Vendo o non vendo? - Foto di Emi
Via Porta di San Marco, a Pistoia, è un senso unico al centro di un quartiere di tradizione operaia. Percorrendola, non si può non incrociare la perpendicolare il cui accesso è vietato da un cartello sul quale compare un adesivo di Casapound, unico segno che una trentina di metri più avanti c’è la sede pistoiese del centro sociale di destra.
La saracinesca del locale, all’altezza del civico 161, è abbassata poche ore dopo la strage commessa da un simpatizzante, Gianluca Casseri. Intorno alle 19 arriva una pattuglia dei carabinieri e l’auto con i colori d’istituto viene parcheggiata proprio lì davanti. I militari, giubbotto antiproiettile e M12, la mitraglietta d’ordinanza, sono lì a controllare che non si ripetano le contestazioni di Firenze. Ordine che eseguono, anche se a mezza voce dicono che, secondo loro, “stasera non si faranno vedere”.
Parlano dei militanti e il pezzo di Pistoia che passa davanti a quel locale osserva, rallenta il passo e prosegue poi più spedita. Il quartiere convive tollerando quella presenza dalla seconda metà del 2009, quando Casapound ha aperto qui tra le contestazioni. Nella città che per prima ha accolto 5 mila cittadini albanesi ai tempi degli sbarchi e che ancora oggi si vanta di avere la percentuale più bassa d’Italia di persone che provengono da oltre Adriatico nel carcere di via dei Macelli, non ci si aspettava che qui bazzicasse un omicida italiano che ha aperto il fuoco sui venditori senegalesi a Firenze.
Gli scontri etnici, a Pistoia, si contano sulla punta delle dita. Gli albanesi si sono integrati bene tra edilizia e agricoltura. Così bene che oggi, al mercato, i banchi di frutta e verdura sono quasi tutti loro, con l’eccezione di un paio di autoctoni. Qualche problema in più ci fu anni fa con un contingente di 300 cinesi, “deportati” (il verbo è quello che usano i pistoiesi) negli stabilimenti della ex Permaflex, “Ma in quel caso”, dicono, “vivevano in condizioni disperate ed è normale che qualche malumore possa crearsi”. Poi, chiusi definitivamente gli stabilimenti, qualcuno è rimasto, ma la maggior parte se n’è andata a Prato, dove la comunità cinese è numerosa.
Anche quando viene raccontata di quella volta che la sede di Casapound Pistoia fu attaccata e devastata, nell’ottobre del 2009, si parla sempre di “gente venuta da fuori, da Firenze, da Livorno, non erano persone che stanno qui”. Mentre la saracinesca continua a rimanere abbassata, chi abita a pochi passi si ricorda delle vetrine rotte e degli arredi sfasciati, oltre che dei processi che ne sono seguiti. “Ma poi nessun problema. Ogni tanto i ragazzi dell’ex circolo I Maggio gli manifestano contro, difficile però che si arrivi allo scontro”.
L’ex circolo, oggi la Libera Officina I Maggio che si trova nella vicinissima via Argonauti, è altrettanto chiuso. Sulla porta di vetro e ferro battuto ci sono manifesti di Soccorso Rosso e volantini “stampati in proprio” che annunciano qualche evento in programma. Il quasi faccia a faccia tra Casapound e un circolo di sinistra, vicini di casa, non produce scontri “caldi”. Capita semmai che i neofascisti organizzino una manifestazione e gli altri “rispondano” con un concerto nella piazzetta accanto. Ma niente di più.
Alessandro ha un laboratorio di restauro proprio al civico accanto. “Sì, li conosco. Sono una decina quelli che frequentano Casapound e, dopo il 2009 quando hanno sfasciato l’auto a un mio amico, non ci sono stati più motivi di tensione. Ma la gente che abita qui intorno non è contenta di averceli”. In effetti difficile incontrare qualcuno che li abbia del tutto a ben volere.
Quei militanti, poche unità gli assidui mentre con i simpatizzanti, tra cui c’era anche Gianluca Casseri, si arriva alla quarantina, hanno un’età che va dai 25 ai 50 anni. Il titolare di un esercizio commerciale sembra tra quelli meno ostili ai neofascisti. “Conoscevo bene il fondatore, ma oggi è a Tallin, in Estonia, se n’è andato dopo che ha discusso con gli altri e ha preferito abbandonare. Chi è rimasto passa di qui spesso, ma si fanno quattro chiacchiere banali, non si entra nel merito”. Conosceva Casseri? Lì per lì dice di no, ma poi gli telefona la moglie e aggiunge: “Me l’ha detto lei, ho capito chi era. Uno che non direste mai che avrebbe fatto quello che ha fatto. Entrava, due parole e poi se ne andava a leggere il giornale. Uno normale, fin troppo”.
L’esercente è l’unico che ha un ricordo dello sparatore di Firenze. Per altri il nome non è nuovo, ma quella faccia non riescono a metterla a fuoco. Da un coiffeur escono quattro lavoratrici. “Ma cosa dite?” chiedono se si pone loro la domanda. “A noi simpatici non sono mai stati, preferiremmo che stessero altrove, ma dobbiamo dire che fastidio in questi due anni non ne hanno più dato dopo l’apertura. Ma li vedete i carabinieri, lì? Non ci sarà mica da aver paura adesso?” E se ne vanno.
Trascorsa l’ora di cena, in via Porta San Marco, si incontra qualcuno che scende con i sacchetti della raccolta differenziata. Deve essere la serata in cui passano a prendere plastica, polistirolo e vetro. Un anziano indica alcune finestre sopra il circolo. “Lì ci abita un mio amico e non smette mai di temere che accadano un’altra volta i fatti di due anni fa. Non è più successo, ma proprio tranquilli non lo siamo mai”.
Non lo è neanche una giovane una coppia che nel quartiere ci abita da poco. “Però non danno noia”, dice la ragazza, “anche la sera d’estate, quando la sera chiacchierano per strada, usano toni di voce normali. Non ci sono schiamazzi”. Aggiunge un altro residente: “Si fanno i fatti loro, arrivano soprattutto la domenica e ogni tanto la sera, fanno le loro riunioni e spesso allargano ad altri per presentare libri e tenere conferenze. No, facce del quartiere lì dentro non le ho mai viste”.
A un certo punto arrivano 3 cittadini stranieri, musulmani del Maghreb dall’abbigliamento e dell’aspetto. Fanno per infilare la chiave nella toppa del portoncino, ma prima si fermano a dire: “Non li conosciamo, viviamo tra casa, lavoro e moschea. Fastidi? No, mai, né loro né da altri”.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)