Guardare con un occhio, poi con l’altro. Poi con tutti e due. E rimane la paura di vedere davvero
12-07-2010
di
Cleophas Adrien Dioma
C’è un gioco che faccio da quando sono piccolo. È un gioco strano. Ma a me piace. È il gioco delle prospettive. Sarà un gioco abbastanza banale. Ma mi rendo conto di come nel complesso abbia una certa importanza, almeno per me. A volte davanti allo specchio, guardando una cosa o una persona, mi piace sempre chiudere un occhio, l’occhio destro per esempio, e guardare con l’altro occhio. Poi dopo faccio il contrario, chiudo l’occhio sinistro e vedo le cose con quello destro. E alla fine chiudo gli occhi per un momento e poi li apro tutti e due.
L’effetto è sempre particolare. Con un occhio abbiamo sempre l’impressione di vedere tutto. E forse vediamo il nostro tutto, il tutto che può vedere un solo occhio. Ma c’è sempre una piccola barriera. Non riusciamo a vedere il tutto. E poi quando facciamo il cambio e guardiamo le cose con l’altro occhio ci rendiamo conto che vediamo la stessa cosa con particolari diversi. Questa nuova prospettiva ci porta ancora il tutto che può vedere l’altro occhio. Poi quando apriamo tutti i due gli occhi ci rendiamo conto che per vedere il tutto bisogna a fare la somma delle due prospettiva. È una cosa sicuramente banale.
Ma questa riflessione mi porta ad una domanda: come mai malgrado tutto, malgrado il fatto che abbiamo sempre i due occhi aperti, vediamo sempre con una sola prospettiva? Con un solo occhio? Cosa ci porta a fare cosi tanta fatica a vedere le cose con una prospettiva più ampia. È vero non possiamo non partire che da noi stessi. Nelle cose che facciamo, nei rapporti che creiamo, negli incontri del nostro quotidiano ci poniamo sempre con quello che siamo. E facciamo fatica a vedere il mondo, le cose in funzione di come stanno le persone c’abbiamo di fronte. E qualche volta ho questa impressione che siamo sempre a nascondere qualcosa. C’abbiamo sempre paura di fare vedere le cose come sono.
E ci nascondiamo. Dietro le cose, gli amici, la casa, gli oggetti, la famiglia. Dietro i vestiti. Si, è come essere sempre vestiti. Il vestito per me è la cosa che per eccellenza esprime il desiderio di nascondersi dietro qualcosa. Di nascondere qualcosa. Da quando l’uomo per una ragione o un’altra ha cominciato a nascondere le parte più intime del suo corpo. Poi pian piano a nascondere tutto il suo corpo. E adesso a usare il vestito come sinonimo di bellezza. Nascondere le sue imperfezioni, la sua realtà, quello che è. Nei discorsi che faccio con le persone che incontro nel mio quotidiano mi rendo conto di come ho tendenza a partire sempre da me stesso. Da Cleo. Vedo le cose e la vita con il mio occhio aperto. Faccio quasi sempre come tutti. Non mi rendo conto o faccio fatica a vedere le cose dalla prospettiva dell’altra persona che ho di fronte. Ma poi, quello che faccio di solito, a casa, da solo mi metto davanti allo specchio e mi pongo delle domande. Cerco di darmi delle risposte.
E mi rendo conto che dovrò impegnarmi a guardare il mondo con due occhi. I miei due occhi.
Cleophas Adrien Dioma è nato a Ouagadougou (Burkina Faso) nel 1972. Vive a Parma. Poeta, fotografo, video documentarista è direttore artistico del Festival Ottobre Africano (www.ottobreafricano.org - cleobibisab@yahoo.com - info@ottobreafricano.org). Collabora con “Internazionale” e “Solidarietà Internazionale”.