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Che partiti e giornali prendono purtroppo sul serio. Mentre in Spagna le proteste si intensificano e sviluppano progetti, in Italia il sostegno è minore. Eppure le manifestazioni proseguono, spinte soprattutto dalla determinazione dei precari. Di quali partiti ci possiamo fidare?

Fabio MANENTI – Noi ragazzi indignati e la sagra dei tromboni in camicia verde

20-06-2011

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Un terremoto in Spagna, con uno sciame sismico che è arrivato fin qui. Gli indignados si sono fatti sentire e continuano a farlo, battendo i piedi per terra fino a far tremare le fondamenta dei vecchi palazzi del potere, che iniziano a temere il crollo, che capiscono che il loro tempo è ben che andato. Ad oggi in Spagna la protesta è tutt’altro che sopita. Ma nemmeno gli indignati italiani, sebbene meno numerosi e coesi, vogliono saperne di stare in silenzio.

Spagna – Un ritmo incessante e veloce, come gli zoccoli di un toro nell’arena, come nacchere. Con questo ritmo la protesta dei “cugini latini” va avanti, senza sosta. Ovunque disobbedienza civile, ovunque le strade sono le arterie pulsanti di un Paese che chiede a gran voce cambiamento. Domenica 19 giugno è stata un’altra giornata importante per la protesta: in moltissime città spagnole “Juventud SIN Futuro” ha indetto, tramite il web, una marcia che dai quartieri popolari si è diretta verso i palazzi del potere; nella sola Madrid erano in centomila. Di fronte ai luoghi della politica, si è cantato e gridato contro i tagli ai posti di lavoro e contro la precarietà, contro la riforma sulle pensioni e contro ogni forma di austerity. Ad ascoltare i canti anche le orecchie del web, che in streaming e su twitter raccontava in diretta le manifestazioni delle varie città. Ciò che i giovani spagnoli continuano a ripetere, è che non vogliono pagare una crisi che non sentono loro, ma che considerano figlia di una classe politica degenerata e chiusa in se stessa.

L’obiettivo vero, è dimostrare che il movimento si è sviluppato ed è cresciuto rispetto ai suoi esordi. Sarebbe errato, infatti, considerare questa domenica come un avvenimento, perché l’avvenimento ha avuto inizio quattro settimane fa e da allora non si è più fermato, da quel 15 maggio in cui i cortei non vollero saperne di sciogliersi e tornare a casa. E la loro casa è diventata la piazza, in cui sono sorti accampamenti che resistono fino ad oggi.

Eppure adesso la stanchezza, com’è naturale che sia, inizia a farsi sentire; nelle tende i volti dei ragazzi sono provati. Non è stato facile per questi giovani attivisti riuscire a gestire una situazione inaspettata anche per loro, non è stato semplice partecipare ad un corteo in maggio e trovarsi ancora in strada a distanza di un mese. La stagione degli accampamenti, sebbene entusiasmante e carica ancora adesso di spinte propositive, sembra si stia inevitabilmente esaurendo. L’intelligenza degli indignados ha fatto cogliere loro i primi sintomi di questo inesorabile declino e c’è quindi l’intenzione di togliere le tende, letteralmente.

Intelligenza perché non si può definire in altra maniera la capacità di capire che è meglio lasciare gli accampamenti adesso, in una posizione di forza, anziché ostinarsi a tenerli in vita trasformandoli in qualcosa che può diventare controproducente. Tende ed occupazioni di piazze non sono mai stati fine a se stessi: erano le basi operative e i centri di riferimento, ma soprattutto erano simboli per continuare a stimolare e dare risonanza ai canti dei cortei. La sfida che attende adesso gli indignados di Spagna è di saper gestire questo difficile momento di passaggio senza perdere lo slancio e l’entusiasmo che le notti in tenda regalavano.

Il passo successivo sarà quello di elaborare una lista di rivendicazioni che sappia combinare la critica al modello economico e politico attuale, cioè la fase iniziale della protesta, con una serie di proposte concrete. Occorre cercare vie sempre migliori di coordinamento che evitino la dispersione di energie e obiettivi e scegliere un epicentro, un punto forte da cui muovere l’indignazione. Attualmente sembra sarà l’accampamento di Barcellona, consistente e politicamente coeso, il riferimento per le rivendicazioni del futuro.

Proprio la necessità di mantenere basi concrete sul territorio ed evitare che la protesta torni alla sua primitiva fase, basata cioè esclusivamente sul web, porterà molti accampamenti a mantenere un nucleo simbolico ed informativo. Quasi tutti lasceranno uno stand nelle piazze da cui partiranno iniziative di propaganda ed assemblee regolari.

I ragazzi non vogliono quindi rinunciare all’aspetto territoriale della protesta, alla vicinanza con la strada e con la gente. Si vuol essere a fianco soprattutto della classe lavoratrice, per mantenere la pressione sui grandi sindacati, colpevoli anch’essi della crisi. C’è la volontà di portare l’indignazione nei centri del lavoro, ambienti dove l’operaio rischia il posto ed è più restio alla mobilitazione.

