Livia, pungente fidanzata del commissario Salvo Montalbano, insiste con il compagno per lasciare per un giorno la letteraria Vicata e visitare il barocco della provincia di Ragusa. Montalbano, dall’indole più pronta al rifiuto che a chinare la testa, con un sorriso a metà obietta a modo suo:
«Non vorrei che mentre ci siamo noi girassero lì qualche episodio della serie tv…»
al che Livia, sempre in vena di “azzuffatine”, obietta:
«E che te ne frega, scusa?»
Risponde Montalbano:
«E se putacaso mi vengo a trovare faccia a faccia con l’attore che fa me stesso… come si chiama… Zingarelli»
«Si chiama Zingaretti – lo corregge Livia – non fare finta di sbagliare […] e poi nemmeno vi somigliate […] lui è assai più giovane di te»
«E che minchia significa? – si prende la rivincita Montalbano – Se è per questo lui è totalmente calvo, mentre io ho capelli da vendere»
Un amalgama di fantasia e realtà tratta dalle pagine de La danza del gabbiano; un gioco di scrittura beffardo – come quel mezzo sorriso del commissario – che solo la grande penna di Andrea Camilleri poteva tracciare con poche battute.
Montalbano è l’esito di una luminosa fantasia, non esiste. O forse esiste nei gesti, negli sguardi, nelle parole della terra in cui è ambientato; un mondo reale per quanto irreale.
Ragusa, Modica, Scicli, Puntasecca, sono il set e l’ispirazione per le avventure del più celebre dei commissari siciliani. Comuni e frazioni che nelle pagine di Camilleri diventano Vicata.
Immagini da “Vicata” – “L’isola nell’isola”, la provincia di Ragusa, è una ricchezza tra le più taciturne del Bel Paese; una perla poco pubblicizzata sebbene suggestiva, antica, orgogliosa. A renderla tale è l’estraneità al tempo e al resto della Sicilia, come se con indifferenza guardasse l’incedere degli anni trasformare chi le sta intorno senza lasciarsi sfiorare.
Così, mentre il tempo scorre, chi ha la fortuna di “scorrere” nelle barocche e labirintiche viuzze ragusane, attraversa una straorinaria galleria di scorci. Coloro che passano per quelle stradine non solo le vivono, ma le sentono vivere e si sentono vivere.
Al mattino, d’estate, tra vicoli popolari scanditi da portoni aristocratici, si avverte nell’aria come per terra un colore sabbioso. Il vociare delle cicale è continuo, quello delle persone meno. Poi nell’afa dei mezzogiorni si aprono piazze dove l’età della gente è democratica: arzilli gli anziani, vecchi sì ma giovani dentro; più in là, tenebrosi, i giovani veri, intenti a vivere l’amore viscerale per una terra da cui vogliono fuggire. La notte i grilli scansano le cicale e cantano più forte. E la gente invade ogni angolo, catapultata fuori dalle stesse finestre che al mattino parevano anfratti vuoti. Adesso il vociare è ritmato, come la musica degli artisti di strada che ad ottobre giungono qui da tutto il mondo per sfidarsi tra le fioriere.
Sono le sere in cui Ragusa Ibla, antico e nobiliare quartiere del capoluogo, viene illuminata da lampioni rossastri. A vederla dalle colline che la sovrastano sembra di stare più in su del cielo e guardare una costellazione dall’alto. È la culla di un barocco tardo, figlio del terremoto che nel 1693 costrinse i ragusani a ricostruire ogni cosa dal nulla. Solo il culto di San Giorgio sopravvisse a quello sterminio di case e persone; una fede popolare tra le più vivaci, con la statua del Santo che balla per le vie, animata dai fedeli, nel giorno della sua festa.
Sono le sere di “ed è subito sera” e di Quasimodo, che mosse la sua poesia da una contea decaduta: Modica. Elegante e riservata, la città è unica custode al mondo di un segreto antico di millenni. È la patria gelosa della ricetta che trasforma il cioccolato in arte, una tecnica giunta dal Sudamerica azteco a bordo di navi spagnole. Sapori ed odori irripetibili che attirano turisti del gusto e che hanno lanciato questa cittadina nella realtà internazionale della cioccolateria.
Da Quasimodo a Vittorini – senza dimenticare Gesualdo Bufalino e la sua Comiso – che in Le città del mondo così parlò di Scicli: <<Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle…>>. Un elogio quasi imbarazzante per un paese che pare un presepe disseminato di chiese, stretto tra la fiumara e il mare, tra il colle e la valle.
