Per sopravvivere dobbiamo comprare tutto: il contratto, il permesso di soggiorno che poi sparisce e nessuno ci dà una mano per avere ciò che abbiamo pagato e che ci hanno promesso. Ma che paese mai è questo che vuole aprire scuole per separare i nostri figli dai bambini che incontriamo per strada?
Non ho il coraggio di salire sulla gru e il dramma di noi stranieri non cambia mai
18-11-2010
di
Cleophas Adrien Dioma
Non so se sarei andato sulla gru, vigliacco come sono. Ma mi rendo conto che arriva un momento nella vita in cui bisogna fare qualcosa. Alzarsi e camminare. Incazzarsi. Dire basta. Guardando le immagini di questi ragazzi sulla gru, leggendo tutto quello che viene detto sulla loro situazione, le reazioni della stampa, i politici, mi rendo conto di come siamo lontani dal trovare una soluzione per una società di diritti per tutti. Il permesso di soggiorno. Questo pezzo di carta che ti dà libertà. La possibilità di vivere in Italia. Di poter camminare per strada senza paura. Di poter trovare un lavoro. Di poter affittare una casa. Di poter andare a casa tua per rivedere la famiglia. Di poter esistere. Per ogni immigrato, clandestino, l’unica lotta che c’è, è fare di tutto per avere questa foglio azzurro, che noi chiamiamo giornale: le permis de sejour.
E mi ricordo ancora come ho fatto per ottenerlo. Le file davanti alla questura alla ricerca di ogni informazione. Le riunioni alla CGIL. Gli incontri con le associazioni antirazziste. La disperazione nel non capire cosa fare. Era tutto un casino. Ero appena arrivato in Italia e capivo poco. Ma mi ero reso subito conto che senza permesso non c’era nessuna via d’uscita. Allora diventava la cosa più importante. A Napoli quando è uscita la notizia della sanatoria 98, la Turco-Napolitano, ci siamo ritrovati bombardati da tante informazioni, venditori di fumo, imbroglioni… tutto. Bisognava stare attenti per non farsi fregare. Poi alla fine era anche difficile fare tutto.
Pochi di noi soddisfavano i requisiti per potere fare la richiesta del permesso: bisognava essere in Italia da più di un anno e poterlo provare, avere un lavoro in regola (a Napoli !!), con un contratto di casa da clandestino. Non sapevo com’era la situazione nelle altre città italiane, ma a Napoli avere tutte queste condizioni era quasi impossibile. Allora uno compra. compra il contratto di casa. Compra il contratto di lavoro. Compra la prova che dimostra che c’eri prima di tale data. E si spende. Qualche volta tanto. Mi ricordo di persone che hanno speso più o meno 5000/6000 euro per poter fare tutto. E poi si sono ritrovati senza permesso. Perché era tutto falso e si vedeva. Io 6 anni fa sono stato processato a Napoli perché la prova che avevo dato per il permesso era falsa. Ma “inch allah” avevo già il permesso di soggiorno. La legge Bossi-Fini è solo il peggioramento della Turco-Napoletano.
Le condizioni per avere il permesso sono peggiorate. Il permesso di soggiorno è legato al tuo contratto di lavoro. Dunque se dopo 20 anni in Italia, avendo sempre lavorato, perdi il lavoro sono cavoli. Puoi finire clandestino. Per uno che è stato clandestino è la cosa peggiore che può capitare. L’eterno ricominciare. Disperazione. Allora si finisce a fare atti di disperazione. Andare sulle gru. Fare dei sit-in davanti alla questura. Mettersi sui tetti dei palazzi. Gridare la propria rabbia. Desiderare per una volta dire “vaffanculo a questo paese che ti prende tutto e non ti dà niente”. A questo paese che ami. Che ha visto nascere i tuoi figli. Al quale hai dato la tua giovinezza. Vaffanculo a questi politici, ipocriti, che usano la retorica dell’immigrazione causa di tutti i mali dell’Italia, per vincere le elezioni ma che hanno nella loro realtà imprenditori che sfruttano i lavoratori immigrati, qualche volta in nero. Spesso direi. Vaffanculo a questo paese che vuole creare delle scuole separate per i nostri figli”.
Sì, qualche volta si arriva agli estremi: “Vi ho dato tutto: la mia vita, la mia forza lavorativa, la mia intelligenza, ho lavorato nelle vostre fabbriche, sviluppato la vostra economia, mangiato il vostro cibo, amato la vostra cultura, vi ho dato tutto e sono pronto a dare ancora. Allora che cazzo volete?”
Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.