Qualche giorno dopo la contestazione dei ragazzi di Torino – con fumogeno a Raffaele Bonanni, leader della Cisl e tra gli estensori della “legge trenta”, che traduce in norme l’orribile armamentario di Biagi per ridurre in schiavitù le nuove generazioni di lavoratori – un bravo giovane palermitano ha deciso di uccidersi lanciandosi dal balcone della facoltà di lettere. Si chiamava Norman. Aveva tanto sperato di essere assunto dall’università. Era dottorando in filosofia del linguaggio. Si era laureato con 110 e lode. Il padre, giornalista, funzionario della Regione Siciliana, si era messo in pensione. Un fratello lavorava al 118.
Norman aveva 27 anni, era fidanzato e faceva anche il bagnino saltuario al circolo nautico di Palermo, dove guadagnava 25 euro al giorno. Ha capito che non avrebbe avuto lo sperato posto all’ateneo e di non avere alternative. Si è stancato di vivere a carico della famiglia e l’ha fatta finita proprio nel luogo dove voleva lavorare e di costruirsi un futuro.
Sarei stato molto più contento se invece che uccidersi avesse lanciato in faccia a un boss del governo o del sindacato un fumogeno o una manciata di monetine, se avesse frequentato un centro sociale, un circolo anarchico, una struttura di resistenza all’emarginazione e alla disperazione. Ma Norman era soltanto un buon ragazzo di famiglia che aspirava a una vita “normale”, a insegnare filosofia del linguaggio, qualcosa di estremamente specialistico e raffinato. Non aveva scelto una materia per una professione che gli avrebbe procurato molti soldi, se usata cinicamente, come fanno in tanti, specialmente in medicina, gente venale che vive solo per il denaro in un sistema che sembra modellato per loro e che si adatta sempre più a loro.
Il padre di Norman commentando la morte del figlio ha detto che è stata un delitto di Stato. Condivido quest’affermazione. L’Italia è diventata un luogo orribile, con un presidente del consiglio che invita i giovani ad andarsene all’estero. I processi di riproduzione e di mobilità delle classi sociali si sono bloccati, anzi, sono stati bloccati. Oggi i figli stanno tutti peggio dei genitori e sopravvivono con il loro aiuto senza il quale affonderebbero nella miseria. La laurea non è più il passaporto per una vita serena in una classe sociale migliore di quella di provenienza. Non è più un ascensore sociale. Non serve a niente, se fuori ti aspetta un posto da precario pagato quasi niente al quaranta per cento in meno del minimo contrattuale e spesso senza nessuno dei diritti goduti da generazioni di italiani, quali la retribuzione in caso di malattia o le ferie. In meno di un decennio la legge Biagi è riuscita a precarizzare alcuni milioni di persone, privandole della speranza di un futuro.
Altro elemento di imbarbarimento della società italiana sono state e sono le privatizzazioni. Queste hanno di fatto abolito i concorsi per l’accesso alla pubblica amministrazione che erano la tappa obbligata post diploma o post laurea. I ragazzi partecipavano ad alcuni concorsi fino a quando non ne vincevano uno e si sistemavano. Ora tutti i servizi sono appaltati a privati amici dei politici o prestanome di questi. Se vuoi un posto devi rivolgerti alla persona “giusta”, la quale ti farà il favore di farti assumere, magari con il quaranta per cento in meno del dovuto di stipendio. Diventerai un invisibile come tantissimi.
Legge Biagi e privatizzazioni dovrebbero essere due obiettivi della iniziativa sindacale e politica. Ma sindacati e partiti sono stati reclutati tutti da anni dal “pensiero unico”. Sono diventati liberisti, alcuni iperliberisti e fanno una lotta politica demagogica e ignorante al cosiddetto “statalismo”. D’Alema ingiunse ai giovani di non aspettarsi il posto fisso. Ebbene posto fisso e statalismo hanno fatto funzionare per anni l’Italia. Hanno creato una società relativamente felice, non angosciata dal futuro, coesa. Il liberismo ha sfasciato tutto e ha creato enormi squilibri interni corrompendo le parti apicali dell’impiego con stipendi sproporzionati rispetto la media delle persone occupate. Oggi manager e dirigenti hanno retribuzioni scandalose in un contesto in cui il 25 per cento delle persone guadagna da 500 a mille euro al mese e altri addirittura meno di 500 euro.
Questa situazione non potrà reggere a lungo. È stata aggravata dal progetto di licenziare duecentomila insegnanti. Il Sud – che forniva all’Italia la maggior parte dei quadri della pubblica amministrazione e dell’insegnamento, a differenza del Nord industrializzato e terziarizzato – viene messo in croce. L’incubo della disoccupazione angoscia il ceto medio e lo pone di fronte al problema di uno scivolamento verso il basso, verso la povertà.
Non c’è speranza che questo Parlamento, questi partiti e questi sindacati affrontino la questione sociale che si è aperta in Italia da un’ottica diversa da quella di Marchionne e della Gelmini. Forse non hanno più neppure le categorie culturali per poterlo fare, dopo anni di ammirazione estatica dei neocon, di Reagan, della Tathcher. Non so proprio chi possa recuperare una linea di giustizia sociale sottraendo l’Italia ai pescecani che la stanno divorando come una loro preda.
Il coro ipocrita di riprovazione del gesto di Rubina, l’incitamento alla repressione che viene da tanti ed anche da certi vecchi birbanti fanatizzati dal berlusconismo che gridano al terrorismo, non fanno sperare niente di buono. Questa gente non farà niente e non trarrà alcuna lezione dalla terribile morte di Norman
Zarcone. Dalla politica e dal sindacato non ci verrà alcun aiuto. Dovremo sperare nella germinazione di un movimento nuovo di liberazione della società italiana dalla montagna di ingiustizia che la sovrasta.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.