La paura degli indios nelle chiacchiere della notte
18-06-2009
di
Azzurra Carpo
Foto: Amazon's river people by Pierre Pouliquin
In Amazzonia non c’è l’orologio ma tutti conoscono alcuni orari. Gli umani dormono presto perchè dalle 17 in poi gli insetti si scatenano. Il cielo di giorno appartiene ai pappagalli, di notte ai pipistrelli. Serpenti di ogni taglia, colore e incubotessono un tappeto ondeggiante ai perimetri delle comunità, dove inizia il bosco. Di notte può succedere che si voglia conversare. Riflessioni amare o ironiche, fuoriescono dalle zanzariere bianche, mentre le braci della cucina spirano. Io ero felice quando sentivo una domanda apparire nel buio da qualche parte della stanza. Interrompevo la lettura (con la pila) di “La guerra della fine del mondo”, 525 pagine epiche di Mario Vargas Llosa. Libro traditore. Sebbene funzionale per ammazzare zanzare, durante il sonno rotolava ai bordi del materasso, aprendo un varco dal quale l’esercito di zanzare bombardava di punture la mia pelle di gringa. La signora Biri, consulente indigena per ONG chiedeva: “Sai perchè non ci piace il Trattato di Libero Commercio fra il Perù e gli USA? Perchè approvato dal governo senza consultare la gente. Priviligerà le importazioni di prodotti agricoli USA”. “Non dirmi che importeranno anche patate”. “Come no. Il Perù produce oltre 3mila tipi diversi di patate. Ma al mercato si venderà a prezzi bassissimi la patata USA. Sarà la fine dell’agricoltura nazionale. E della biodiversità, che per noi equivale alla ricchezza”. Un ragno grosso come un pugno scala con tutta calma la parete destra della zanzariera. Respirare profondamente. Tanto, passa. Affermazione con domanda implicita decolla nel buio dalla mia zanzariera: ” In Europa propongono il biodiesel come soluzione all’inquinamento”. “Una soluzione non ha mai un solo elemento. Vogliono vendere ciò che fa comodo a chi produce il biodiesel. E per farlo bruciano e deforestano l’Amazzonia, privatizzano terre, acqua, usurpano i nostri territori. Non possiamo permetterlo. Dovrete aiutarci. Se muore l’Amazzonia muore il mondo, mica solo noi”. ” Nelle capitali, dicono che voi non fate lavorare la terra, e che la monocoltura rappresentano l’agricoltura industriale moderna e produttiva. Il progresso”.
“Devono smetterla di teorizzare dalle poltrone della città. L’humus fertile del terreno amazzonico sopravvive miracolosamente fra piogge torrenziali (e sempre più catastrofiche) e sole cocente (sempre più insopportabile). Ecco perchè noi coltiviamo una varietà di prodotti. Banane e papayas a 4 m di altezza; tubercoli a 2 m di altezza; fagioli e arachidi nel suolo. E’ la nostra agricoltura di rotazione. La caduta delle foglie delle diverse piante ci permette di disporre di fertilizzanti naturali. Così riduciamo i rischi di impoverimento del suolo. Non solo. La agricoltura di autoconsumo ci permette di vivere bene senza dipendere dall’assistenzialismo statale. Ma quando tagli gli alberi la terra rinsecchisce. Quando incendi, dopo 3 anni non puoi più seminare. Deve passare una generazione perchè la terra rinasca dalle proprie ceneri. La monocolture intensiva impoverisce il terreno e lo contamina con fertilizzanti chimici che penetrano nelle vene dell’acqua. Qui in Amazzonia i fiumi che abbracciano città meticce e villaggi indigeni fanno arrivare a tutte le pentole decenni di contaminazioni ad opera di multinazionali del petrolio: Mancava la monocoltura del biodisel: maledetta soia. Come si può non voler parlare di temi così importanti? E’ democrazia, questa? Scegliere di non informare i cittadini circa le condizioni e gli effetti di trattati commerciali internazionali?”.
Allora Biri zittiva, il ragno si fermava sul tetto della zanzariera. Gli guardavo il ventre, e lui scrutava nel buio qualche preda. Pensavo con malinconia all’onnipotente Internet, capace di diffondere consapevolezza e di rafforzare un impegno civile internazionale al di là di qualsiasi frontiera. Invece sono costretti a sopravvivere in prima linea indigeni che esigono di non subire decreti dichiarati incostituzionali dall’Ombusdman peruviano. Indigeni i cui cadaveri verranno gettati sul fiume dalla polizia (di un governo eletto democraticamente), allo stesso modo in cui i lavoratori delle multinazionali del petrolio si sbarazzano dei residui tossici. E poi ci siamo noi. Che possiamo non solo scegliere di sapere, ma anche esigere che la politica discuta i temi ambientali in rapporto ai diritti umani. Adesso che le risorse naturali scarseggiano. Adesso che il cambio climatico più non perdona. Adesso che il significato di ” democrazia ” sta illaguindendo.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).