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Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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La Lettera

Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Assieme alla madre voleva diventare più bella. La madre si è fermata, la ragazzina no

Quando la moda uccide. Anna non c’è più: prima la dieta, poi l’anoressia

18-10-2010

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Anna Wood era una ragazza inglese di 15 anni che, insieme alla mamma cinquantaduenne, decise di sottoporsi ad una dieta ipocalorica dopo le feste di Natale del 2008. Una decisione all’apparenza piuttosto normale e condivisibile, in realtà forse una decisione che già nascondeva il seme di un disagio capace di slatentizzare il disturbo del comportamento alimentare.

É iniziata così la battaglia di Anna contro l’anoressia nervosa, una battaglia che, prima di portarla a morte nel marzo 2010, ha determinato l’instaurarsi di uno stato di malnutrizione tale da trasformarla nell’ombra di se stessa.

Christine Gibson, la mamma di Anna, oggi racconta: “è successo tutto così rapidamente dal rendersi conto che soffriva di anoressia alla sua morte, che non abbiamo nemmeno avuto il tempo per imparare a trattare con lei per, poi, tentare di aiutarla”

La Gibson, divorziata dal padre di Anna, signor Paul Wood, continua: “mia figlia non è mai stata grassa, forse aveva qualche chiletto in più tipico dell’età che stava attraversando e che sarebbe scomparso naturalmente senza ricorrere a nessun tipo di restrizione alimentare”

Facendo mente locale la signora Christine si rende conto che, malgrado quella dieta post-natalizia presa alla leggera lei l’avesse abbandonata dopo sole 4-6 settimane, quanto invece abbia inciso sul comportamento di sua figlia che invece proprio da quel momento cominciò a restringere la quantità di alimenti introdotti cominciando a perdere peso in maniera considerevole, tanto che un insegnante del College (Wimbledon High School) che Anna frequentava, in febbraio, ossia dopo un due mesi dall’inizio del trattamento dimagrante, la convocò preoccupato per l’evidente debilitata condizione fisica della ragazza.

La mamma di Anna racconta che era sfuggita alla sua osservazione sia la debilitazione che il comportamento tenuto dalla figlia nei confronti del cibo, comportamento definito ingannevole e subdolo.

Ambedue i genitori non si sono resi conto di quanto fosse grave il disturbo di cui soffriva la figlia sino al momento nel quale hanno dovuto ricorrere al ricovero ospedaliero.

Nel maggio 2009, visto il chiaro peggioramento delle condizioni fisiche di Anna, la signora Christine decise di consultare il medico di famiglia che accettò di monitorare l’assetto fisico della ragazza che nel frattempo aveva iniziato anche una psicoterapia con uno psicologo. Purtroppo nessuno dei due terapeuti fu in grado di aiutarla a riavvicinarsi al cibo in maniera adeguata e nell’agosto si dovette ricorrere ad un ricovero in ospedale.

Il corpo di Anna, oltre alla spaventosa magrezza, mostrava tutti i segni della grave malnutrizione, persino la cute pareva essersi trasformata e aveva assunto un aspetto ruvido e rugoso.

Dopo 4 mesi la ragazza venne dimessa e, viste le difficoltà intercorrenti si decise di non riprendere gli studi sino all’anno accademico successivo.

Nel frattempo Anna iniziò un lavoretto part time a circa 3 miglia da casa.

L’11 febbraio del 2010 svenne mentre lavorava, ne seguì un immediato ricovero. I genitori poterono constatare che alla base del malessere accusato c’era un comportamento patologico della loro figlia: Anna aveva camminato a piedi per 6 miglia e non aveva consumato il pranzo. Nel corso del ricovero si evidenziò un’ulcera gastrica perforata che richiedeva un intervento chirurgico, ma, viste le sconfortanti condizioni fisiche della ragazza, la prognosi era quanto meno preoccupante. Il 26 marzo 2010 Anna morì.

I genitori, che hanno anche un altro figlio di 20 anni, dal profondo della loro disperazione vogliono cercare di parlare al maggior numero di persone possibili, al fine di metterle in guardia circa la pericolosità dei disturbi del comportamento alimentare prima che sia troppo tardi.

Il signor Wood insiste nell’affermare che sino al momento del ricovero fatale per Anna non si erano resi conti della reale gravità del male che affliggeva la figlia e che purtroppo, come genitori, non può non sottolineare quanto si siano sentiti isolati e abbandonati dalle strutture, in quanto, secondo lui, gli aiuti per questo genere di problematiche sono davvero insufficienti, ciò che prevale nella famiglia è il vissuto di impotenza.

Un’inchiesta sulla morte di Anna è prevista per il novembre prossimo venturo.

Liberamente tratto da:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-1315734/Anna-Wood-15-went-post-Christmas-diet-dies-anorexia-year.html

Luisa BarbieriLaureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati. Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico. Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).
 

Commenti

  1. giovanna arrico

    Ogni volta che leggo questi racconti, queste verità, questa realtà che ogni giorno viene nascosta da chi ne soffre e da chi conosce il problema rabbrividisco, mi fa ancora male sentire quanto poco ci vuole per entrare nella malnutrizione, nell’anoressia e quanto ancora ci vuole per uscirne ed essere aiutati. E’ la malattia più taciuta che io conosca, perché a distanza di anni, di secoli oserei dire se la memoria non mi inganna, ancora si può morire così, ancora si può far finta di nulla davanti al disagio dell’individuo, uomo o donna che sia. Il mio continuare a sperare che si trovi una via di uscita, il mio continuo aggrapparmi ad un’illusione quando sento che qualcuno ne soffre. Purtroppo le persone che si ammalano di anoressia, di bulimia sono sempre di più e sono sempre identificate dalla famiglia e dai Dottori sempre e solamente nel momento del non ritorno, quando comunque spesso non si possono trovare grandi soluzioni. Non sto giudicando il lavoro di nessuno, non sto stravolgendo il compito dei genitori o delle strutture né quello del malato, vorrei solo capire perché è sempre troppo tardi. Io credo che dietro al non arrivare in tempo ci sia sempre il non ascolto delle esigenze altrui, la paura di stare vicino a chi soffre è sempre molto elevata, l’avere sempre tante cose da fare e non trovare il tempo di ascoltare i messaggi che vengono lanciati da queste ragazze, non sempre adolescenti, da queste donne, a volte da questi uomini. Perché la malattia viene ancora rifiutata dalla società e anche dalle strutture mediche? Perché soprattutto nel secondo caso si parla sempre di strutture private, dove il giro di soldi che ne scaturisce è elevato e la soluzione al problema non arriva? Questo mi chiedo, perché non si dà la forza a chi inevitabilmente in quel momento non vuole ascoltare, non vuole guarire, e che sia una forza vera, motivata da una passione, da un lavoro e da una terapia adatta e non solo dal business che oramai anche questa malattia fa girare? A volte si prendono in esame centri “famosi”, grandi, importanti, per la cura. Forse a volte per non avere il compito o la responsabilità di aiutare in famiglia, in casa, con un giusto affetto e un eguale distacco il malato? Perché non fidarsi di una piccola Associazione, di un nominativo di un terapeuta il cui cognome forse non è così pubblicizzato e credere che se ne possa uscire, che si possa guarire con tanta forza dalla malattia? Collaborazione, ascolto, fiducia in chi sta chiedendo il tuo aiuto non è facile, ma non è neanche impossibile, basta volerlo e volerlo tutti. Il silenzio non aiuta se non ad aumentare questi casi, queste inutili morti. Giovanna

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