Minacce, insulti, persecuzione: sciocchezze. Ai giudici talebani della Cassazione non piacciono le donne che sopportano l’arroganza dei mariti. Troppo “forti”, quindi colpevoli, se non impazziscono per le intemperanze del capo famiglia
Quando la moglie resiste alle angherie del marito deve essere condannata
05-07-2010
di
Giancarla Codrignani
Ci sono donne che si sentono – o vengono considerate – “forti”: si stiano attente. Una storia per nulla edificante è alla base di una sentenza della Cassazione riferita, con inadeguata evidenza, dalla stampa. Una signora di nome Roberta, “scossa ed esasperata”, per le “continue ingiurie, minacce e percosse” – suffragate da certificati medici e testimonianza di conoscenti – aveva portato in tribunale il marito e il brav’uomo era stato condannato in primo e secondo appello a otto mesi di reclusione. La difesa di Sandro, che, tra l’altro, aveva parzialmente ammesso le maniere forti, consisteva nella dichiarazione che Roberta era una donna forte, che non si faceva intimorire. Tutti – i maschi in politica in primo luogo – dovrebbero sapere che anche lo stalking, cioè la persecuzione con mezzi non immediatamente diretti (approcci insistenti e non voluti, assedio al domicilio, minacce telefoniche. invasione di e-mail) oggi è reato. Un ragionamento equilibrato ne deduce che i tribunali dovrebbero avere un comportamento tanto più doveroso e coerente nell’applicare le misure già previste per la violenza privata e i maltrattamenti in famiglia.
Invece no: la Cassazione, il terzo grado – e definitivo – della nostra magistratura, ha ritenuto (sentenza 25138, VI sezione penale) che, nel caso in questione, i giudici di primo e secondo grado hanno «scambiato per sopraffazione… un clima di tensione fra coniugi» e, pertanto, è giusto accogliere, per assolverlo da ogni condanna, la tesi del marito che giudicava la moglie “di carattere forte”. Infatti «la condizione psicologica della signora, per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente» e poco manca che il giudice non ricorra all’antica categoria dell’isterismo. Per completare il quadro, aggiunge la Corte, «perché sussista il reato di
maltrattamenti occorre che sia accertata una condotta abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa». Donne e uomini (spero) siamo rimasti senza parole.
Dura a morire la razza dei talebani, se i giudici “supremi” non sono informati che quasi ogni giorno avvengono femminicidi di donne a cui non viene accordata tutela preventiva e che, se sono restie a denunciare, qualche ragione l’hanno. Consiste proprio nell’omertà e complicità della supremazia violenta del virilismo che infiltra perfino i luoghi della giustizia e vorrebbe “intimorire” le donne.
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature