Leggendo la recente impresa di Renato Brunetta mi è venuto in mente, forse per deformazione professionale, un celebre racconto di Baudelaire che narra il tragico destino e la messa a morte di un buffone di corte da parte del suo Principe. Lo voglio riportare qui, questo racconto, opportunamente sfrondato ma di pochissimo mutato nella sostanza, perché ciascuno possa riflettere sulla sorte che attende i buffoni di corte quando poco, poco si vogliano liberare dal giogo che li opprime. Per rispetto della privacy (anche i personaggi letterari hanno la loro) metterò al buffone un nome di fantasia, tanto più che questo nome calza a pennello con quello di un buffone. Ma ecco il racconto.
Brunettin era un ammirevole buffone, e quasi un amico del Principe. Ma per le persone che si dedicano per professione alla comicità le cose serie esercitano una fatale attrazione; e per quanto possa sembrare strano che le idee di patria e di libertà s’impossessino dispoticamente del cervello di un istrione, un giorno Brunettin entrò a far parte di una cospirazione formata da alcuni gentiluomini scontenti.
Per fortuna esiste dovunque della gente perbene che denuncia al potere questi individui di umore atrabiliare che vogliono deporre i principi e riformare la società senza neppure consultarla. I signori in questione, tra cui Brunettin, furono arrestati e destinati a morte sicura.
Sono pronto a credere che il Principe fosse piuttosto contrariato di trovare il suo attore preferito fra i ribelli. Quel principe non era né migliore né peggiore di altri: ma un eccesso di sensibilità lo rendeva in molti casi più crudele e tirannico di tutti i suoi simili.
I piaceri non lo saziavano mai. Piuttosto indifferente alla morale, egli conosceva un solo vero nemico: Noia, e i tentativi bizzarri che egli faceva per sfuggirla o per vincere questo tiranno del mondo gli avrebbero certamente attirato, da parte di uno storico severo, l’appellativo di «mostro», se nei suoi domini fosse stato permesso scrivere qualcosa che non avesse unicamente come scopo il suo piacere o la sua meraviglia che è una delle sue forme più raffinate del piacere.
All’improvviso si sparse la voce che il sovrano volesse graziare tutti i congiurati; all’origine di questa voce c’era stato l’annuncio di un grande spettacolo in cui Brunettin doveva impersonare uno dei suoi ruoli principali e più riusciti, e a questo spettacolo avrebbero dovuto assistere, si diceva, anche i gentiluomini condannati; segno evidente, aggiungevano i superficiali, che il Principe offeso era disposto alla clemenza.
Da parte di un uomo così naturalmente e volontariamente eccentrico ci si poteva aspettare qualunque cosa, anche la virtù, anche la clemenza, ma per coloro che, come me, erano riusciti a penetrare meglio nelle profondità di quest’anima curiosa e malata, era infinitamente più probabile che il Principe avesse voglia di valutare il talento teatrale di un condannato a morte.
Arrivato finalmente il gran giorno, Messer Brunettin entrò in scena con leggerezza e con perfetta disinvoltura, cosa che contribuì a rafforzare, nel nobile pubblico, un’idea di dolcezza e di perdono. Brunettin fu, quella sera, un’ idealizzazione così perfetta che era impossibile non crederla viva, possibile, reale. Questo buffone andava, veniva, rideva, piangeva, si contorceva, con un’indistruttibile aureola intorno alla testa, aureola nella quale si confondevano, i raggi dell’Arte e la gloria del Martirio.
Tutto quel pubblico subì ben presto l’onnipotente dominio dell’artista ma io che contemplavo il volto del Principe, vidi un pallore nuovo aggiungersi al pallore abituale, come la neve si aggiunge alla neve. Le sue labbra si serravano sempre di più, i suoi occhi si illuminavano di un fuoco interiore simile a quello della gelosia e del rancore mentre applaudiva con ostentazione il talento del suo vecchio amico, lo strano buffone che buffoneggiava così bene la morte.
A un certo punto, vidi sua Altezza chinarsi verso un paggetto che stava dietro di lui e dirgli qualcosa all’orecchio. La faccia birichina del bel ragazzino si illuminò di un sorriso; poi svelto si allontanò dal palco principesco come per compiere una commissione urgente.
Qualche minuto dopo un fischio acuto, prolungato, interruppe Brunettin in uno dei suoi momenti migliori, e ferì nello stesso tempo le orecchie e i cuori. Il povero buffone scosso, risvegliato dal suo sogno, chiuse dapprima gli occhi, poi li riaprì, quasi subito, smisuratamente spalancati, aprì la bocca come per respirare affannosamente, barcollò un po’ in avanti, un po’ indietro, e poi cadde morto stecchito sul palco.
Da allora in poi, parecchi mimi ed anche mime, giustamente apprezzati e apprezzate quali Bossin, Brambillin, Borghezin, Calderlin, Bondicin,Gelminin, Sgarbin, Lupettin, Scilpotin, Santanchin, Castellin, Giovnardin, Cicchettin, Maroncin, sono venuti a recitare davanti alla corte del Principe, ma nessuno di loro ha potuto far ricordare i meravigliosi talenti di Brunettin, né innalzarsi fino a ottenere un uguale favore”.
Qui termina il racconto che vuol rammentare allo stizzoso Renatino che, come i “libelli”, anche le amicizie “habent sua fata”. (Per la traduzione si rivolga al collega ministro, latinista Umberto Bossi).