La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società » Ma chi sei? »

Sudafrica, la guerra ai tempi del calcio: Capello mostra ai suoi inglesi video dell’Afghanistan

14-06-2010

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Le alte sfere del pensiero rotolano insieme alla sfera di cuoio sui campi sudafricani. Nel suo ultimo libro, Mathias Roux, professore francese di filosofia, mescola pallone e morale. Socrate e Bill Shankly, il mitico trainer del Liverpool. Diceva quest’ultimo: «Dal modo in cui certe persone parlano di football, si è portati a credere che il risultato di una partita è questione di vita e di morte. In effetti, il calcio è molto di più».

Nel suo libro Socrate en crampons («Socrate in tacchetti», edito da Flammarion) l’autore francese, che ha maturato una certa esperienza tra gli studenti liceali, innalza il quotidiano, in questo caso il calcio, al rango di oggetto di riflessione. Analizzando la partita tra Italia e Francia che assegnò alla nazionale azzurra la Coppa del Mondo nel 2006, Roux associa i riti di massa ai rituali del potere.

Il giorno della nostra vittoria, allo stadio, c’erano tutti quelli che contavano. E successe di tutto, soprattutto che Zidane colpisse Materazzi al petto con una testata, episodio ufficialmente condannato ma spunto di svariate interpretazioni e fonte di innumerevoli fantasie narrative.

Intervistato dal quotidiano elvetico Le Temps, il filosofo transalpino ha spiegato in questa maniera l’interesse suscitato da quel colpo di testa inferto al 107esimo minuto di un gioco teso fino all’esasperazione.

«Mi sono servito del gesto dell’attaccante francese per sviluppare una riflessione sul diritto e la giustizia, ma allo stesso modo sul dovere e la morale. Non si tratta di giudicare l’atto in se stesso, ma la polemica che ha suscitato. Certuni hanno condannato questa testata argomentando che avrebbe potuto scioccare i bambini seduti davanti al televisore. Altri hanno sostenuto che Zidane abbia nuociuto agli interessi della sua squadra e sia stato il responsabile della sconfitta dei Bleus (la nazionale francese, ndr). Queste riflessioni mostrano tutte l’ambiguità del nostro rapporto con la morale. La morale deve essere incondizionata e tuttavia facciamo appello alle circostanze per giustificare un giudizio, è l’eterno dibattito tra Kant ed Hegel». Se interpreto bene, tra la morale assoluta kantiana, al di sopra di tutto, e il relativismo hegeliano. Tra moralisti intransigenti e manica larga.

Dato che Roux definisce lo stadio come una cattedrale in cui si prova fisicamente l’appartenenza a una comunità, l’intervistatore gli chiede allora quale sia la composizione sociale dello stadio.

«Enfatizzando gli eccessi dei tifosi, certi intellettuali sono portati a credere che lo stadio sia un luogo di regressione. Al contrario, io credo che sia un pezzo di società che ne riproduce certi meccanismi. A parte le azioni di qualche estremista, la violenza del calcio è innanzi tutto simulata al fine di essere sfogata. Il recinto sportivo gioca un ruolo catartico e pure politico, poiché il conflitto è perfettamente organizzato e messo in scena, alla stessa maniera dei dibattiti parlamentari».

È pensando a queste risposte del filosofo francese che mi sono chiesto il senso dell’iniziativa di Fabio Capello, l’allenatore italiano della nazionale inglese che, prima di partire per il Sudafrica, ha mostrato ai giocatori un video di auguri e incitamento ricevuto da un battaglione di soldati britannici impegnati in Afghanistan contro i talebani. Steve Gerrard, il capitano della squadra dei Tre Leoni ha così commentato: «Sono ragazzi e giovani uomini come noi, hanno la nostra stessa età, ci somigliano fisicamente, ma loro sono laggiù a rischiare la vita per la libertà e a difendere il nostro paese, mentre noi indossiamo una maglia e calzoncini corti per una partita di pallone. Vedere la gioia con cui questi soldati ci hanno mandato gli auguri ci ricorda quanto siamo fortunati, rispetto a loro. E ci spingerà a dare ancora di più, a dare il massimo, per rappresentare degnamente l’Inghilterra, i nostri tifosi, inclusi i nostri soldati, nelle partite che ci aspettano».

Non è una novità che il calcio, come altri sport, sia una sublimazione e una metafora della guerra. Ma è una novità che la guerra, per giunta contrabbandata come missione di pace, possa costituire un incoraggiamento a dare il massimo sul rettangolo di gioco. Cioè che sia una fonte di ispirazione.

Nel film Invictus di Clint Eastwood, dove al posto del calcio c’è il rugby, Morgan Freeman-Mandela cerca di fare del gioco un’occasione per la pacificazione tra bianchi e neri. Oggi, invece, in quello stesso Sudafrica che si è inventato la nazione arcobaleno per fare convivere etnie di tutti i colori, lo spirito guerresco importato dall’Afghanistan dovrebbe servire a portarsi a casa l’ambita Coppa. Costi quel che costi? Compresi i colpi bassi (o di testa) moralmente riprovevoli? Kant o Hegel?

Colpire un bersaglio, non necessariamente talebano, e fare gol sono scopi che si equivalgono? Sì, se non fa più differenza colpire con la testa un pallone o un torace.

Se il calcio continuerà a essere sregolato come la guerra che ci raccontano ogni giorno i giornaliu, ha ragione Roux a dire che il catino dello stadio contiene tutta la società, guerrafondai e terroristi compresi. Presente non solo sugli spalti, ma anche sul terreno di gioco.

Da come si giocherà e vincerà nei prossimi giorni capiremo non tanto quel che intendeva Cappello mostrando quel filmato, ma come è stato decifrato e messo in pratica il messaggio ricevuto dal fronte dove si spara e si muore. Senza neanche il sogno di una coppa.

Ivano SartoriIvano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.

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