Puntasecca, invece, non ha ricevuto molte parole. E forse è giusto così per un porticciolo di pescatori silenziosi e fortunati. Fortunati perché godono di un mare che al tramonto è stato fotografato da ogni scoglio e da ogni artista dello scatto. Mare che la televisione ha reso ancor più popolare celebrandolo con le testarde nuotate del Montalbano della Rai.
Un’altra Sicilia – Ragusa è barocca nell’architettura e nell’anima.”Barocco” deriva dal nome di una perla irregolare, e tale è questa provincia tra le altre bellezze siciliane.
E’ dissonante. L’intera Sicilia sbeffeggia con ironia i ragusani per la più “sacra” delle parole siciliane, “minchia”, che a Ragusa viene pronunciata “mincia”; mostrando la tendenza locale a plasmare perfino il dialetto siciliano ed i suoi numerosi “ch” in qualcosa che agli altri può apparire bizzarro. Ma per i ragusani quel dialetto è come un’eredità aristocratica, e senza patemi ne inseriscono il lessico e i suoni nel parlato in italiano.
E’ isolata. Sebbene Ragusa sia detta “la città dei ponti” per tre alte costruzioni che la rammendano quasi fosse una stoffa lacerata, tutta la zona ragusana patisce la particolare orografia ed una gravissima e storica carenza infrastrutturale che di fatto la separano dalle città che più le sono vicine. Una ferrovia morta; un’autostrada, progettata negli anni ’60, implorata ma mai realizzata; un aeroporto che è stato inaugurato nel 2007 pur senza aver visto ancora un aereo; fanno sì che ad oggi ci si affidi ancora a qualche fatiscente strada provinciale per poter toccare “l’altra Sicilia”. La casta politica non sembra conoscere tali arretratezze, forse perché nelle rare occasioni in cui un suo esponente visita questa provincia, sceglie sempre di farlo in elicottero.
E’ fortunata. Perché l’isolamento l’ha protetta dalle lunghe spire della mafia e dei suoi racket, finendo per essere un isolazionismo. Ciò ha conferito a questo territorio una storia diversa rispetto a quella delle province limitrofe; un vantaggio che gli ha consentito di essere la zona più economicamente avanzata della Sicilia, a riprova di quanto il fenomeno mafioso possa essere un cappio asfissiante.
Tra risorse, timori e speranze – Oggi “l’isola nell’isola” è un vanto; o forse semplicemente si vanta, dato che pochi conoscono i pregi e i successi di questa gente tanto fiera di sé. Ragusa è la città più ricca e finanziariamente sviluppata del Mezzogiorno, merito di una tradizionale e latifondista mentalità del lavoro e del risparmio, di una nuova ottica dell’investimento imprenditoriale e del turismo.
Storicamente il settore trainante è stato quello agricolo-caseario, accompagnato da un’industria che si sviluppò in maniera incredibilmente precoce. Fin dalla metà dell’800, infatti, industriali francesi ed inglesi installarono impianti per l’estrazione del petrolio e dei bitumi di cui è ricco il sottosuolo ibleo, importando una mentalità d’impresa che all’epoca veniva ancora ignorata nel resto della penisola. Oggi l’industria è un settore forte, garantendo un tasso di crescita economico superiore al dato nazionale ed a quello regionale.
Ad attendere Ragusa c’è adesso la sfida del turismo, partita non semplice per una zona che ha fatto dell’isolamento la ragione dei propri successi. Ma quegli scorci, quelle vie di cui ogni ragusano è geloso custode, “come fossero figlie femmine”, meritano di essere ammirati e conosciuti. Attualmente il tasso di crescita del turismo e della permanenza dei visitatori è il più alto della regione, un dato non da poco vista la difficoltà a penetrare in questa valle del barocco. Oltre ai riconoscimenti ricevuti dall’Unesco, gran parte del merito di questo successo va proprio a Camilleri ed alle fiction della Rai, capaci di aprire un varco attraverso cui il grande pubblico ha potuto intravedere quella che gli antichi chiamavano “Val di Noto”. Ai colli della valle si aggiunge inoltre il mare, con ben due delle quattro spiagge più belle di Sicilia presenti in provincia: Pozzallo, una vera e propria porta verso Malta ed il Mediterraneo; Marina di Ragusa con le sue spiagge tra le palme e l’innovativo porto turistico.
Nell’epoca della globalizzazione si affaccia così Ragusa, una terra siciliana che è estranea perfino alla Sicilia stessa. Lo spirito è speranzoso, per la possibilità di aprire il suo prezioso scrigno agli occhi curiosi del mondo; è timoroso, perché la fine dell’isolamento potrebbe macchiarne l’unicità, rubarne l’anima.
Fabio Manenti, siciliano di Ragusa. Dottore in Lettere e studente di giornalismo e cultura editoriale presso l'Università di Parma.