Riporto qui, nella sua interezza e senza aggiungere alcun commento, la lettera che stamattina mi è stata portata a mano da un signore incappucciato e con forte accento meneghino:
“Egregio signor Spadon, ho letto su “Libération” e sul “Figaro” del 16 novembre, e sull”Exspress” del 17 novembre, una Sua lettera di cui traduco l’essenziale per non affaticare troppo le meningi del mio caro amico Umberto Bossi troppo impegnato a spiegare al popolo padano , che non li ha ben capiti, quali siano i risultati epocali ottenuti dalla Lega di lotta e di governo.
“Ci siamo” scrive lo Spadon livoroso e velenoso come non mai “L’abbiamo finalmente finita con le barzellette da carrettiere (tipo: la storiella della mela o quella del malato di aids); con le vanterie del villan rifatto (tipo: “sono il miglior presidente del Consiglio italiano da 150 anni”); con le mirabolanti imprese del seduttore da balera (tipo: “ho sderenato 8 pulzelle in una notte”); con i comportamenti da buzzurro (tipo: non far l’offesa Merkel non vedi che sto telefonando?); le gag dell’esperto in fregnacce (tipo: Obama “abbronzato”, Schults “kapo”, Merkel “culona”); con gli svarioni dell’incolto (tipo: Remolo fratello di Romolo); con le promesse da irresponsabile (tipo: la ricostruzione dell’Aquila in men che non si dica o la costruzione del ponte di Messina in pochi anni); con l’ottimismo dell’incompetente (tipo: “l’economia italiana è solida, le banche italiane sono le migliori d’Europa”). Ora è finalmente giunto il tempo della serietà, della dignità e dell’impegno.”
Leggere questa lettera e sentirmi il sangue montare alla testa è stato tutt’uno. Ma come? Un uomo ricco, un uomo di successo, un innamorato della vita, rinuncia al quieto vivere, lavora 20 (dico 20) ore al giorno per il suo paese lasciando da parte i suoi interessi personali ed ecco che Lei un cittadino che forse non ha mai fatto nulla nella vita, viene a gettar fango, proprio a Parigi, su chi ha guidato il paese con sobrietà, con probità, con lealtà, e soprattutto con l’occhio sempre rivolto al pubblico bene. Lei ha provocato in me un tale sdegno per la gratuità, la meschinità la falsità delle Sue accuse che per smentirLa, caro professore dei miei stivali, ho compulsato la famosa Historia belli sacri verissima dell’ottimo Guglielmo di Tiro che accompagnò i crociati nella loro prima spedizione e che, descrivendone le imprese, ci lasciò un ritratto di Goffredo di Buglione che si attaglia come un guanto a Colui che fino a ieri ci ha governato.
Ma ecco, a Suo disdoro, spocchioso Spadon, il ritratto di cui non cambierei né virgole nè parole «Vir religiosus clemens pius ac timens Deum, iustus, recedens ab omni malo, serius et stabilis in verbo, seculi vanitates contemnens, quod in illa praesertim politica professione rarum est». (Uomo – traduco sempre per l’Umberto e per il Trota suo degno figliolo – religioso, clemente, pio e timorato di Dio, nemico di ogni male, serio, fedele alla parola data, spregiatore delle mondane vanità il che è rarissimo soprattutto in chi fa politica”.
Ho inviato, assieme a questo ritratto di esemplare somiglianza , una lettera di fuoco ai redattori capo dei tre giornali francesi ingiungendo loro di fare ammenda per aver dato spazio a un ignobile “traditore”. Ne ho ricevuto la risposta che qui trascrivo;
“Cher monsieur, il ritratto che Lei cita non ci sembra, nonostante tutta la nostra buona volontà, sovrapponibile a quello del Suo (fino a ieri) presidente del Consiglio. Nella sua Historia belli sacri verissima, Guillaume de Tyr completa il ritratto di Godfrey de Bouillon con queste parole dal significato non equivoco: “Era assai forte, di alta statura, bello nel viso, fulvo di capelli, più valente di tutti nell’esercizio delle armi” Lei converrà con noi che questo complemento di descrizione mal si adatta a un signore (non è colpa nostra e forse non sua) con sovratacchi, con lifting da befana bretone, con cocuzza incatramata e forte solo nello sparar lepidezze indegne e fandonie colossali. Non ce ne voglia, gentile signore, se la preghiamo di documentarsi con maggior cura la prossima volta”.
Non a Lei, compagno Spadon, comunista incallito e irrecuperabile, ma a tutti gli onesti che hanno a cuore il buon nome della nostra Patria io chiedo di volermi cortesemente dire se, a loro parere, ce n’è abbastanza in questa sarcastica e infame risposta per invadere la Francia, al comando, s’intende dell’immarcescibile Ignazio.”
Tutto ciò ho trascritto per testimoniare l’amore di un pidiellota orbato del suo duce.
Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.