È una ruota che gira. Finisce l’anno e si butta uno sguardo indietro, si tirano le somme della propria esistenza, magari si esprime anche qualche buon proposito che irrimediabilmente verrà evaso a breve. Ma soprattutto si estinguono i conti, si chiudono i bilanci. E proprio una storia di conti è questa. Conti truci, terribili, che nessuno vorrebbe vedere. E che forse molti non vedono davvero. Si tratta di morti. Delle morti peggiori. Di chi viene punito due volte: prima dallo Stato e poi dalle istituzioni che di tale punizione si fanno garanti. O almeno dovrebbero.
Il carcere è una cosa terribile. La vita al contrario, tre pareti e una fila di sbarre: la quarta parete metallica di un poco invidiabile palco. Angolo da cui sbirciare una delle più squallide fette di mondo. Dentro si finisce per tanti motivi, alcuni giusti, altri meno. Ma non è nei meriti del sistema penale che si vuol qui entrare. Si intende invece dare una parziale visione di ciò che dentro quell’universo succede. All’interno delle prigioni, luogo di espiazione supposta che finisce troppo spesso per creare mostri, piuttosto che redimere uomini. È in questo quadro che i bilanci possono tornare utili.
Il 2010 si è chiuso in modo tragico: 173 morti in carcere, di cui 66 suicidi. In quanto a vittime gli anni di piombo furono più gentili. L’associazione Ristretti Orizzonti fornisce il totale dell’ultimo decennio: 1736 decessi, più di un terzo dei quali suicidi. Tra le ultime vittime della prigione si registra Fernando Paniccia, disabile psichico morto nel penitenziario di Sanremo a fine dicembre. Arresto cardiaco, recita la cartella clinica. Al momento del decesso Paniccia pesava 186 kg e, riferisce Ristretti Orizzonti, “ragionava come un bambino di 3 anni”. A intorbidire ulteriormente tale ecatombe si aggiungono poi i tanti interrogativi sulle morti sospette: Stefano Cucchi; Simone La Penna; Marcello Lonzi e molti altri.
Il carcere è – dovrebbe essere – prima di tutto una struttura di rieducazione. Solo una minima percentuale di chi varca quella soglia entra per restare. Gli altri sono di passaggio, più o meno duraturo, ma sempre di passaggio si tratta. Quando usciranno dovranno essere in grado di rifarsi una vita, o la società avrà fallito. Ma forse si sta guardando troppo avanti, perché prima di tutto uscire si deve.
Alcune storie non conoscono pause e festività. Così anche il nuovo anno, puntuale, inizia la sua conta dei morti dietro le sbarre. UNO. A far da apripista è il carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, con Salvatore Morelli, 35 anni, stroncato da un infarto con le prime luci del 2011 ancora negli occhi. DUE. Il secondo posto di questo drammatico podio va a S.H., marocchino “ospite” della casa circondariale di Siracusa, ha la stessa età del Morelli. È il 3 gennaio. Si parla di un malore, ma le dinamiche non sono ancora note e gli accertamenti medico-legali in corso. Unica cosa sicura è che questa morte non figurerà in nessuna lista delle vittime del carcere. Il decesso dell’uomo viene infatti registrato, dopo una folle corsa in ambulanza, tra le mura del policlinico Umberto I. In base alle regole del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria una volta che il decesso viene constatato fuori dalle mura di cinta non si è più “morti in prigione”. A volte la libertà costa cara.
TRE. Siamo all’ospedale psichiatrico giudiziario ad Aversa. Suicidio. Uno su tre, la statistica si conferma. Massimo B., classe ’79, è uno dei 300 internati sofferenti di disturbi psichici che qui, a maggior ragione, dovrebbe trovare un adeguato supporto sanitario. L’hanno trovato impiccato nella sua cella il pomeriggio del 3 gennaio, lo stesso giorno in cui, 500 km più a sud, moriva S.H. A dare la notizia è l’Osservatorio dell’Associazione Antigone Campania. QUATTRO. A chiudere la fila è Yuri Attinà, nel penitenziario livornese di Sughere. Un carcere già tristemente noto per la morte di Marcello Lonzi, lì deceduto nel 2003. Ai tempi la perizia ufficiale parlò di infarto. I due buchi in testa e le otto costole rotte di cui il corpo dava mostra non furono ritenuti rilevanti ai fini della constatazione del decesso. Anche per Attinà si parla di arresto cardiaco, ma gli stessi inquirenti stanno indagando con “estremo riserbo” sulla dinamica dei fatti.
Quattro morti in una settimana. Dentro carceri sovraffollate, carenti di personale e dove le condizioni igienico-sanitarie sono spesso critiche. Caratteristiche a dir poco inadeguate per l’istituzione penitenziaria di quello che vorrebbe presentarsi come un paese del primo mondo. L’Unione delle Camere Penali non esita a parlare di “strage” e a definire le carceri come “discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell’umanità”. Ma lo stato di diritto, se già non è un’utopia, non dovrebbe realizzarsi in ogni ambito sociale? Non è questione di misericordia ma di civiltà. Ma la realtà dei fatti, si sa, è ben diversa. La situazione stagna e la politica ha ben altre priorità. I detenuti sono un argomento scomodo sia a destra che a sinistra e i voti si recuperano da ben altre parti. Con ben altri argomenti.
Così si va avanti, il conto si ingrossa. Il 2011 avrà ancora molto da offrire, non ci si illuda del contrario. “Voglio soltanto che sia prigione”, cantava De Andrè. Chissà se mai avrebbe immaginato il potere profetico delle sue parole.
Eliano Ricci, classe '85, è laureato in Scienze della Comunicazione presso l'Università di Bologna, lavoratore mediamente precario e musicista. Si interessa di politica, cultura alternativa e pubblicità.