In questo inizio di secondo decennio del secolo, assistiamo ad avvenimenti di grande rilievo: le rivoluzioni dei paesi del Nord Africa, Egitto, Tunisia, Libia ed ora anche Siria e Yemen, stanno sconvolgendo l’assetto politico di quei Paesi e gli equilibri mondiali: rivoluzioni impreviste, ma non imprevedibili, che sono il frutto di enormi processi di trasformazione di quelle società non più suddite delle signorie dispotiche che le hanno governate da quarant’anni e più.
Nello stesso tempo, e non da ora, l’intero continente sudamericano sta conoscendo un altrettanto formidabile cambiamento con l’affermazione in tutti quei Paesi di governi progressisti che hanno cancellato in pochi anni dittature ed oligarchie che avevano dominato incontrastate, sotto l’ombrello protettivo, politico e militare, degli USA. Il Brasile, il Venezuela, la Bolivia e la stessa Argentina si stanno affrancando dalla sottomissione agli interessi yankee per costruire il loro futuro da Paesi indipendenti e protagonisti della scena mondiale.
Oggi possiamo constatare che l’elezione di Barak Obama non è stato un evento singolare ed importante solo per gli Stati Uniti, quell’avvenimento non è affatto estraneo almeno in parte, ai cambiamenti in corso, in particolare nelle regioni d’Africa e d’oriente, dove cresce l’aspirazione alla democrazia. Il mondo sta cambiando vertiginosamente e non si è verificata “la fine della storia” improvvidamente annunciata dal mancato profeta Francis Fukujama, così come “lo scontro di civiltà”, prefigurato da Samuel P. Huntington, non è avvenuto, anche se non mancano problemi, soprattutto tra Nord e Sud del mondo ed anche tra sud-est asiatico e nord-ovest europeo, ma più in chiave di competizione economica che in guerre di religione.
Certo, la rovinosa caduta del muro di Berlino ha rappresentato una sconfitta storica per i propugnatori delle idee del socialismo, determinando una trasformazione epocale nella concezione del mondo, si è proclamata da parte dell’occidente, la conseguente vittoria definitiva degli “spiriti animali” del capitalismo e del mercato globale, il superamento dello stesso concetto di lotta di classe e di conflitto.
Non è stato così, basta, per constatarlo, documentarsi su cosa sta accadendo proprio in quei paesi, come la Cina e L’India che stanno conoscendo il più alto tasso di sviluppo, per sapere che lì la lotta dei lavoratori per condizioni di vita dignitose contro lo sfruttamento dei loro governi e delle multinazionali, ha messo fortemente in discussione l’illusione del capitale di imporre, unilateralmente e all’infinito, le sue condizioni.
Certo la stessa nozione di “classe operaia” e di “classi in lotta” dell’analisi classica vanno radicalmente riviste alla luce delle trasformazioni e della frammentazione di una società che non è più identificabile in soggetti collettivi omogenei sul piano economico ed anche antropologico-culturale; essa è profondamente cambiata ma non sono finite ingiustizie e diseguaglianze che purtroppo al contrario aumentano e colpiscono indifferentemente tutti i soggetti del mondo del lavoro.
La storia non è finita con la caduta dell’URSS ed il capitalismo universale, dalle sorti gloriose e progressive, non riesce a dare al mondo un ordine definitivo come gli servirebbe, e nemmeno la stabilità economica ed il progresso a buon mercato che ha promesso a piene mani. Tutt’altro, le tensioni non si sopiscono ed i cambiamenti non sono niente affatto finiti, semmai è proprio l’Occidente industriale e borghese a subire i colpi più duri della crisi che determina una forte instabilità politica e sociale.
In questo quadro va letta anche la specificità della crisi tutta particolare che attraversa da non poco tempo l’Italia economica, istituzionale e sociale: il nostro Paese in un’Europa politica, purtroppo ancora incompiuta, ondivago più di altri, certamente più della Germania e della Francia, oggi rappresenta un anello debole del sistema democratico europeo, esso stesso in una fase critica. Ne sono testimonianza i rigurgiti reazionari dei movimenti di estrema destra risorgenti ed anche vincenti là dove non t’aspettavi che potesse succedere, nella civilissima e democratica Finlandia, così come in Olanda, Austria o in Ungheria, cioè nel cuore d’Europa.
L’Italia di Berlusconi è un paese sempre più asfittico dal punto di vista economico e politico ma soprattutto sul piano culturale: è attraversato da forti tensioni disgregatrici, l’enorme disoccupazione e sottoccupazione giovanile è la più alta in Europa, seconda solo dopo la Spagna; le pulsioni localistiche e perfino razzistiche della Lega nord, la caduta dello spirito e dell’etica pubblica e l’impunità di una casta politica affaristica, determinano uno stato d’animo di diffuso imbarazzo e malessere in larghi strati della società, la sensazione d’impotenza della democrazia negli stessi organi preposti al controllo di legalità.
Fortunatamente non c’è solo il peggio: la società italiana conserva preziose e straordinarie risorse culturali e civili, i movimenti in difesa della democrazia sono numerosi ed articolati, basta ricordare tra gli altri Libera, Emergency, l’associazionismo ed il volontariato diffusi in tutti i settori, le mobilitazioni referendarie per la difesa dell’acqua pubblica, contro il nucleare e contro il “legittimo impedimento” a processare il premier, la resistenza degli operai FIOM contro l’unilateralismo della FIAT di Marchionne, l’alto senso dello Stato e del dovere della Magistratura, i tanti intellettuali ed artisti che si stanno battendo contro la distruzione della nostra cultura, i ricercatori, i docenti, gli studenti e tante altre forze sane in difesa della scuola pubblica, dell’Università e per la dignità del lavoro.
Insomma una parte rilevante della società italiana resiste alla deriva. Ciò non potrà non tradursi presto in un movimento politico in grado di cambiare l’attuale impresentabile quadro politico di governo ed anche l’incongruente debolezza dell’ opposizione. È indispensabile e possibile invertire il ciclo declinante della nostra democrazia, rivitalizzare le istituzioni repubblicane, promuovere un nuovo spirito pubblico, ricomporre un quadro di regole e di norme di comportamento e di responsabilità personali e collettive della classe dirigente oggi vilipese, per restituire dignità ed autorevolezza alla politica ed allo Stato.
Le elezioni amministrative che si stanno svolgendo sono solo una tappa ma importante di questo percorso, i risultati forse rifletteranno l’inizio di questo cambiamento.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà