"Sgarbi (ma chi è?) ha proibito l'ingresso a chi ha meno di 16 anni. Una rappresentazione concepita per colpire violentemente con i suoi orrori i sensi dei visitatori". Falsifica la realtà invitando le persone a guardarla come si guarda l'Uomo Elefante. Ma sull'humus nel quale prospera, silenzio
Museo della mafia, mostro da baraccone: trascura i legami tra uomini del disonore, politica, Stato e massoneria
17-05-2010
di
Pietro Ancona
Un museo della mafia a Salemi, nel cuore di una delle mafie più “blasonate” e antiche della Sicilia, quella di Trapani, tra le meglio attorcigliate a massoneria e grandi potentati, può essere una buona idea che io, comunque, non condivido. Per quanto ho potuto capire da ciò che ho letto sui giornali e dalla proibizione che il sindaco Vittorio Sgarbi ha fatto ai minori di sedici anni, trattasi di una struttura progettata per colpire violentemente i sensi dei visitatori con una rappresentazione degli orrori dei cervelli che penzolano fuori dalla testa. Sono quelli di persone crivellate dalla lupara. Ma c’è anche la ricostruzione della vasca dell’acido in cui venivano sciolte le carni delle vittime, strangolate da qualcuno mentre altri si masturbavano godendo dell’agonia dei mortituri (Brancaccio).
Questa rappresentazione della mafia, per quanto vera, ne falsifica profondamente la realtà e il significato. Ne fa un fenomeno, un mostro da baraccone, e si invitano le persone a vederla come se si trattasse dell’Uomo Elefante. Ne fa anche un fenomeno antropologico del quale si mostrano i reperti come purtroppo ancora usano certi musei italiani, con i corpi o il cranio di famosi criminali esaminati da Lombroso o uccisi dalle nostre truppe coloniali.
Piuttosto che un museo della mafia, sarebbe stato preferibile un memorial delle vittime con la ricostruzione della vita e della morte dei tantissimi martiri ed eroi della guerra senza quartiere che sindacalisti, come Salvatore Carnevale o Placido Rizzotto, magistrati, come Rocco Chinnici o Giovanni Falcone, poliziotti, come Emanuele Piazza e Antonino Agostino o Carlo Alberto Della Chiesa, o politici, come Pio La Torre, hanno combattuto perdendoci la vita. Trovandoci nel trapanese, ricorderei anche Rita Atria e il suo difficile sofferto cammino di emancipazione pagato con la vita.
In ogni caso, nel museo della mafia di Salemi, mancano i capitoli della politica e dello Stato. Proprio quello di cui parla il recente libro di Massimo Ciancimino e di Francesco La Licata, “Don Vito”, quando descrive il mostruoso connubio tra mafia e Stato, mafia e borghesia e la natura criminale del potere italiano.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.