Si scorrono i giornali. Nei giorni scorsi è partito il Grande Fratello, edizione numero 11, e ha fatto il pieno di ascolti (sarà che funzionano le provocazioni del figlio del camorrista o dell’ex operaio licenziato trasformatosi in gigolò, in mezzo a bellone e bellini). Ma – tra le cariche di Terzigno, dove la brutalità fa passare un po’ sotto silenzio il motivo della gente in strada (le discariche e l’eterna emergenza rifiuti), divorzi multimilionari, contratti Rai difficoltosi o indagini che ben più spazio meriterebbero (come quella sullo Ior e sulla P3) – continua a esserci il caso diventato giallo d’autunno, l’affaire Avetrana.
Una storia in cui – faceva notare Natalia Aspesi su Repubblica – la vittima esce di scena, come in un thriller qualunque perché la ribalta vuole al centro gli assassini o quelli che si crede tali. E allora la cugina – quella comparsa così tante volte in televisione nei quarantadue giorni della scomparsa, quando ancora non si sapeva della morte di Sarah Scazzi, la quindicenne strangolata e gettata in un pozzo – si conquista il titolo di “novella Anna Maria Franzoni”. Si parte alla caccia delle espressioni del volto, come nel caso della madre condannata per il delitto del figlio di tre anni, assassinato nella sua casa di Cogne il 30 gennaio 2002. Saranno vere le lacrime? Tutta quell’apparente sicumera a telecamere accese nascondeva qualcos’altro? Il sorriso a mezza bocca, come in una qualsiasi conversazione un po’ formale e per nulla personale, non è indizio di colpevolezza?
Le telecamere, su quel ritaglio di Puglia, continuano a essere costantemente accese. Anche su fenomeni conseguenti e non diretta causa di questo delitto (e a tenere loro compagnia sono giunti pure gli immancabili “plastici” di Bruno Vespa, conduttore di una trasmissione ribattezzata in rete “Morta a morta”). Qualche anno fa, un giornale di provincia (questa volta era al nord, in Lombardia, zona di produzione dei vini) riportò, in un trafiletto degno di poco spazio e poca nota, la dichiarazione di un viticoltore: affermava di aver avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo. Sì, proprio quello con il genere alieno. Un po’ di folclore che sui giornali di provincia trova sempre posto, per quanto trattato discretamente e con una vena di ironia. La “notizia”, se così si può chiamarla, venne ripresa non da testate assolutamente divertenti e avvezze alle “stranezze”, come il tabloid inglese “News of the World”, ma dalle pagine lombarde di un serioso quotidiano nazionale: mezza pagina in taglio basso.
Il fine settimana successivo, due cronisti e un fotografo del giornale di provincia vennero inviati sul posto. Ma non a caccia di extraterrestri. Il fenomeno da registrare e raccontare era il flusso turistico scatenato dalla seconda uscita: da tutto il centro nord erano giunti in migliaia per vedere il campo dell’avvistamento. Con discreto scorno di maresciallo dei carabinieri, sindaco, parroco e agricoltori per l’invasione e i conseguenti danneggiamenti, ma con un certo godimento per bar, osterie e tabaccaio.
Dalla serata della diretta di “Chi l’ha visto”, quando venne data in tempo reale la notizia della confessione e del delitto a una madre agghiacciata, il fenomeno si è ripetuto ad Avetrana. Tanto che transenne e pattuglie straordinarie si sono messe a dirigere traffico e transiti. Ma soprattutto sono dilagate, sempre sul piccolo schermo (ma anche sui quotidiani online, dotati di multimedialità), quelle che in termini tecnico-giornalistici si chiamano “testine”: facce, brevi interviste di sconosciuti, commenti dalla strada sugli accadimenti. E qua, sulla scia di quella ventiduenne che da cugina-amica si sarebbe trasformata in carnefice (o aiutante tale), ecco riemergere le interpretazioni psicologiche sulla giovane, i commenti agli sms resi pubblici, conoscenti che rileggono le lettere di amiche ad altre amiche. Questa volta mancano solo gli “amici” di Facebook.
√à il solito gioco di innocentisti e colpevolisti, di chi vuole vedere prima e meglio di una corte d’assise realtà e motivi in cui il dramma è maturato. √à il rimbalzo delle tesi della difesa dello zio reo confesso, che “accusa” la dittatura di un ipotetico gineceo. Che avrebbe costretto un padre a farsi passare da orco per salvare le sue donne di potere. E poi ci sono agli annunci che non annunciano granché, con i cronisti dei telegiornali delle 20 in collegamento mentre è ancora in corso una conferenza stampa dell’avvocato dell’uomo. Non è vero che la stuprò da morta, si dice da qualche giorno. O forse sì. Tutto questo lo chiamano circo mediatico. E un circo ha bisogno di due elementi per funzionare: il pubblico e le bestie feroci. O i fenomeni da baraccone. I sentimenti, quelli, sono accessori e artefatti dal sensazionalismo. E forse altrettanto accessoria è la memoria delle vittime.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)