Nel 30° anniversario della strage alla stazione di Bologna si torna a parlare dei legami tra mafia, politica, fascisti e massoneria. Intanto la Chiesa di Roma promette ai preti pedofili un inferno più infernale. Senza dirci, però, quale stanza dell'inferno ospita monsignor Marcinkus, arcivescovo massone morto nel 2006 che usava la banca del Vaticano per riciclare i soldi della mafia. Di chi è la colpa se i delinquenti sono diventati "eroi"?
Riccardo LENZI – L’inclinazione delinquenziale dell’Italia. Per liberarci da mafiosi, fascisti e P2 la giustizia non basta: ci vuole l’esercito
03-06-2010La battaglia in corso contro la legge-bavaglio rischia di occultare una verità inconfutabile e raramente ribadita: dal 1994 a oggi la mafia vota (e fa votare) Berlusconi. Quello che, da quindici anni, dovrebbe essere il presupposto di ogni considerazione politica, è stato colpevolmente derubricato a questione meramente giudiziaria.
Molti italiani, evidentemente, non ritengono che questo sia un motivo sufficiente per votare “i comunisti”. Sarà forse per questo che, nonostante la nascita di “nuovi” partiti, la sinistra italiana non si è fatta scrupolo di andare a caccia di qualche voto di dubbia provenienza. Basti pensare a certi candidati oggettivamente indifendibili, come Vladimiro Crisafulli, campione di consensi in quel di Enna, ripreso da una telecamera mentre conversava nel suo ufficio con un noto boss mafioso. Ecco: c’è bisogno di una sentenza per vergognarsi di aver portato in Parlamento personaggi come “Mirello” Crisafulli o l’ex assessore pugliese Alberto Tedesco?
C’è bisogno di aspettare tutti i gradi di giudizio per considerare inaccettabile la presenza nelle istituzioni di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, che hanno definito il loro amico Vittorio Mangano un eroe (perché, da bravo mafioso, ha tenuto la bocca chiusa fino alla tomba)?
Periodicamente alcuni testimoni privilegiati della stagione dello stragismo italiano ritrovano la memoria e la voglia di parlare: Walter Veltroni, che da segretario del Pd diceva di voler “distruggere la mafia” (pur avendo tollerato la candidatura di Crisafulli), dichiara in tv e sui giornali che la vera priorità della politica dovrebbe essere dire la verità sugli intrecci tra politica, economia e criminalità organizzata che portarono alle stragi del ’92-’93. Abbiate pazienza: dov’era Veltroni nel luglio 2006, quando il Parlamento votò l’indulto salva-Previti (condannato a 5 anni di galera per aver corrotto il giudice Renato Squillante)? Dov’erano D’Alema, Bersani e i dipietristi Barbato e Cimadoro il 30 settembre 2009, quando il Parlamento varò lo scudo fiscale che favorisce i mafiosi e gli evasori fiscali? E ancora: quale credibilità può avere l’ex magistrato e parlamentare “di sinistra” Giuseppe Ayala, che parla al Tg3 le stranezze del ’92-’93? Pochi ricordano che Ayala, nel 2004, fu il precursore del “processo breve”: due anni massimo di processo in primo grado, due per l’appello, due per il terzo grado in Cassazione. E se si sfonda, processo prescritto per tutti (anche per i processi in corso)…
Allegria! Che farsene della memoria in questo Paese? Beppe Grillo e i suoi seguaci hanno certamente una strana concezione della democrazia (a dimostrazione che non basta saper fare controinformazione per essere un buon politico). Però sarebbe ingeneroso non riconoscere al comico genovese due meriti indiscutibili:
- 1) aver colto per primo, ed usato con maestria, le potenzialità del web;
- 2) aver capito che, in una situazione talmente grave come quella dell’Italia, era necessaria una grande operazione verità. Grillo è stato l’unico, per esempio, ad aver raccontato al grande pubblico chi sia veramente Cesare Geronzi, potente e discusso banchiere, amico di tutti: destra, sinistra, Vaticano. È difficile credere che un avvocato-parlamentare di sinistra, noto per aver cercato la verità sull’omicidio Pasolini, possa aver difeso un personaggio come Geronzi, notoriamente “incline alla delinquenza”. Eppure è accaduto: quell’avvocato si chiama Guido Calvi.
