La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Due città vicinissime (50 chilometri) divise da un confine culturale e amministrativo. Da una parte la vita dolce degli gnomi della finanza, dall’altra le braccia senza nome, pochi soldi e vita da caserma della Cina “tigre del mondo”

Shenzhen/Hong Kong: gli operai robot di Mao e la finanza di Wall Street

05-08-2010

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HONG-KONG – Shenzhen e Hong Kong. Due città di estrema importanza economica, due centri propulsori dello sviluppo della nuova Cina. Due città vicinissime (meno di 50 km), ed entrambe appartenenti oggi al medesimo stato, anche se divise da un confine che non è solo geografico ma anche culturale e amministrativo.

Dopo nove mesi vissuti nella Repubblica Popolare, non posso non farmi ispirare dalla differenza abissale che intercorre tra lo sviluppo dall’alto, frenetico ma illiberale, del socialismo maoista, e il capitalismo finanziario della città cantonese. Da Shenzhen, in meno di mezz’ora di metropolitana sono al confine con la vecchia colonia britannica, che ha rappresentato per decenni un’oasi di libertà nel cuore del totalitarismo maoista. Anche se per l’ingresso degli occidentali non serve alcun visto, la musica cambia per i cinesi che vogliono lasciare la repubblica popolare, anche solo per lavoro o turismo.

“Uno stato, due sistemi politici”, per usare la formula formale con cui nel 1997 Hong Kong è diventata parte della Cina socialista per 50 anni. Ma si potrebbe forse dire “due stati”, visto che l’appartenenza della capitale cantonese alla Cina sembra più formale che non sostanziale, essendo ispirata da strategie economiche anzichè da una condivisione di valori o da scelte politiche.

Hong-Kong, che ha vissuto dal 1949 all’ombra della Gran Bretagna e sotto la preziosa garanzia dei suoi diritti civili e delle sue tradizioni liberali, vive infatti oggi in una condizione di pressochè piena indipendenza dalla Repubblica popolare, nonostante la restituzione dell’ex-colonia britannica. Colonialismo che è certo una pagina da dimenticare. Ma che se non ci fosse stato, almeno a Hong Kong, i suoi abitanti non avrebbero mai capito che la storia e le tradizioni cinesi sono tanto compatibili con il socialismo quanto possono esserlo con democrazia e liberalismo.

Shenzhen, invece, è una città creata dal nulla negli anni ’80, sorta in una verdissima vallata di giungla tropicale, all’estremità orientale della ricca provincia del Guandong, ed è oggi un centro di enorme importanza economica (con Guangzhou più ad ovest che ne rappresenta la controparte industriale). Meno di 30 anni fa neanche mezzo milione di persone vivevano nel suo modesto centro cittadino, mentre oggi si contano più di 15 milioni di abitanti. Il suo sviluppo è dipeso dalla decisione di Deng Xiao Ping di riformare l’economia cinese, appoggiandovi la costituzione di una special economic zone, una zona a regime economico speciale che permette alla città enormi agevolazioni fiscali ad investimenti e profitti, con l’effetto di attirare capitali cantonesi da Hong Kong. è qui a Shenzhen, futura Silicon Valley dell’economia asiatica, che Iphone, Ipad e altri gioiellini Apple vengono costruiti quotidianamente da sottopagati tecnici specializzati cinesi che lavorano anche 16 ore al giorno o più per un salario da fame di cui sono in parte responsabili anche le compagnie occidentali stesse.

Fino a pochi anni fa Shenzhen era anche la capitale cinese della prostituzione, finchè le autorità hanno deciso di cancellare la cattiva reputazione della città in vista del suo sviluppo economico, liberando strade e alberghi da prostitute. Le squillo sono state tolte di mezzo umiliandole pubblicamente. L’identità ne è stata pubblicata sulle prime pagine dei giornali o esibita in manifesti nei loro quartieri, facendo perdere la faccia alle povere donne (l’intero tessuto sociale cinese ruota attorno alla necessità di mantenere la faccia verso amici, colleghi e familiari, da qui il ricorso alla pubblica umiliazione per punire atteggiamenti percepiti come devianti). E, anche se oggi Shenzhen è una città senza sesso a pagamento, o almeno così pare, il fenomeno si è solo spostato a un paio di centinaia di km più a nord, tra i monti e lontano dall’attenzione delle autorità.

Eppure, nonostante gli sforzi per diventare la nuova Silicon Valley e per ispirarsi allo sviluppo finanziario di Hong Kong, la città non assomiglia per niente alla sua vicina cantonese. Hong Kong è un paradiso in termini non tanto di efficienza (la metropolitana di Shenzhen ha per ora una sola linea, ma in meno di un anno ne avrà ben 4 nuove) ma in termini di libertà civili, libera informazione e accesso non filtrato a libri e internet.

