gruppi diversi. Si è riscontrato che le scimmie fissavano per più tempo gli outgroups, dimostrando che sapevano riconoscere lo straniero, oltre a riconoscere i soggetti che si erano allontanati anche da appena qualche settimana per migrare in un altro gruppo, a testimonianza che anche i primati riconoscono chi è dentro al gruppo e chi ne è fuori. Si deduce che il riconoscimento del “noi e del “loro” è flessibile ed aggiornabile in tempo reale.
È stato approntato a misura di macaco un test, chiamato Implicit Association test (IAT), a misurare i caratteri pregiudizievoli nei confronti di individui considerati estranei e/o diversi. Il test si utilizza negli umani appunto per valutare la misura nella quale le persone mostrano pregiudizi nei confronti di membri di altri gruppi.
Nelle scimmie si è associato un carattere considerato “buono” ed uno considerato “cattivo” a distinzione, riuscendo così a valutare le reazioni automatiche in relazione ad elementi ingroup e/o outgroup. I ricercatori hanno mostrato sequenze di foto nelle quali i soggetti erano associati o meno con foto di cose considerate “buone”, come la frutta, oppure “cattive”, come i ragni, ed è stato pure valutato il tempo che le scimmie spendevano dinanzi a quella foto, piuttosto che dinanzi all’altra.
Si è visto con chiarezza che le fotografie delle scimmie ingroup venivano rapidamente associate alle immagini di frutta, quindi associate al “buono”, mentre quelle delle scimmie outgroup a foto di ragni, quindi al “cattivo”. È indubbio lo stimolo e la conseguente diversa risposta.
L’associazione tra il buono e l’estraneo risulta essere innaturale nella scimmia e, come per gli umani, prevale il comportamento positivo, scevro da paure, volto verso il conosciuto, mentre prende il sopravvento quello negativo dinanzi al diverso. La ricerca vorrebbe rappresentare la base di partenza per effettuare altri studi approfondendo magari le motivazioni che tendono a rinforzare, quindi a persistere, in atteggiamenti negativi e l’eventuale legame e/o invischiamento con questioni di priorità etica, ad esempio si ritiene che l’identificazione e la diffidenza nei confronti dell’estraneo possa di per sÈ avere un carattere evolutivo, teso alla sopravvivenza del branco originario.
Fermo restando la ricerca, oggi ciò che tutti noi possiamo constatare, sull’onda della storia della quale facciamo parte, è l’incapacità degli esseri umani di affrontare e superare i conflitti, il dominio dei pregiudizi volto ad attaccare ed allontanare “l’altro” restano, in barba all’evoluzione della specie. La domanda che ci potrebbe porre è: “che i macachi rhesus siano più sensibili all’effetto evoluzione rispetto agli esseri umani?”.
Note di approfondimento
Laureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati.
Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico.
Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).