Il web è in piena frenesia; tema: il referendum. E se il tamtam è in rete, significa che l’impulso che lo anima è essenzialmente giovanile. Sui social network è piena campagna elettorale, una campagna singolare e singola, dato che il candidato sembra sia soltanto uno, o meglio dire quattro. Sono i “4 Sì” che riempiono le immagini e le bacheche dei ragazzi su facebook. Una scelta politica che però puzza molto di moda, di conformismo. È difficile, infatti, poter credere che assolutamente nessuno abbia intenzione di votare per il No almeno in uno dei quattro quesiti; c’è come la sensazione che se si parli del referendum lo si faccia solo per di che “bisogna” votare per il sì, o altrimenti meglio star zitti. Gli esiti di una tale campagna, non in termini di risultati politici ma di crescita di una futura generazione responsabile, sono due ed ugualmente gravi: omologazione e disinformazione.
Le paure di Tocqueville di un assolutismo della maggioranza capace di schiacciare lo spirito di chiunque la pensi diversamente, sono oggi più concrete che mai. I social network ingigantiscono le idee, giuste o sbagliate che siano, e le trasformano in dettami, diffondendole con un ritmo ed una potenza disarmanti. Basta poco per creare un sentimento politico e per trasformarlo in movimento concreto; è il caso attualissimo della primavera araba e degli indignados spagnoli. È il caso, più in piccolo, anche del prossimo referendum, che almeno sul web appare già segnato da quei “4 Sì x dire No”, una formula che di per sé suscita l’idea di un governo che “vuole fregarci, ma noi lo fregheremo”. “4 Sì: è così che bisogna votare”, è un’altra frase ricorrente in rete, dove quel “bisogna” suscita un positivo richiamo alla necessità di partecipazione attiva, ma anche un’implicita e terrificante volontà di dire agli altri come è più giusto votare. E se qualcuno si sente in diritto di poter dire a qualcun altro che opinione assumere, è segno che questo qualcun altro non ne ha già una sua.
La causa non può che essere l’ignoranza in materia, la mancanza di informazioni sufficienti per poter liberamente compiere una scelta. “Il referendum sul nucleare”, è questo l’appellativo con cui viene indicata la prossima chiamata alle urne, un appellativo che di per sé porta il sospetto di una conoscenza parziale o quantomeno sommaria dell’argomento. Chiedere ai giovani toglie il sospetto e lo trasforma in certezza: «Il referendum è sul nucleare e sull’acqua pubblica – sostiene Valentina, studentessa in lingue – e occorre votare sì per dire no al nucleare e all’acqua privata». Da sola quest’affermazione racchiude tutta la sconcertante opinione che una grande maggioranza di giovani ha sul referendum. La domanda successiva, naturale, è come mai allora occorrerebbero quattro sì per due temi, ma qui al posto delle pronte risposte arrivano i farfugliamenti. Giuseppe, stagista, ha la risposta: «Sono due quesiti sull’acqua, uno sul nucleare e uno sulle leggi per Berlusconi». Certamente qualche conoscenza in più, ma non si può dire che il livello sia elevato. Se poi, parlando di acqua, si allarga il tema alle privatizzazioni in Italia, fatto salvo per pochi studenti di economia, ci si inabissa.
Il paradosso è che invece questa stessa moltitudine di ragazzi sia preparatissima sulle modalità del voto; su facebook da qualche giorno circola questo messaggio-leggenda: “Attenzione ragazzi! Al referendum del 12 giugno NON bisogna sovrapporre le schede! La carta sarà carta carbone e se si sovrappongono le schede mentre si segna la prima, rimarrà marcata anche la seconda e si invaliderà il referendum! Fate girare e diffondete il più possibile che manca poco e bisogna informare più gente possibile!! Ce la possiamo fare!!!” La chiusura, con quel “ce la possiamo fare” dà ancora il senso della lotta di Davide contro Golia.
Pochi, anzi pochissimi sanno motivare concretamente il perché di quei quattro sì che di per sé potrebbero essere la migliore delle scelte politiche ma che se privi di una coscienza critica perdono di significato. Parziale eccezione a questo blackout è Danilo, ma c’è poco da stupirsi giacché è studente d’ingegneria nucleare, e che almeno su uno dei quattro quesiti non può che avere un’opinione ben definita: «I moderni sistemi delle centrali di ultima generazione garantiscono sicurezza praticamente assoluta. Eppure io non sono favorevole al nucleare in Italia: c’è il problema delle scorie e poi so che da noi qualcuno ci mangerebbe sopra; ci sarà sempre un furbo che non farà per bene il suo dovere, e col nucleare non si scherza». La società dei magnaccioni colpisce ancora. Il massimo dell’informazione che si riesce a spremere dal connubio web-ragazzi si trova su qualche blog curato da giovani che masticano di politica, e che per motivare la scelta che faranno alle urne – e persuadere a seguirli -, spiegano nel dettaglio tutte le macchinazioni del governo per indirizzare il voto. Informazioni più di natura politica che funzionali ad una scelta.
Ciò che occorre evitare è che si scopra solo al seggio per cosa si sta votando, o peggio ancora solo dopo aver segnato le schede. La colpa di questa possibile – e probabile – situazione, come sempre accade, non è unilaterale: alla maggioranza dei giovani va l’accusa di non essersi documentata a dovere e, in una società informatizzata come la nostra, una tale pigrizia non è accettabile; al governo spetta la responsabilità di non aver educato a sufficienza, ma di questa macchia nessuno a Palazzo Chigi si è mai nascosto, dichiarando esplicitamente la volontà di non “influenzare” il voto; una non-influenza che, di fatto, tiene all’oscuro e condiziona.
La vera campagna, la vera sensibilizzazione per i giovani non dovrebbe scegliere per loro cosa votare, ma dovrebbe semplicemente spingerli ad una maggiore attenzione e partecipazione, in pratica semplicemente “al voto”. In tal senso sono più che lodevoli i movimenti di studenti universitari fuorisede che si sono battuti affinché anche chi non risiede nella propria regione d’origine abbia il diritto di poter manifestare il proprio pensiero.
Votare è un diritto e un dovere – e questo lo sanno anche i muri – ma per farlo occorre avere le idee abbastanza chiare da poter scegliere con criterio, per mettere quei due segni incrociati di matita che esprimono la volontà del cittadino, la sua coscienza critica.
Fabio Manenti, siciliano di Ragusa. Dottore in Lettere e studente di giornalismo e cultura editoriale presso l'Università di Parma.