Nel mirino dei rivoltosi spagnoli c’è infine una data che è bene segnare fin da adesso sul calendario: 15 ottobre. È quello il giorno prescelto in cui la mobilitazione, che dovrà nel frattempo diventare totalmente unificata, assumerà i toni di un’azione globale nell’ottica di un’internazionalizzazione del movimento.

Italia – Se l’epicentro della protesta trema ai piedi dei Pirenei, in Italia i giovani non vogliono stare a guardare, ad aspettare che sia l’ottobre spagnolo ad internazionalizzare la protesta e renderli partecipi. Un po’ per orgoglio, un po’ perché i politici nostrani si prestano a spunti continui. Se già il referendum aveva offerto ai giovani la possibilità di spalleggiarsi e far sentire la propria voce, le dichiarazioni di Brunetta sui precari, indicati come la parte peggiore del Paese, non potevano che far drizzare nuovamente le orecchie dei ragazzi e mantenere alta la soglia dell’attenzione.

Gli indignati italiani sono proprio i precari, che per vicinanza con i “colleghi” spagnoli, ma anche con quelli portoghesi e greci, hanno scelto anch’essi la data del 19 giugno per protestare in Piazza Montecitorio. Lo slogan recita “Precari uniti contro i tagli” ed è proprio il ritiro dei tagli iniziati con la legge 133 del 2008 e il rispetto della normativa europea per l’immissione in ruolo di tutti i precari ciò per cui manifestano. La protesta è stata ancora una volta organizzata tramite web, tant’è che su internet è facile trovare perfino i numeri di telefono degli organizzatori. Tra questi anche quello di Monja, insegnante di liceo classico, tra qualche giorno impegnata con gli esami di maturità, che ha deciso di iniziare uno sciopero della fame per ottenere attenzione sul suo contratto in scadenza il 30 giugno.

L’obiettivo degli indignati italiani è semplicemente quello di non fermarsi. Non c’è ancora un fronte compatto e numeroso come quello spagnolo e non si può puntare quindi all’organizzazione di grandi eventi o a progetti a lunghissima scadenza. Non c’è neppure la forza per formulare proposte nuove, quello che oggi si chiede è semplicemente l’applicazione di normative già esistenti o l’abrogazione di altre.

Nonostante questi limiti, gli indignati non vogliono appoggi dalla classe politica; nessun sostegno da una casta che è considerata egoista ed arretrata, che si muoverebbe solo per interessi parassitari. La protesta muove dal popolo e soprattutto da una generazione nuova che chiede democrazia vera, nel senso di una concreta partecipazione e di attenzione ai bisogni reali della società. I vantaggi dati da eventuali alleanze con partiti o dalla creazione di gruppi politici sarebbero pari a zero perché si andrebbe contro l’ideale stesso dell’indignazione: la volontà di cambiamento.

La mobilitazione deve andare avanti e per farlo deve basarsi soltanto sulle proprie forze, in una crescita autogenerativa sempre più coinvolgente. Il primo passo è seguire l’esempio spagnolo: trasformare le innumerevoli voci del web in azioni concrete di grossa entità, perché nessuna contestazione può limitarsi agli slogan. A poco servono i manifesti sgangherati comparsi sul web, ciò che è necessario è vincere la pigrizia, l’atrofia, e staccarsi dalla tastiera per invadere le strade. E per invadere bisogna essere in tanti.

Fabio ManentiFabio Manenti, siciliano di Ragusa. Dottore in Lettere e studente di giornalismo e cultura editoriale presso l'Università di Parma.
 

Commenti

  1. Enrico Meroni

    C’è da tremare a leggere questi propositi, come si trema a sentire le minacce penultime di Bossi.
    Attaccare a testa bassa i partiti in quanto tali (la “giornalistica” casta) è un facile morbo ormai esteso al mondo intero (novella patria?). Pensierini da cattedratici digitali.
    Attribuire indistintamente a tutta la politica la colpa della crisi è altrettanto ingenuo.
    D’altra parte è interessante questo risveglio delle generazioni rese precarie. Sarebbe assai utile che si dotassero di strumenti di interpretazione della realtà e di mutamento dello stato delle cose.
    Evidentemente non basta il tremolio delle mani…

  2. Mauro Matteucci

    I giovani, come hanno dimostrato le recenti amministrative e il referendum, sono ormai lontani anni luce dalla politica imbalsamata e autoreferenziale dei bossi, berlusconi, veltroni e dalemoni, ma vogliono una progettualità concreta riferita ai loro bisogni e che finalmente apra loro orizzonti di speranza e di senso per il futuro.

  3. Enrico Meroni

    Se c’è chi ritiene che B & B siano soltanto una variante qualsiasi della deprecata partitocrazia, potranno campare al governo fin oltre la loro morte.

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