Padre Arturo Paoli comincia a compiere cento anni: voglio cerebrarlo partendo da tre citazioni di autori classici. Euripide nel secondo stasimo dell’Eracle fa cantare queste parole al coro di vecchi tebani: “Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza, donerebbero agli uomini una doppia giovinezza come segno evidente della virtù da loro praticata” (vv. 661-664). Ebbene nel caso di don Arturo, gli dèi hanno dimostrato di avere intelligenza e sapienza.
Poi, nel Miles gloriosus di Plauto, Palestrione, personaggio chiave del dramma, quasi l’alter ego dell’autore, afferma che gli dèi dovrebbero dare una vita lunga, a chi ha un carattere amabile, e invece portarla via presto a quanti sono cattivi e scellerati (vv. 730-732). Don Arturo infatti ha un carattere amabile, pieno di amore.
Infine Marziale afferma che l’uomo buono accresce lo spazio della propria vita (ampliat aetatis spatium sibi vir bonus), siccome vive due volte chi può gioire ricordando il bene donato e ricevuto (X 23, 7-8).
Don Arturo è appunto vir bonus, vir bonus bene faciendi peritus, un uomo buono, esperto nel fare del bene, un titolo più nobile e alto di eccellenza, eminenza, e perfino di santità. Il nostro benemerito benefattore dell’umanità, non è diventato Papa, né cardinale, né vescovo, è sempre stato con i poveri e con gli ultimi, da vero vicario di Cristo. Li ha assistiti e aiutati in Italia, in Africa, in America latina. Non è un uomo usuale. Il nostro è un paese di clentele e di raccomandazioni da sempre, e il cliente, se vuole salire nella scala sociale, o almeno vivere tranquillo, deve asservirsi al patrono. Il rapporto clientelare venne codificato a Roma già nelle Leggi delle XII tavole, alla metà del V secolo avanti Cristo. Virgilio, più di quattro secoli dopo, mette tra i grandi peccatori coloro che trasgrediscono tale codice, in compagnia di quelli che hanno odiato i fratelli, picchiato il padre e di altri malfattori (Eneide VI, 608-614).
Del resto la prima Bucolica è la storia di una raccomandazione: Titiro conserva i suoi campi poiché è andato a Roma e ha incontrato la persona giusta, mentre Melibeo, che non ha avuto quella fortuna, deve sloggiare e dire addio alla sua terra. Titiro adombra Virgilio che venne raccomandato ad Augusto da Asinio Pollione e da Cornelio Gallo. Quindi il poeta latino, comunque molto bravo a scrivere, si diede da fare per compiacere l’autocrate. Tra i grandi criminali infatti, nel passo dell’Eneide citato sopra, mette “quelli che furono uccisi per adulterio” (v.612), assecondando il programma di restaurazione degli antiqui mores voluto dal despota che per suo conto era un dissoluto. Ancora: gran parte delle epistole di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano, dopo un altro secolo e mezzo, sono lettere di raccomandazione.
Per essere raccomandato il cliente deve avere un patrono che a sua volta è cliente di un altro patrono. E’ una scala di tipo mafioso.
“Il rapporto clientelare si configura come un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei disonesti” ha scritto l’illustre latinista Luciano Perelli in un libro su La corruzione politica nell’antica Roma.
Ogni patrono doveva essere assecondato e omaggiato. Esattamente come adesso. Chi non adulava il despota o si opponeva al suo programma veniva esiliato, come Ovidio, altro autore di grande levatura, o veniva addirittura annientato con la sua opera, come gli storiografi martiri: Tito Labieno da Augusto, Cremuzio Cordo da Tiberio, Trasea Peto da Nerone.
Uno poteva essere la virtù in persona1, come Tacito, dopo Nerone, definisce Trasea Peto, ma se non si piegava al potere, veniva infamato dai servi del despota e annichilito.
Alle persone belle tuttavia rimane sempre la facoltà di dare l’esempio: “non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore” (v. 523), replica l’Antigone di Sofocle a Creonte che vuole obbligarla a lasciare insepolto il fratello morto. E l’Antigone di Brecht, al despota che le chiede perché sia tanto ostinata, risponde: “Solo per dare un esempio”. Ebbene don Arturo ci ha dato e ci dà esempi di amore per l’umanità, un amore il cui deficit è la vera crisi del nostro tempo. Dicono che si dovrebbe consumare di più: più telefonini, più macchine, più giochi elettronici che rincretiniscono i bambini e gli adulti, più aggeggi che isolano, inferociscono, rendono malate le persone. Invece dovremmo amare e volere bene di più, e don Arturo con il suo esempio ci insegna questo. E’ sempre stato dalla parte dei poveri, degli sfruttati, dei perseguitati. Ogni uomo buono, ogni uomo vero, ogni uomo umano deve stare da quella parte. E’ un segno non solo di onestà, ma anche di forza.
Cito da un articolo di qualche anno fa: “A 34 anni rischia la vita per salvare un ebreo tedesco, Zvi Yacov Gerstel, oggi famoso per gli studi sul Talmud. Per Israele Arturo Paoli diventa un «giusto tra le nazioni». C’è un albero col suo nome nei giardini del ricordo”. Stare dalla parte dei deboli, dei perdenti è rischioso: ci vuole forza, dicevo, e ci vuole coraggio. “ Va nel Cile di Allende e nel settembre 1973 i militari del golpe distribuiscono l’elenco degli stranieri pericolosi ‘da eliminare in qualsiasi circostanza’. Si salva perché la morte di Allende lo trova in Venezuela: non solo prediche e conferenze, continua a lavorare con le mani.» Vi lascio l’immagine della mia vita2, disse Seneca a quanti assistevano alla sua morte voluta da Nerone. Don Arturo per fortuna, o per un disegno provvidenziale, è scampato alla morte che i tiranni vogliono imporre agli uomini liberi e buoni. E la sua vita ancora vigorosa testimonia la sua fede nell’umanità.
Concludo ricordando alcune parole di questo prete sublime: “ Il Vangelo ha raccomandato l’annuncio attraverso le persone, non attraverso le sole parole. È la persona che parla. La parola è un rimedio, un’emergenza. Se la mia vita non testimonia, non posso parlare”.
Ho scritto questo pezzo anche per ricordare mia mamma, Luisa che, come don Arturo, ha avuto due giovinezze da dio, o dagli dèi intelligenti e sapienti: a novant’anni andava ancora in bicicletta e a novantasette mi preparava il letto e la cena tutte le volte che andavo a trovarla nella casa di Pesaro. Ora è più che mai viva dentro di me. E lo sarà sempre.
1 “Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto“, Annales, XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con l’ammazzare Trasea Peto.
2 Imaginem vitae suae relinquere testatur , dichiara per testamento che lascia l’immagine della sua vita (Tacito, Annales, XV, 62).
Giovanni Ghiselli ha insegnato a lungo materie classiche nei licei e ha tenuto corsi di didattica della letteratura greca presso la SSIS dell'Università di Bologna. Attivo anche nell'ambito dell'aggiornamento per docenti, ha curato e commentato diverse edizioni di classici, tra i quali l'Edipo Re (Napoli 1997) e l'Antigone (Napoli 2001) di Sofocle, Storiografi greci (Napoli 1999), La vita felice di Seneca (Siena 2005).