Non per tamponare le deviazioni del fratello Raul, ma per salvarlo dal braccio di ferro con gli ortodossi del partito unico: non sopportano che il socialismo reale vada in soffitta per avvicinare Cuba al disegno di Obama
Perché Fidel è tornato sulla scena
13-09-2010
di
Leonardo Gonzales
La confessione di Castro non é casuale: impossibile esportare il modello cubano nel mondo ormai cambiato, e se lo dice chi lo ha inventato fa impressione. Anche perché Fidel ammette che anche a Cuba funziona male. Realismo concreto. Fotografa un’economia alle corde se è vero che il mercato nero raccoglie il 47 per cento di ogni operazione commerciale e le piccole cose di chi fa la spesa.. Come mai all’improvviso torna in scena e ricomincia a parlare in pubblico e con i giornali stranieri dopo quattro anni di silenzio? Per correggere la svolta di Raul impegnato in una ristrutturazione che già, ai primi annunci scatena malumori. Lo stato privatizza; taglia un milione e mezzo di posti lavoro. I conservatori del vecchio partito fanno barricate. Traballano ma resistono. E poi gli scioperi della fame che avviliscono gli amici di Cuba sparsi nel mondo e fanno felici chi da 50 anni aspetta la resa. Ecco che Fidel esce dal limbo della convalescenza per far capire: sono ancora qui, Raul sta sbagliando. E’ la tesi di chi predica uno scontro in famiglia. Ma la verità è un’altra. Castro è tornato fra la gente per aiutare Raul a rifare il paese. Boccone difficile da digerire nelle abitudini di una società assistita e con gli ortodossi che puntano i piedi. La sua prima apparizione è sincronizzata alla decisione del governo di affidare alla chiesa cattolica una mediazione impensabile fino a due anni fa. Cardinale Ortega che garantisce Spagna e Stati Uniti. E i teorici della rivoluzione che fine hanno fatto? Siamo sempre qui, risponde il lider maxismo. La ricomparsa in divisa verde olivo attira la curiosità e annacqua l’attenzione per i guai che raccontano i giornali di fuori perché dentro il silenzio non cambia. L’operazione depistaggio continua: chiama a raccolta pacifisti e gnomi dell’economia sul disastro della guerra nucleare che Israele ed Iran starebbero preparando. Per mantener viva l’ attenzione nei paesi non teneri ammette l’errore-orrore della persecuzione ai gay. E rimprovera Teheran: come si fa lapidare un’adultera?
La constatazione che il sistema non funziona resta la prima autocritica profonda al modello sacrale che si è tentato di esportare. Strappo doloroso e ancora una volta non casuale. Dimostra che la dottrina dei piccoli paesi non sopravvive se non nell’orbita di uno sponsor dalle spalle grosse. Mosca per l’Avana, Stati Uniti per Israele. Provano a contenere i mondi attorno per conto terzi il che garantisce la sopravvivenza senza problemi di bilanci e spese militari. Il paese assistito non traballa mai. Ma da vent’anni la Russia è lontana mentre gli Stati Uniti sono sempre l’ombrello di Israele. L’Avana non ce la fa, Israele non si preoccupa. Ma il messaggio trasversale di Castro è rivolto alla Washington di Obama. Con la calma dei piccoli passi proviamo a cambiare in attesa che l’ostracismo (errore di 50 anni fa) finalmente cada per permettere all’Avana di diventare una capitale come le altre. Fidel e Raul hanno già attraversato questa anticamera nel 1979, protocollo di aperture e disgelo già approvati: da firmare dopo la riconferma alla Casa Bianca del presidente Carter. Invece ha vinto Reagan. Adesso i fratelli Castro si preparano a navigare fino al novembre 2012, riconferma di Obama all’ultimo mandato, quindi libero di prendere decisioni che gli umori elettorali proibuiscono. E da Cuba mandano dire: stiamo cambiando.