Perchè unire dunque in modo così contrastante l’acqua al vino? La ragione per cui una democrazia (pur limitata essa sia) abbia scelto di unificarsi con uno stato non libero risiede almeno in parte nella voglia degli abitanti di Hong Kong di sentirsi cinesi a tutti gli effetti, e non una sorta di minoranza per effetto della loro lingua diversa (il cantonese), e in parte nella necessità economica di reinvestire nella Cina continentale gli ingenti capitali finanziari accumulati dalle banche cantonesi nel corso degli ultimi decenni. Una possibilità che è stata colta al volo e che ha creato enormi spazi di profitto per i ricchissimi investitori cantonesi. Una città come Shenzhen si espande giorno dopo giorno proprio grazie a questi investimenti d’oltre confine.

I cittadini di Hong Kong possono viaggiare liberamente nella Cina continentale, anche se hanno una carta d’identità e un passaporto diversi, che ne permettono un’immediata identificazione. Ben diversa la condizione dei cittadini dell’entroterra. Andare a Hong Kong è molto difficile, per molti è un sogno. Serve non solo il passaporto, ma anche un visto speciale che dichiari motivo e durata del soggorno, e che è rilasciato soltanto dopo una valutazione del reddito e del passato del candidato. Servono quindi soldi, un lavoro stabile (nella Cina continentale o – difficilissimo – a Hong Kong) e un passato politicamente pulito, anche se è qui che molti dissidenti sono fuggiti dopo i moti di Tien’anmen. Per ragioni di sicurezza i numeri telefonici cinesi perdono segnale non appena varcato il fiume che separa Hong Kong dalla Cina continentale, anche se è possibile comprare nuovi numeri cantonesi senza dichiarare l’identità (con tariffe in verità molto costose, soprattutto per chiamare la Repubblica Popolare).

Molti cinesi che vi lavorano legalmente fanno la spola tra le due città. Per questo motivo, ho deciso di vivere per una settimana come un migrante cinese, passando il confine alla mattina e tornando nella Repubblica Popolare alla sera. Ho così potuto osservare i cinesi che vanno a Hong Kong ogni mattina: gestori di negozi a conduzione familiare (ristoranti, banchi al mercato, drogherie) e pochissimi colletti bianchi mandarini che vivono a Shenzhen per risparmiare. Più frequente il numero di cantonesi che lavora a Shenzhen o Guangzhou durante la settimana e rientra a Hong Kong nei weekend.

I prezzi a Shenzhen (per quanto molto più cari che nel resto della Cina) sono molto bassi rispetto a Hong Kong, per cui molti cinesi ne approfittano per attraversare il confine con valigione o borsoni zeppi di vestiti o giocattoli made in China che arrivano così sugli scaffali cantonesi. Non solo vestiti o giocattoli, ma anche le classiche e onnipresenti imitazioni cinesi, come il grottesco Irobot, una specie di Ipad progettato e prodotto in Cina (come anche l’originale della casa di Cupertino, del resto) e di cui un negoziante stesso a Hong Kong mi ha sconsigliato l’acquisto.

Hong Kong è quasi un paradiso se confrontato anche solo con le migliori città della Cina in termini di qualità della vita (Shanghai o Shenzhen), a cui manca infatti sempre qualcosa. Non è difficile immaginare che cosa, in un paese dove lo sviluppo culturale è attentamente pilotato dall’alto, e la popolazione non ha diritto di esprimersi liberamente. I cinesi che passano il confine, prima di entrare in un mondo di libertà di espressione fatto di librerie straordinarie sulla storia della Cina e internet accessibile senza bisogno di proxies, vengono attentamente analizzati per evitare che non si ripresentino più indietro.

Io stesso, alla sera, passo a fatica e di malumore il confine per tornare nella Cina maoista. Posso senz’altro immaginare la triste sensazione e l’inesorabilità di chi non ha via di scampo. Una sensazione a cui i cinesi stessi danno scarso peso in una fase di crescita inimmaginabile dell’economia cinese, viste le enormi opportunità di arricchimento (almeno per il momento) che essa crea per la popolazione…

Emanuele ScansaniEmanuele Scansani ha studiato scienze politiche internazionali dell'ex-URSS a Bologna e, in Gran Bretagna, a UCL e LSE, specializzandosi sui conflitti nei paesi comunisti e post-comunisti. Emanuele lavora al momento in Cina come Lecturer alla Harbin Normal University, nella Heilongjiang province.

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