Nessuna parentela con il Roberto presidente del Banco Ambrosiano, morto impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati neri. A proposito: la trasmissione Report ha intervistato Enrico Nicoletti, cassiere della banda della Magliana in ottimi rapporti con Wojtyla e Ratzinger. Rapporti che meriterebbero di essere chiariti: può spiegarci Sua Santità come mai il delinquente “Renatino” De Pedis riposa in una lussuosa tomba all’interno della Città del Vaticano? E ci può dire se anche lui risiede all’inferno insieme ai pedofili? Si sa: morto un Papa (Wojtyla) se ne fa un altro. Sono passati più di trent’anni dalla scorribande criminal-finanziarie di Michele Sindona, monsignor Marcinkus e Giulio Andreotti. Oggi molti “eroi” sono cambiati: Balducci, Bertolaso e Gianni Letta sono i nuovi campioni dell’Opus Dei.
A Palazzo Chigi c’è il Berlusca. Ai vertici dello Ior c’è un certo Ettore Gotti Tedeschi… Ma Geronzi, “Cesare alla rovescia”, abita ancora nel paradiso della finanza. Dal Banco di Roma a Capitalia, grazie agli ottimi rapporti con il Vaticano e la politica è riuscito a sedere sulla prestigiosa poltrona di Enrico Cuccia al vertice di Mediobanca, per poi proseguire la sua eroica carriera scalando le Assicurazioni Generali. Tutti lo trattano con devozione, nonostante numerosi processi lo vedano imputato. Crack Parmalat: nel respingere il ricorso dell’avvocato Guido Calvi, avverso alla sospensione di due mesi dalla presidenza di Capitalia, il giudice Alessandra Arceri motivò:
Di tutt’altro spessore e afflittività avrebbe potuto e dovuto essere la misura riservata a Cesare Geronzi, […] considerata la sua inclinazione delinquenziale specifica. […] Un uomo che sfruttando una incommensurabile potenza ha reiteratamente commesso crimini di gravità inaudita mostrando la più totale insensibilità nei confronti di chi ne sarebbe stato la vittima più indifesa, il popolo dei risparmiatori.
Il problema è che in Italia la reputazione non conta più nulla: chi non è mai passato col rosso al semaforo è considerato uno sfigato. Chi ritiene che in Parlamento dovrebbero sedere solo persone rispettabili è un moralista. Chi pensa che i delinquenti dovrebbero essere puniti (anziché premiati) passa per giustizialista. E via di questo passo. In compenso da troppi anni si consente ad un ex latitante come Roberto Fiore, leader orgogliosamente fascista di Forza Nuova, di presentarsi illecitamente alle elezioni in barba e in spregio alla Costituzione nata dalla Resistenza.
Lo ha scritto molto bene Paolo Bolognesi (presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna) nella prefazione – già pubblicata da Domani – all’ultimo libro di Antonella Beccaria:
Sembra quasi che l’orologio si sia fermato e che ogni tanto, per coloro che hanno un po’ di memoria, quei tempi ritornino con il loro carico di orrori, delitti e soliti faccendieri.(…) si parlò allora di azioni giudiziarie scriteriate, condanne sulla base di semplici sospetti, furia accusatoria, magistrati che abusavano delle loro funzioni, clima paranoico volto alla destabilizzazione. Oggi invece si dice che i magistrati si devono vergognare della loro azione persecutoria, responsabili – si dichiara alla stampa – di complotti giudiziari per abbattere il governo. Ieri, per salvarsi, si cercava di spostare i processi a Roma (procura che venne definita “porto delle nebbie”, ndr) dove forse il clima era più favorevole. Oggi si cambiano le leggi o si annullano i reati per impedire che i potenti possano anche ipoteticamente essere condannati.
In effetti l’orologio della stazione di Bologna è ancora fermo alle 10,25 del 2 agosto 1980. Anche la scritta “fascista” sulla targa che ricorda la strage è ancora là, nonostante i ripetuti tentativi di Cossiga e dei (post)fascisti di cancellarla. Eppure la disinformazione di massa ha raggiunto il suo obiettivo: molti, persino tra i giovani bolognesi, sono convinti che quella strage fu opera delle Brigate Rosse… Analfabetismo di ritorno ed ignoranza coltivati da chi, trasformando in leggi il “Piano di rinascita democratica” del maestro P2 Licio Gelli, continua a falcidiare con zelo istruzione e cultura. Per liberare l’Italia dalla marea nera che da troppo tempo inquina le nostre vite scienza, religione ed economia non servono a nulla: urge un intervento chirurgico, necessariamente invasivo, volto a sradicare le radici del male che ci affligge. Proposta concreta, a breve termine: uscire dall’Afghanistan, tagliare le unghie a Finmeccanica (principale produttore di armi) e usare l’esercito italiano per combattere e distruggere l’Antistato. Ovunque, da Palermo a Milano. Se pensiamo davvero che un giorno da Borsellino sia meglio che cento da Ciancimino, non vedo molte alternative.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)