Non possiamo chiedere ai militari di essere simpatici. Non è il loro lavoro. Non possiamo chiederlo nemmeno ai poliziotti che li accompagnano. Non sono obbligati. Ma qualche volta si ha voglia di pensare che sono qui perché ci siamo noi. Qualche volta. L’altro giorno ero in giro. Passando dalla piazza della pace, vedo poliziotti che controllano ragazzi che conosco. Mi avvicino per capire qual è il problema, riflesso dell’educatore che sono. Uno di loro è venuto per un po’ nel centro culturale aggregativo dove lavoro.
Dunque era comunque il mio dovere capire se avevano fatto casino o se era un semplice controllo. Mi avvicino e saluto con cortesia. Saluto i ragazzi e chiedo cosa c’è che non va.
“Cosa vuoi? Non ti puoi fermare qui”.
“Scusate, sono l’educatore di uno di questi ragazzi e mi chiedevo se potevo soltanto sapere cosa avevano fatto. Visto che sono anche minorenni…”
Niente da fare. Non hanno voluto parlare con me. Ho fatto vedere i miei documenti, ho cercato di spiegare la mia posizione, ma mi sono reso conto che non volevano per niente avere a che fare con me. Peggio, stavano diventando nervosi. Per evitare casini, saluto, dico due cose ai ragazzi e me ne vado. Io pensavo che i militari mandati qui a Parma servissero per la sicurezza della mia città. Per la sicurezza della gente della mia città.
Avevo voglia – ho voglia – di pensare che siano qui anche per la mia di sicurezza. Di pensare che quando mi avvicino a loro per parlare, cercando di essere cortese nei modi e nella maniera di fare, non posso che non trovare persone, non dico simpatiche, ma disposte ad ascoltare quello che ho da dire per poi giudicare se ha senso parlare con me.
Ma subito, così. Con questo comportamento che sembra dire che siamo in guerra, credo che sia difficile una comunicazione di questo tipo e soprattutto porta a comportamenti che possono degenerare. Bastava soltanto che mi innervosissi anch’io e poteva finire male. Ma inch allah per fortuna non sono tutti così.
Qualche giorno fa, domenica mattina, ero seduto con Diarra, un amico della Costa d’Avorio, sui gradini della piazza della pace. Tranquilli, parlavamo di Africa, della nostra situazione attuale. Dei progetti futuri. Sono arrivati due militari e un carabiniere. Con cortesia ci hanno salutato e ci hanno chiesto i nostri documenti. Uno dei militari aveva visto il mio amico Diarra sul posto di lavoro e si ricordava.
“Ma non sei tu che ho visto la mattina presto nella panetteria dietro via Mantova?”.
“Sì, lavoro lì”.
È partita una bella conversazione, sull’Africa, l’immigrazione, il calcio e la coppa del mondo. Ho fatto qualche battuta sul loro lavoro e ho visto che comunque erano disposti alla critica, all’incontro, al confronto. Dopo sono andati via e mi sono alzato riconciliato con i militari che girano a Parma, anche se ancora oggi mi chiedo se veramente c’è bisogno di tutto questo.
Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.