Terremotati, vivere per 30 anni in un container
17-12-2009
di
don Vitaliano della Sala
La burocrazia ha chiuso in un container dell’Irpinia marito e moglie. Dal 1980 guardano la loro casa dove non possono tornare impediti da un labirinto di cavilli. Il marito non ce l’ha fatta; la moglie sopravvive in una gabbia piantata sulla terra nuda.
Nelle campagne di Sant’Angelo a Scala, Avellino, la mia ex parrocchia, un fatiscente e invivibile container ha ospitato una coppia di anziani contadini dal terremoto dell’80. La loro casa colonica è a due passi dal container, ma non può essere riparata per le solite beghe burocratiche che umiliano le persone quando non è la legge a servizio dell’uomo, ma l’uomo a servizio di essa. Due anni fa Antonio Pirone, a 58 anni di età, è morto per un tumore ai polmoni, aggravato se non causato dalle condizioni in cui ha vissuto per quasi trent’anni. Ora, nel container freddo e umido, poggiato sulla nuda terra, è rimasta Ernestina Cristiano, di 66 anni, da sola. La loro è una storia incredibile, la cui soluzione è nelle maglie della burocrazia e della giusta applicazione delle leggi. Lo Stato ha stanziato per la ristrutturazione della loro vecchia casa terremotata una ventina di milioni di vecchie lire, che però potranno essere utilizzati solo dopo il versamento dell’accollo spese che spetta al proprietario: circa trentacinque mila euro, che ovviamente è una cifra enorme per dei contadini. Questo perché nell’80 proprietaria della casa era la madre di Antonio, che è morta dopo pochi mesi dal terremoto, lasciando in eredità la casa ai figli. Antonio acquistò le quote dei fratelli, senza poter più usufruire dell’intero contributo per la ristrutturazione della casa, ma solo di una parte. La legge dice questo e gli amministratori che applicano questa legge stanno nel giusto, non potendo fare altrimenti.
Antonio ed Ernestina hanno chiesto per anni, inutilmente, che i diecimila euro spettanti allo Stato fossero sbloccati e utilizzati per ristrutturare una parte della casa in cui vivere dignitosamente: le ditte edili del paese avrebbero eseguito gratuitamente i lavori. Ci sono state sentenze del tribunale che invano hanno obbligato il Comune ad intervenire. Abbiamo scritto a Presidenti della Repubblica e del Consiglio, ai Sindaci e ai Prefetti che si sono succeduti in questi anni. Sarebbe bastato un po’ di buon senso! In una delle ultime lettere al Prefetto di Avellino, prima del Natale di tre anni fa e poco prima che Antonio morisse, chiedevo che per la soluzione del problema bisognava farsi guidare “dal senso di giustizia e dall’esigenza di dare un tetto dignitoso ad Antonio ed Ernestina: incontriamoci io Lei e il Sindaco di Sant’Angelo a Scala per trovare una qualche soluzione a questa triste storia che, anche se per una volta non vede responsabili diretti, comunque deve essere risolta al più presto. Duemila anni fa una coppia di coniugi a Betlemme non trovò posto in nessun albergo; facciamo in modo che per questo Natale questa coppia di coniugi abbia almeno la speranza che al più presto per loro ci sia un alloggio dignitoso”. Invece hanno lasciato morire Antonio in quello squallore, dove continuano a far vivere Ernestina.
Per il prossimo Natale tutti noi daremo solidarietà ai bimbi africani o ai migranti clandestini, ed è giustissimo. Non sarebbe però giusto non accorgerci che anche tra di noi ci sono persone che hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro aiuto. Ernestina è una di queste.