La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società » Con questa faccia da straniero »

Per camminare servono i piedi, ma a un immigrato bastano per costruirsi un futuro?

26-07-2010

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Piano. Sto andando piano. Cammino. Sembra lontana. La strada. Vedo la luce. Qualche ombra. Stamane fa un po fresco. Io cammino. Piano. A quest’ora questa città è mia. Forse no. Ma si è anche mia. Appartiene a quelli che camminano. Verso il futuro. Verso domani. Un momento. Fermo. Nessun rumore. O quasi. Qualche motorino. Una macchina ogni tanto. I miei passi. Lui seduto li. Che mi guarda. Il primo bar aperto.

Sono le 5 di mattina. Aiuto. Non dormo più la notte. Da quando ho perso la fede. Non dormo la notte. Questi fantasmi nella mia vita. Nelle mie notti. Paura di affrontare se stessi. Una sola lotta. Un solo nemico. Io. Mi siedo. Mi guarda e sorride. Lo guardo, sorrido. Anche lui non dorme. Non ha dormito. Gli occhi. Il sonno. La stanchezza. Aveva già preso il caffè.

“Come va?”.
“Bene, tu?” .
“Anch’io bene”.
Da molto che non lo vedo.
“Ero in Tunisia. Sono andato per otto mesi”.
Ah, che bello. Otto mesi in Tunisia. A casa, vicino la mamma. La famiglia. La terra.
“Sai qui non c’è più niente. Non c’è più lavoro. Non c’è vita. Niente”. “Un caffè per favore. Macchiato”.
Caffè macchiato come la mia vita. Macchiata. Bianco. Nero. Misto di colori. Penso a tutto questo. L’incontro. Le parole. Quel tempo che passa. Lento. Ascolto.
“Sono tornato a vedere se potevo fare qualcosa lì. Nel del turismo ad esempio. Sai, in Tunisia ci sono tanti turisti. Molti italiani”.

Ah. Forse aveva voglia di convincersi. Di farmi capire che aveva ragione. Qui non c’è niente. Là forse tutto, là. Forse. Girarsi verso il passato. Cercando delle certezze in questa erranza di vita. Io cerco di vivere il presente. Questo momento è mio. Solo questo. Sono stanco di errare. Errare alla ricerca della mia terra. Una mia terra. Alla ricerca della mia vita. Una mia vita. Mia.

Mio padre mi diceva: “Per camminare bisogna avere i piedi sulla terra”. Io non sento i piedi in questo momento. E non sono capace di volare. Poi ho voglia di camminare. Piano. Verso la mia vita. Il mio tempo. Chiudo gli occhi. Sento la sua voce. Il tono di questa voce molto lontana. Sembra. E mi metto a pensare. Io non so cosa c’è in Tunisia. Forse tutto. Il lavoro. La casa. La vita. So solo che siamo tutti e due qui. Seduti in quel bar. Con tante domande. Poche risposte. Forse la vita è questa. La nostra. La vita di quelli che se ne vanno. Lontano. Di quelli che camminano. Farsi domande. Cercare risposte. Errare nel labirinto delle incertezze. Apro gli occhi. Lo guardo. Sorrido. Mi guarda, sorride. Il momento sembra fermo.

Ciao, fratello. Torno a dormire. Se riesco.

Cleophas Adrien DiomaCleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.
 

Commenti

  1. Doctor Snake

    Grazie per questo testo bellissimo.

    “La vita di quelli che se ne vanno.” …Abbiamo mai provato a pensare com’è, la vita di quelli che se ne vanno…migrare, errare, volare, questi verbi potrebbero descrivere il viaggio stagionale dei fenicotteri rosa, che lasciano la Tunisia in estate e vi ritornano in inverno, per sfuggire al freddo dell’Europa…ma non è lo stesso viaggio delle persone che migrano dal proprio Paese per cercare un lavoro, oppure per salvarsi la pelle e sfuggire alle persecuzioni e alla guerra…no, questo non è volare, non è una vacanza spensierata, gli immigrati non fanno vacanze ……… appena hanno delle ferie, ritornano al “bled” per rivedere la famiglia, i figli, le mogli, i mariti, i genitori anziani. E più la loro patria dista dall’Italia, (Congo, Cameroun, Nigeria) più “le vacanze” si fanno rare, i figli crescono, non ti riconoscono più e tu non sai più che cosa dirgli. I fenicotteri rosa volano via con i loro piccoli e quando tornano in Tunisia, nelle sere di febbraio, li vedi passare a stormo sulla medina…noi immigrati non possiamo portarci nulla, qualche foto dei tuoi, tua moglie, chissà quando la rivedrai, chissà se un giorno la lasceranno venire in Italia, e tu come fai, qui, a prendere sonno, ogni notte, da solo.
    Non è una vacanza, la nostra. Non siamo qui per passatempo. Camminiamo. Sì, noi immigrati camminiamo da sempre su questa terra per pochi alla ricerca di una terra per tutti. Adesso questa è anche la nostra terra e noi ci sacrifichiamo e lavoriamo ogni giorno per renderla più prospera e più ricca e ciò ci dà il diritto di abitarla e sentirla parte di noi. Noi abbiamo contribuito, con le nostre abitudini di vita, con la nostra cultura e le nostre lingue, con le nostre pelli di un altro colore, a renderla più matura, a farla crescere e ad “aprirle gli occhi”, a farle conoscere la ricchezza della diversità, le possibilità della molteplicità: il nero, il rosso, il giallo, il bianco. La terra non ha un colore solo. I suoi colori sono quelli di tutti coloro che camminano per i suoi sentieri.

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